Aversa, via Linguiti, domenica mattina, il cancello del manicomio è chiuso. All’esterno è in corso il presidio degli attivisti de “La Maddalena che vorrei”, collettivo di associazioni e singoli cittadini che si battono per la riqualificazione e la restituzione pubblica del Santa Maria Maddalena, il primo e più grande manicomio del sud Italia. Protestano contro la devastazione e l’abbandono di cui sono state oggetto le diverse strutture e il parco; contestano muri e cancelli che l’Asl (proprietaria del complesso) continua a costruire per impedire l’accesso alle “Reali case dei matti” e parcellizzarne l’area; denunciano l’azione dell’amministrazione locale che, chiudendo l’ingresso al padiglione Bianchi, l’unico di proprietà comunale, ha di fatto fermato l’azione di ripristino che i volontari, da oltre un mese, avevano iniziato a realizzare.
Il parco urbano della Maddalena
Gli attivisti hanno promosso una carta d’intenti, chiedono che venga istituito un parco urbano sull’intera area della Maddalena (diciassette ettari), che siano impediti progetti speculativi evitando modificazioni volumetriche degli edifici, che si sviluppi una progettazione organica destinando il complesso a usi sociali, che sia preservata la memoria dei luoghi.
Il sindaco di Aversa, de Cristofaro, è stato al manicomio il giorno precedente: è iniziata la falciatura dell’erba, e lui ha voluto presenziare per indicarla pubblicamente come il simbolo di una promessa mantenuta e di un obiettivo strategico dell’amministrazione: recuperare il Santa Maria Maddalena. Annunci e selfie che seguono le azioni per allontanare quanti, associazioni e cittadini, stanno chiedendo partecipazione e trasparenza. Al di là delle motivazioni ufficiali, che indicano la necessità di tutelare la pubblica incolumità, per comprendere quanto accade, allora, si deve forse seguire la strada dei fondi europei, delle progettualità milionarie che coinvolgono innanzitutto Regione e Asl, e di conseguenza il Comune, e per le quali, secondo alcuni, si preferirebbe evitare il confronto con la cittadinanza attiva. Sempre che queste progettualità vadano in porto e non si concluda tutto, come in passato, con un’incapacità a procedere. Nel frattempo, però, su un sito di informazione locale il sindaco annuncia: “Subito dopo la pulizia delle aiuole mi rivolgerò al comitato provinciale dell’ordine pubblico per coordinare lo sgombero dell’area da presenze improprie che attualmente popolano i padiglioni. C’è addirittura chi vi ha installato una roulotte e ci vive da tempo senza che nessuno sia mai intervenuto”.
I nuovi invisibili
Già, perché l’ex manicomio dismesso, negli anni, si è ripopolato. Così domenica, mentre gli attivisti distribuiscono volantini, dall’interno un uomo deve scavalcare l’alto cancello d’ingresso per uscire. È uno dei nuovi “invisibili” della Maddalena, persone senza fissa dimora, donne e uomini italiani e migranti, alcuni con problemi di dipendenza, che abitano i vecchi padiglioni asilari e che, nel corso della mattinata, iniziano a uscire sul viale d’ingresso; qualcuno si avvicina al cancello, a vedere cosa stia accadendo, i volti scarni, indossano povertà e qualche monile di una vita ai margini. La scena di questa prima domenica di maggio, a quarant’anni dalla 180, è un paradosso del tempo, e mentre in tante parti d’Italia si festeggia l’anniversario della chiusura dei manicomi, qui nel manicomio si materializzano i nuovi esclusi, rifiuti soliti umani, vite di scarto, cui non è destinato alcun progetto di sostegno e accoglienza, solo i prossimi obiettivi di un tavolo per l’ordine pubblico che sgombrandoli mostrerà con orgoglio il nuovo obiettivo raggiunto. Persone come l’erba tagliata. Poi, tra divieti d’accesso, muri e cancelli si tornerà a parlare di poli universitari, musei hi-tech, residenze, magari anche un bel campo da golf che in queste progettualità spunta sempre. A fare argine, solo questi attivisti che provano a coinvolgere gli aversani e promettono: «La mobilitazione per l’apertura della Maddalena non si ferma!». Nel frattempo, quel che resta di un manicomio, delle tracce delle vite che l’hanno attraversato, al Santa Maria Maddalena di Aversa come al Leonardo Bianchi di Napoli, a dispetto delle previsioni di legge e di stanche ricorrenze da celebrare, è memoria calpestata. (antonio esposito)
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