Come ha fatto il pianoforte da elemento di arredo imprescindibile nelle case del colto borghese a diventare lo strumento dell’immaginario musicale contemporaneo per eccellenza? La risposta sta forse nel fatto che intorno al pianoforte si sia costruito un modello culturale che dai salotti di fine Ottocento si è spostato a luoghi più marcatamente pubblici. L’elettronica poi non ha intaccato affatto il fascino cultuale dello strumento musicale: il sintetizzatore non ha rubato il cuore dei fan dei lied di Schumann; e i fisici possono sbattersi quanto vogliono: c’è bisogno del martelletto per quella vibrazione. Con buona pace degli ingegneri del suono. Il fatto poi che gli manchi la cassa di risonanza non lo rende tanto fascinoso quanto il suo parente acustico.
La manifestazione Pianocity nasce da una costellazione di elementi di questa portata, in grado di mobilitare il pubblico per calare l’ascolto classico nella dimensione contemporanea di piazze a misura di salotto. Una di quelle manifestazioni in grado di prescindere dal contesto cittadino, proponendo la cultura del format che è un po’ il pilastro della institutio europeae.
La città di Napoli ha ospitato l’evento nei giorni 13-14-15-16 ottobre, roba da tetralogia wagneriana. In queste date, il pianoforte ha risuonato “in ogni angolo (dunque, alcuni angoli) della città con concerti ed eventi nei più bei luoghi storici: musei, teatri, biblioteche, metropolitane, aeroporto, scalinate, strade e piazze”. Oltre agli appuntamenti nei salotti delle case napoletane, gli House concerts, eredità storica di una funzione borghese della musica che si accompagna inevitabile ai book fotografici postati sui social, traccia di un romanticismo fin troppo decadente che si muove sullo sfondo del contemporaneo.
Il folto programma è stato preceduto dall’esecuzione di Vexations di Erik Satie nella giornata di sabato 8 ottobre nella galleria Umberto I. Si tratta una performance molto chiacchierata, portata all’onore delle cronache da Cage con la prima al Pocket Theatre di New York nel 1963. Nel giro di cinquant’anni è stata sapientemente addomesticata col tono spettacolarista che la accompagna, nonostante la rottura che suonò lampante all’epoca. Da qui la scelta di porla alla testa del festival.
Il 13 c’è stata l’inaugurazione: quale cornice migliore del colonnato di piazza Plebiscito per disporre i ventuno pianoforti a coda con cui dare il via alle danze? Dal 14 in poi il galà musicale: tanti concerti gratuiti hanno ristrutturato l’offerta musicale della città in locazioni attrezzate da partner il cui mecenatismo non si discosta dagli intenti pubblicitari. Duecento concerti, sessanta House concerts, quattrocento pianisti. La retorica del numero sembra essere la chiave di volta per sensibilizzare il pubblico. Così il programma totale dell’iniziativa è consultabile in sedici pagine, scaricabili in pdf dal sito. Dunque, a voi il grand tour, consapevoli del fatto che lo si possa attraversare tutto solo con la lettura, non con la presenza. Chiude l’iniziativa il concerto del pluripremiato pianista jazz Enrico Pieranunzi, nel chiostro di Santa Caterina a Formiello.
Le manifestazioni così grandi, attraverso cui trapela la logica dell’evento che sembra intimamente connessa alla gestione della musica, nell’offrire così tanto rischiano di far arrivare davvero poco. Insomma, la pratica del rumore sembra inficiare anche quegli eventi che si pongono a difesa della musica. Importante diventa saper filtrare.
Domenica 16 ho raggiunto il TAN (Teatro Area Nord) per uno dei concerti di Pianocity. Scendo all’ultima fermata di una metropolitana che un giorno non conoscerà capolinea. Dunque, in quindici minuti, on foot, raggiungo quella che è una scuola fantasma all’americana, di quelle tipo strage del Columbine. Una struttura che nella decadenza conserva il suo fascino. L’ingresso è però proprio su via Nuova dietro la vigna, lo stradone a scorrimento veloce che costeggia i marciapiedi. Il TAN è il terzo teatro comunale di Napoli per grandezza, una sala davvero intima nella sua struttura. Il nero intorno e le poltrone appoggiate alle gradinate mi portano alla memoria quei centri polivalenti che tra l’Irpinia e il Sannio svolgono la funzione di teatro. E il clima che si respira è decisamente familiare.
Il concerto è stato preceduto da interventi che hanno reso omaggio alla tradizione musicale di Piscinola, Marianella e Secondigliano. Lo storico Salvatore Fioretto, infatti, berretto della banda alla mano, ha ricordato quanto solide ne siano le radici, vitali fin dalla fine del 1700. Quanto ancora possano dire, significare. Inoltre, gli animatori del TAN hanno ricordato la centralità delle attività culturali, trampolino di lancio per una periferia che non vuole più sentirsi isolata. Vedi la navetta che parte dal centro per permettere agli spettatori lontani di fruire dell’offerta del piccolo partenopeo.
Dall’intuizione di Gabriele Ottaiano nasce 24 Mani per due pianoforti che, in collaborazione con Coro Modigliani Senjor e Coro MareMusica, ha proposto un concerto inusuale in grado di mettere in scena dodici pianisti e un buon numero di cantanti: tante generazioni riunite in ensemble. Due i brani in piano “solo”, Danza archaiqa del compositore bulgaro Yossifov, e un medley di canzoni napoletane montato da Livio De Luca. Il pianoforte a coda viene usato in tutto il suo corpo: non solo la tastiera, ma viene esplorato tutto secondo il filo rosso della percussione. Segue poi l’intervento del coro diretto da Fulvio Gombos. Il dialogo tra le parti in azione scenica, coro e strumenti, anima due brani: il caliente Time Flows, Time Blows di Giuseppe Aprea, e la contagiosa Rapsodia Urbana di Claudio Panariello. Il mio brano Undergroud walk, che reimpiega i suoni della metropolitana, chiude il programma animato dal dialogo tra il coro e una traccia di suono fissato secondo le regole della conduction. Anche il pubblico vi ha preso parte, spinto dalle aperte regole del gioco. Eseguirlo nei pressi della metro di Piscinola è stato il valore aggiunto. (antonio mastrogiacomo)
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