Una di quelle occasioni in cui il pubblico migliore resta quella silenziosa telecamera capace di seguire l’azione, a differenza dei pochi mai buoni ma presenti. Nel caso del concerto di stanza presso il teatro dell’Asilo Filangieri giovedì 24 gennaio siamo meno di quanto meriterebbe Libra, quartetto che in altri tempi avrebbe richiamato pubblico a fiotti, destinato a partecipare perché attore e non manichino. Musica così non ne sentivamo da tempo e allora meglio essere in pochi e ascoltare che essere troppi e partecipare soltanto.
Godibile la simbiosi acustica di strumenti posti in aperto dialogo il cui controllo timbrico prima dell’arguzia tecnica elabora tessiture ricamate da una voce emergente quasi fosse solista. Così lontani dalle geografie del suono da trovarci invischiati nella pratica di una comunità che non costruisce eventi come oasi, ma quotidianità come ricerca da fertilizzare con la presenza. “Libra è il tentativo di creare un equilibrio, inevitabilmente instabile e in continuo movimento. Si scrive con l’ascolto e niente precedentemente è stabilito; l’attenzione al suono e alla ricerca timbrica formano la tessitura della narrazione creata dai musicisti”, riferiscono in fase di presentazione i quattro coinvolti in questa sessione, che potrebbe sembrare una prova a misura di pubblico se non fosse per quella telecamera lì a sottendere oltre all’idea della documentazione quella meno edulcorata della prestazione. Ermanno Baron alla batteria (e non solo) raduna altri tre musicisti (Ludovica Manzo alla voce, Flavio Zanuttini alla tromba, Marco Colonna ai clarinetti) per iniziare un discorso sull’improvvisazione a partire dall’eterogeneità di una proposta che possa placarsi nella composizione istantanea.
Così la storia musicale di ognuno realizza un’esperienza di percussioni adeguata alle tecniche estese, di clarinetti diversi eppure magistralmente controllati, di tromba in si bemolle che risuona del rullante, di voce elettronicamente assistita. Questa singolare offerta musicale ha avuto il merito di distoglierci dalla consuetudinaria serata di musica al Sannazzaro nonostante la presenza della violinista tedesca Suyoen Kimper per il primo tempo dell’Integrale delle Sonate e Partite di Johann Sebastian Bach per violino solo. Si fa apprezzare l’adesione militante dei quattro alla volontà musicale: come a dire che si può fare ancora musica ricercata a partire da un fraseggio, come nel caso di Colonna, interprete raffinato e seducente col suo suono assolutamente calibrato ed espressivo. Seguita inesorabile un segmento più trumpettizante e coinvolgente. Create le condizioni di ingresso a una voce la cui assoluta non intellegibilità dovrebbe far guadagnare attrito all’ascolto, sullo sfondo Baron agita il tempo a partire dal battere, percuotere cose diverse, con forze diverse in tempi diversi. Se proprio c’è una cosa che manca quella è il silenzio, un rischio da correre poche volte – come avverrà in seguito ma solo come parte di un insieme ritmico, giammai come volontà di ascolto.
Come dare loro torto: si veda quel segmento in apnea da respirazione circolare per clarinetto prima, tromba insieme poi, mentre le percussioni stanno dietro e non lesinano interventi sulla cassa; e con questo tanti saluti all’artificio dronico a vantaggio di una tensione altrimenti irrespirabile, prima del morphing sulla tromba con tanto di gestazione aptica del suono. In altre parole, il concerto riassume in quasi sessanta minuti alcune tendenze di una musica improvvisata affidata al gusto di esecutori chiamati a leggere e reggere una situazione a partire dall’ascolto reciproco affidandosi, oltre che allo strumento, a uno strumentario di azioni sullo strumento come formulario. Ne viene fuori una miscela di generi alle volte davvero sapientemente giocata, altre volte quasi a scrocco sul tempo. Molto meglio di tante cose ascoltate, pazientemente confezionate dal mantra dell’assoluta ricerca quasi sempre omologata a una natura romanticamente ingenua della produzione musicale.
Che la telecamera abbia da essere innalzata a pubblico è proprio perché il pubblico manca e se l’esposizione è finalizzata a un altro assente meglio consegnarla alla memoria del ripetibile. Lasciamo l’Asilo poco contenti dello stato della musica ancora da ascoltare perché, dietro diverse assenze, si nasconde una abitudine tesa a incontrare l’inaudito solo se di richiamo. (antonio mastrogiacomo)
Leave a Reply