I professionisti della musica, quelli dalle competenze certificate, conoscono tutte le strategie per preparare un ritardo in sede di armonizzazione; nel tempo hanno trasferito questa pratica direttamente al cerimoniale concertistico, così che la preparazione del ritardo anticipa qualsiasi esecuzione in città, eccezion fatta per quelle realtà che garantiscono una certa precisione, anche a partire dalla presenza delle note di sala al posto di un bar. Sono passate da un bel po’ le 21. Il gruppo che si accalca nei pressi della chiesa di San Giuseppe delle Scalze, dopo essersi inerpicato per salita Pontecorvo, staziona tra le scale e l’ingresso, compattandosi nello spazio fugace di un saluto diluito dalle chiacchiere, accompagnato da bevanda e sigarettine. In città il fermento ascrivibile alla musica contemporanea misura un certo coinvolgimento: sempre più musicisti passano dal lato dell’organizzazione e Non sempre nuoce è l’ultima associazione nata con questa mission, a partire dall’impegno concreto di Antonio Raia e Renato Fiorito in primis (stavolta coadiuvati da Sergio Naddei).
Ci lasciamo alle spalle l’esterno solo con gli occhi. Superiamo la banchina della biglietteria, risaliamo le altre scale che conducono al complesso un tempo ecclesiastico, ora spazio deputato al loisir. Ci tocca fare del self sitting, dal momento che le sedie predisposte non bastano e che la balaustra non può ospitare sederi (sebbene molti ci abbiano provato); prendiamo posto rigorosamente in silenzio che tanto la circostanza è rumorosa di suo. Al centro della scena due sedie di legno, di quelle evidenti, ospiteranno a breve il duo Mallozzi-Viola, sintonia violoncellistica adeguata a principiare le danze. Una scelta, quella degli organizzatori, di mantenersi nell’ambito di una fonia rigorosamente acustica così da consacrare la bontà del luogo d’esecuzione prescelto. Un duo di certo affiatato e molto concentrato nell’ascolto reciproco, tale da supporre una improvvisazione su canovaccio. Godo di una posizione invidiabile, sospeso tra l’interno della sala e l’esterno della scala, apprezzo le diverse direzioni che i suoni attraversano prima di giungere alle mie orecchie; gli intenditori li distinguo dagli occhi chiusi, loro sì che ascoltano. Stasera più quarantenni che altrove, di quelli che hanno scelto la serata libera anche in settimana, e si ritrovano qui come al calcetto a raccontarsi nell’intervallo, tale che il tempo effettivo è pari al tempo di gioco, sempre per restare nel calcio che tanto diverso alla fine non è.
Nella pausa restiamo lì, c’è un cambio scena, via la centralità degli esecutori, Peter Brötzmann preferisce la frontalità. Tra i due segmenti sono passati almeno venti minuti, immotivati da un lato, necessari dall’altro. Come è bello mantenere l’attenzione per l’ascolto il mercoledì sera, alle 22 passate, una cosa così semplice da essere consuetudine, una impasse fortissima dalla quale la musica non vuole uscire. Dicevamo del sassofonista tedesco, preceduto dalla sua storia che non aveva mai toccato Napoli; ci arriva nel 2019, alla soglia degli ottanta, per regalarsi un solo al sax tenore. Perché anche questo aspetto è da considerare, questi musicisti non ci fanno un piacere a venire a suonare, ma si regalano questa dimensione a partire da un silenzioso patto fiduciario col pubblico, che si riconosce nella loro autorità di interpreti della musica novecentesca. Questo principio di autorità fa sì che il valore dell’esecuzione sia gerarchicamente predisposto dalla firma. Ma se c’è bisogno di ascoltare qualcosa di diverso, è opportuno in qualche modo andare nel passato, che la contemporaneità è piatta, che di musica contemporanea ce n’è anche troppa, che l’improvvisazione rappresenta una bolla speculativa al tramonto di questi anni dieci anni del secolo primo del millennio terzo. Si insiste qui, invece, su un registro medio-alto, riportando il sax a una più autorevole forza auletica; un fraseggio dal vibrato forzato, dalla straripante e vertiginosa tecnica che ausculta la natura metallica del sassofono tenore, prima di sfociare in una estensione puramente rumoristica. Posizionatosi sul sagrato, celebra il suo personale canto disgiungendosi dal circostante per farsi diffusione.
Maggio dei monumenti, anche in musica. Sempre più nomi grossi arrivano in città, a farsi visitare nella gioia dell’ascolto. Ed è una cosa importante, che testimonia la crescente sensibilità del pubblico a partecipare, in qualità di forza nutritiva dell’offerta di una musica contemporanea più fotografata che mai. Sono davvero colpito dalla presenza di questo pubblico, finalmente la musica può riconoscersi nei suoi ascoltatori, e tutto quell’informe che fino a questo momento ne aveva delineato la spontaneità diventa un ricordo. (antonio mastrogiacomo)
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