Si sta freschi e la giornata faticata sta per concludersi con un compleanno di quelli ultrasecolari: le 358 candeline di Alessandro Scarlatti – è mercoledì 2 maggio. Il giorno dopo il concertone di piazza San Giovanni, Napoli ritrova Liberato. Ma anche la stagione del barocco, rassegna curata per il secondo anno consecutivo dall’associazione Alessandro Scarlatti. Esiste una parte della società, infatti, che resta immunizzata dalla musica recente al punto da aspettare solo quella del passato.
La sala affittata per l’occasione è di eccezione: la chiesa di San Marcellino e Festo viene presa d’assalto da orde di galantuomini e gentildonne. Quando arrivo, riposano beati sui poggi infra colonnato, respirando la brezza di questa giornata non troppo calda per essere in maggio. Giovani in assetto sportivo tenteranno di forzare l’ingresso ma senza fortuna: la guardia li blocca, ché il Super Santos non ha da sbattere in terra. All’ingresso distribuiscono i programmi di sala di tutta la rassegna: quattro gli appuntamenti, tra San Marcellino e il museo Diocesano (il complesso monumentale di Donnaregina), di quelli che tutto fa testo e nulla è lasciato al caso. Entro quando sono ancora in corso le procedure di accordatura del clavicembalo, la tastiera protagonista di quel tempo andato, alla cui guida siederà Andrea Buccarella.
Compleanno dedicato alla musica sacra di Scarlatti: In nomine patris il titolo che annette di diritto l’omaggio al padre anche del figlio, con l’ultima composizione di Domenico Scarlatti, il Salve regina. In programma ci sono le composizioni di uno Scarlatti Alessandro seicentesco, che meritano l’esecuzione in una chiesa come questa. Interessarsi del repertorio del Seicento e Settecento significa tener presente le sonorità di queste forme compositive, affidate a un andamento temporale sempre teso in avanti, quando la musica corre fresca per non fissarsi, altre volte caricandosi di quale tatto.
I ricercatori dell’antico si danno appuntamento. Come loro, anche gli archeologi delle sale da concerto. Quei secoli lì dovevano dare tanto alla fama dei musicisti. Fama che ancora vive, sebbene per pochi. Il mercato di oggi invece è saturo e il meteorismo musicale intralcia solo temporaneamente i nostri padiglioni auricolari, in modo che si possa quasi evitarne memoria. Ci sono i cantanti e gli strumenti che già come oggetti mostrano il fascino indiscusso dell’antico, stavolta trasferito in un bene in utilizzo. La sonorità del barocco non è mai eccessiva: si muove con discrezione, leggera.
Stiamo lì, seduti su queste sedie in tessuto, da regista, bianche, ben allineate, che rafforzano l’idea di luce che promana dalla chiesa. Nessuno si sventola, segnalo piuttosto l’assenza di colpi di tosse mentre l’allergia ancora non ha mietuto troppe vittime: considerazioni che vogliono sottolineare la congruenza del panorama acustico per il concerto. Gli interpreti sono piuttosto giovani, si chiamano Abchordis Ensamble e da sette anni ricercano nel campo della musica antica. Si muovono parecchio, devono essere anche ottimi solisti. Spiccate doti di fraseggio e gestualità controllata assicurano una giusta esperienza musicale. Tra l’altro, il loro primo disco è interamente dedicato alla musica sacra del barocco napoletano, con opere inedite di Gennaro Manna, Aniello Santangelo e Giacomo Sellitto. Insomma, l’opening act è caratterizzato da una forte idea di promozione di questa musica.
Solo qualche volta l’applauso del pubblico interviene tra i segmenti dei brani in esecuzione, spezza forse quel clima di erudizione che si avverte in presenza di simili manifestazioni musicali, ma ci avvicina a disporne fuori dalle abitudini. Le parole di Tommaso Rossi, direttore artistico della Scarlatti, ricostruiscono il percorso intrapreso con la rassegna, che si chiude il 6 giugno con le musiche di Luigi Rossi, la collaborazione del Dipartimento di musica antica del conservatorio cittadino e la direzione di Antonio Florio. Nel mezzo gli altri due concerti con Bach e Vivaldi. Insomma, i big tune del tempo.
Il concerto si chiude poco prima delle 21, in un orario utile ad allungare la serata prima della cena, momento che tutti avremmo religiosamente consumato poco più tardi, chi fuori, chi a casa, secondo le proprie abitudini. La musica recente avrebbe nuovamente colonizzato l’attenzione grazie a una invasione delle bacheche in grado di recintare l’ascolto nella gabbia di una lagna che si consuma da 360 giorni a questa parte.
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Un lunedì è giorno insolito per un concerto. Ma va bene se il concerto è atteso. 7 maggio. Antonio Raia incontra Chris Corsano al Riot Studio.
La giornata ha tradotto meteorologicamente l’umore dei napoletani che hanno salutato un sogno nel cuore, al netto di questa stagione. Una pioggia a intermittenza ha bagnato il suolo, inzuppato alcuni, rallentato tutti. Tanto che alcuni dubbi potevano pure starci sull’adesione massiccia del pubblico. E invece no, sta cosa della musica, soprattutto su appuntamento, non s’ha da mancare, che si sfida la pioggia, la stanchezza, la sveglia feriale e si partecipa. Drink in una mano, sigaretta di tabacco nell’altra durante le pause offerte per rifiatare, l’abito della serata lo realizza il pubblico, il corpo lo mette in passerella la musica.
Antonio Raia presenta la preview del progetto Asylum, in uscita per Clean Feed Records nel luglio 2018. La cosa si tiene in tre set. Al meglio di nessuno. Iniziano Antonio Raia, sax tenore | Renato Fiorito, elettronica. Poi tocca a Corsano, in solo. Chiudono assieme.
Sull’elettronica Raia sovrappone un soffio che si ripercuote sullo strumento. I volumi sbilanciati permettono una rarefatta emissione che prelude l’intervento di controllatissimi armonici. A un tratto la sala, tranquilla, viene spazzata dal suono del sax: un suono opacizzato che sovverte la necessità melodica per farsi grido – più che gesto. L’intenzione fa suono mentre la respirazione magniloquente segmenta le tappe di queste frasi spezzate, dalla punteggiatura che non conosce pausa. Il suono si è pulito per farsi fraseggio. Così torna l’elettronica, stavolta per animare un dialogo e farsi in seguito intermittenza, controllo tra le parti. Il pubblico pende dal chiver di Raia che ha ben presente il clima ovidiano celato tra le sue mani quando la commistione tra elettronica e sassofono diventa lampante e avvolgente allo stesso tempo. Come se fosse qui la festa, partecipano tutti in aureo silenzio facendosi da parte. Al massimo si beve. Fiorito segna, limita i tempi dell’intervento; la forma compositiva esce fuori alla lunga per il piacere di destrutturarsi. Poi un tema come di ninna nanna inizia a farsi spazio prima di un fischiato – su cui interviene qualche volta l’elettronica – che stimola uno specchiante feedback da parte di un tipo del pubblico che anima un controcanto. Si prende pure un bravo da fuori la sala e continua, va avanti. Fino al tema di un “te voglio bene” da ritrovare nella sua decomposizione. Si termina con una scalata di armonici, prima di fare dell’altro e poi arrivare in vetta.
Si cazzeggia, ma poi lo si evita, ché Corsano non perde tempo. Lavora di archetto e piatti, playando. E ne esce fuori una cascata di frequenze alte che si rincorrono tra loro. Allora diventa ripetizione che scava il solco. Diventa più vorticosa questa cascata, si fa ancora più densa quando anche frequenze medie si inseriscono prima di rarefarsi nell’eco di una risonanza e cambiare oggetto. Allora tutti corrono a immortalarlo: non solo le mani, usa anche la bocca per arrivare in seguito alla batteria e farla diventare un banco di suoni. Una performance rigorosa, puntellata in scorrimento. Lineare. Il ragazzo è forte, il pubblico lo accompagna con lo sguardo. Lo interrompe un applauso, a sbarrare il finale.
La pausa si fa relativamente più lunga. La sala si svuota e ne approfittiamo per posizionarci su quello sgabellino Ikea che è gioia di economia e spazio. Sale in cattedra il trio, nel momento della condivisione musicale ultima. Sono venticinque minuti, dalle 23:08 alle 23:33 che la cosa va avanti quando capisco che manca un minuto alla fine. Alle volte te ne accorgi, pure in questa musica. Così anticipo l’uscita e guadagno il mio ombrello, il mio impermeabile. Fuori finalmente si respira di nuovo, la giornata si è pulita. Li lascio al Riot, al suo richiamo nel dare appuntamento al pubblico. Che finalmente si scarica in una pioggia di parole. (antonio mastrogiacomo)
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