È andata in scena al teatro Bellini nelle ultime due settimane la riproposizione della commedia di Eduardo De Filippo Il sindaco del rione Sanità. Una storia di malavita e redenzione riportata dalla regia di Mario Martone ai nostri giorni. La commedia eduardiana traccia i contorni caratteriali dell’ambiente dei “guappi” tralasciando – per forza di cose – la complessità delle configurazioni sociali che alla malavita fanno da sfondo, ovvero quello che tutt’oggi viene chiamato sottoproletariato urbano. Ma stavolta il rapporto con la criminalità e con la violenza delle relazioni sociali viene declinata non tanto dalla messa in scena ma dalla produzione e costruzione stessa della rappresentazione. Aldilà, infatti, della regia di un oramai un po’ âgé enfant prodige del teatro d’avanguardia, e della produzione della Elledieffe (la compagnia del fu Luca de Filippo, diretta dalla moglie Caterina Rosi), Il sindaco è il risultato del lavoro collettivo di un gruppo di teatranti/attivisti del Nest, un piccolo teatro del quartiere San Giovanni a Teduccio attivo da alcuni anni nei locali di una palestra riadattata.
Il Nest agisce in uno dei territori più difficili della città non soltanto per la presenza del crimine più o meno organizzato e di una delle piazze di spaccio più grandi (nel cosiddetto Bronx), ma segnato soprattutto da una significativa emarginazione sociale e precarizzazione non solo lavorativa ma esistenziale. San Giovanni è il primo quartiere della ormai scomparsa cintura rossa (insieme a Barra e Ponticelli) sorta a ridosso della zona industriale orientale. Una roccaforte operaia in una città priva di una vera e propria maglia industriale, una zona dove la “classe” avrebbe dovuto arginare la “plebe” imperante in altre parti della città.
La storia è nota. La classe si è sgretolata, i clan sono diventati referenti e mediatori per intere fette di popolazione confinata in alveari di edilizia economica e popolare. Qui il Nest ha portato avanti progetti “minimi”, ma la cui realizzazione ha reso necessario lo sviluppo di un metodo, di una fatica nonché di una rete di alleanze e solidarietà che ha coinvolto altri esponenti della scena teatrale napoletana, dal regista Davide Iodice al poliedrico attore Giovanni Ludeno. Nel Sindaco Ludeno stesso interpreta il dottor Della Ragione, simulacro della complicità sociale del malaffare e allo stesso tempo vettore di trasformazione/redenzione. Un’interpretazione asciutta, priva di certi tratti caratteriali che sempre più inquinano la rappresentazione del napoletano criminale. Una figura che fa da contraltare ad alcune, forse inevitabili, sbavature dello spettacolo dovute alla fascinazione dello spettacolo del male, diventato – purtroppo – il paradigma mass cult della rappresentazione della città.
Ludeno e il gruppo del Nest sono stati anche i protagonisti di un piccolo spettacolo – Migliore scritto da Mattia Torre – portato in scena prima nei locali di San Giovanni e di recente all’ex Asilo Filangieri, non senza difficoltà produttive e distributive. Si tratta di un atto comico – nelle intenzioni dell’autore – ma che della comicità trattiene unicamente il cinismo spinto e una lucida rappresentazione del degrado che segna la maggior parte dei rapporti sociali e lavorativi. Qui Ludeno dà vita a un monologo incalzante mettendo in scena la parabola di un servo che diventa padrone. Un viaggio recitato, ma anche sonoro e scenografico, tra le diverse personalità del protagonista che rispecchiano le sfaccettature del mondo del lavoro precario segnato da una competizione sfrenata e deregolamentata. Ne esce il ritratto di una società malsana, simile a quella del Sindaco, dove per centrare gli obiettivi bisogna essere smaliziati, cinici, violenti e disposti anche a uccidere.
Migliore è stata un’avventura produttiva complessa dove tanto il Nest che Ludeno hanno investito ciò che avevano a disposizione, privi di amplificatori e lustrini provenienti dall’alto. Un’operazione che – nel suo piccolo – riconcilia con un un mondo, quello del teatro, sempre più segnato da gerarchie, pratiche dinastiche, familismi amorali e manie di protagonismo esasperate. Come dire: i migliori non sono sempre i più bravi, sono solo quelli che scalano la vetta con il coltello tra i denti abbandonando la zavorra del talento e della passione (anche civile). Resistono per fortuna esperienze altre, che mantengono aperte le fratture necessarie perché l’arte della scena non diventi solo un arido spettacolo (più o meno di avanguardia). (-ma)
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