A una settimana dalla grande mobilitazione di sabato 25 marzo contro la costruzione del mega bacino idrico previsto nella campagna a ovest di Poitiers, a Sainte-Soline, gli effetti che la repressione e al contempo la potenza del movimento ecologista hanno innescato nel resto della Francia e nel resto delle lotte erano inimmaginabili e restano imprevedibili. Vale la pena quindi soffermarsi sul susseguirsi degli eventi proponendo una prima ricostruzione di quanto avvenuto in questi giorni.
Scegliamo un punto di partenza reale e simbolico: il blocco della rotonda della statale che da Lusignan conduce a Melle, avvenuto venerdì 24 marzo, alle 15, con l’obiettivo di superare insieme i numerosi posti di blocco organizzati dalle forze dell’ordine per perquisire e ostacolare l’arrivo dei manifestanti al campeggio di Melle. Al blocco è atteso anche il convoglio dei trattori della Confederation paysanne provenienti da tutta la regione che però tarda ad arrivare, ostaggio di un posto di blocco.
Il primo blocco di una rotonda è il segnale della determinazione dei giorni a seguire: solo tutti insieme ci si potrà difendere dal sofisticato dispositivo repressivo articolato su tutto il territorio che circonda il bacino. In convoglio, tutti riescono a raggiungere i campeggi, dove arrivano dopo poche ore anche i trattori della Confederation.
Riuniti in un generale clima di determinazione, sbalorditi dalla quantità dei presenti, la serata è all’insegna dell’organizzazione del giorno seguente. Più volte si torna sulle procedure legali e mediche da seguire nel caso in cui si venisse arrestati o feriti. C’è tensione nell’aria, ma anche tanta consapevolezza di dove si è e cosa si sta facendo.
L’obiettivo della manifestazione del giorno dopo è entrare nel mega bacino di Saint-Soline, come già avvenuto qualche mese fa. Anche se si tratta di un enorme cratere i cui lavori non sono nemmeno ancora cominciati, l’azione è fortemente simbolica e mira a contestare i progetti di costruzione di numerosi bacini nelle campagne francesi che dovrebbero risolvere il problema della siccità pompando acqua dal sottosuolo durante l’inverno e distribuendola durante l’estate. Numerose perplessità sono sorte da parte dei movimenti ecologisti e dei piccoli contadini sia sull’aspetto ecologico di questo tipo di modello, sia in merito a chi usufruisce poi effettivamente dell’acqua raccolta. I veri promotori della costruzione dei mega bacini sono naturalmente le grandi industrie agroalimentari e l’esito sul lungo periodo è la conversione all’agricoltura intensiva, a discapito dei piccoli produttori.
La strategia per entrare nel simbolo di quello che appare come un modello di sviluppo dannoso e diseguale, consiste nell’attaccare il luogo da più punti e con più cortei. Sabato mattina, quando ci incontriamo di fronte al bacino, ciascun gruppo avanza secondo le proprie modalità, tutti provano in ogni modo a rompere le file delle camionette preposte a difesa del luogo e ordinate lungo tutto il suo perimetro.
Ma dal cielo piovono granate. Solo dopo la lunga manifestazione di sabato diamo questo nome agli oggetti che vediamo caderci addosso alla rinfusa, seguiti dalle urla “medic”, fino a quando i medici non sanno più chi soccorrere, ci sono feriti da ogni lato e la folla capisce che è il momento di ritirarsi. I giorni seguenti alla manifestazione di sabato sono un susseguirsi di numeri: quanti i feriti, duecento, quanti i partecipanti, circa trentamila, le granate lanciate sulla folla, circa cinquemila in due ore, quanti i gendarmi, tremila, le persone fermate, sei, e un partecipante svizzero in detenzione amministrativa.
Durante le due ore più intense ci stupisce la collaborazione tra i cortei che attaccano e quello che avanza solo difendendosi, il secondo non manca di ringraziare e incoraggiare il primo. Ciononostante granate e lacrimogeni vengono lanciati ovunque, e colpiscono a raffica quanto più ci si avvicina alle file delle forze dell’ordine. Dopo un secondo tentativo di attaccare il bacino e una nuova ondata di lanci di granate, lacrimogeni e flashball, l’enorme corteo indietreggia definitivamente e in un moto spontaneo di complicità si appresta a tornare ai campeggi.
La sera si aspetta che escano prima le persone ferite e poi si riparte in convoglio per Melle, per un momento di convivialità dove si mangia, si canta, la tensione cala ma le strade adiacenti al campeggio e il paesino si riempiono di volanti delle forze dell’ordine intente a disporre controlli e bloccare tutti i presenti a piedi e in macchina. Capiamo che anche uscire da questa “trappola” non sarà semplice.
Inizia a girare la voce – poi confermata – della possibilità che nelle armi usate dalla polizia vi siano delle polveri riscontrabili attraverso esami con lampade a raggi UV, alcuni ne vengono sottoposti e trovati “positivi” finiscono in garde a vue. Capiamo che il loro obiettivo non consisteva solo nel disporre un apparato di gendarmeria armato fino ai denti, il dispositivo repressivo si allarga e si perfeziona a oltranza.
Nei giorni successivi si moltiplicano le notizie circa gli esiti e i risvolti della manifestazione. La violenza che il movimento ha incontrato appare la stessa dispiegata durante il movimento dei gilet gialli nel 2019. Numerosi media indipendenti francesi analizzano la gravità delle misure usate dalla macchina statale, ma non perdono di vista la potenza della mobilitazione, nella pluralità delle sue forme e modalità di coinvolgimento.
Alla repressione violenta durante i tre giorni di Sainte-Soline, il ministro dell’interno Darmanin aggiunge lunedì 28 marzo il provvedimento di persecuzione legale dei movimenti organizzatori ordinandone la dissoluzione. Sempre nei giorni seguenti, Mediapart pubblica una registrazione telefonica che testimonia come le forze dell’ordine abbiano ostacolato l’intervento immediato dell’ambulanza per soccorrere i feriti gravi, confermando ancora una volta l’ovvio intento mortifero della politica francese nella gestione dei giorni di Sainte-Soline.
Dinanzi a tutto questo, viene lanciato un appello per riunirsi davanti a tutte le prefetture e sottoprefetture del paese giovedì 30 marzo alle 19, a sostegno dei due manifestanti ancora in coma, dei feriti, contro la violenza poliziesca. I presidi di giovedì si svolgono in tutte le città francesi. Seguirne gli sviluppi, ormai dall’Italia, significa rincorrere le immagini dell’ennesima giornata di mobilitazione diffusa segnata da manifestazioni spontanee e tentativi brutali di repressione.
A soli quattro giorni dalla grande manifestazione di sabato appare chiaro che Sainte-Soline continua, negli scioperi e mobilitazioni contro la legge sulle pensioni, ma soprattutto contro il governo di Macron e lo stato francese con il suo apparato di morte, in una critica diffusa e strutturale al sistema poliziesco. Allo stesso tempo, iniziano ad alzarsi voci da tutta Europa in solidarietà al movimento e a tutte le persone coinvolte. A Salonicco martedì 28 marzo cinquecento persone hanno manifestato con lo slogan usato a dicembre dopo l’uccisione razzista da parte della polizia di Kostas Fragoulis che recita: “Il sangue che cola chiama alla rivolta”. Un altro media indipendente francese ci ricorda che se uno degli obiettivi dei dispositivi di polizia consiste nel terrorizzare mutilando, la paura deve rimanere nel loro campo. Sainte-Soline continua ovunque, in Francia e non solo. (barbara russo)
Leave a Reply