Sarà proiettato mercoledì 1 febbraio, alle 20:30, a Galleria Toledo (vicolo I Porta Piccola a Montecalvario, 34) Little Palestine. Diario di un assedio, di Abdallah Al-Khatib. Il film è il primo dei quattro che proporremo nell’ambito della rassegna A FUOCO! Fare cinema sotto attacco (dal 1 al 22 febbraio, in Galleria Toledo).
* * *
Yarmouk è un campo di rifugiati palestinesi a sud di Damasco e per due anni, dal 2013 al 2015, è stato assediato dall’esercito del governo siriano di Assad.
Little Palestine. Diary of a Siege di Abdallah Al-Khatib è un memoriale visivo sui giorni trascorsi in una prigione a cielo aperto, tra le bombe, l’estrema indigenza, la fame. Abdallah e i suoi amici riprendono scene in strada, tra il sole e il suono delle esplosioni; quasi mai compaiono visioni di interni. L’autore entra a volte nelle inquadrature, spesso in compagnia dei bambini di Yarmouk, e la sua voce, da narratore lirico, accompagna le immagini scarne sullo schermo.
In Little Palestine la macchina da presa saggia lo spazio urbano sotto assedio. In fondo alla strada si vede il posto di blocco, una barriera edificata dall’esercito siriano. Al mercato i banchi sono vuoti, ma un uomo vende pale di cactus da cucinare in minestra. L’ospedale è senza medicine e le finestre non hanno vetri, un uomo urla che le bende dovranno essere ottenute dalle lenzuola, o dalla keffiyeh. Una manifestazione disperata supera il posto di blocco, la videocamera segue corpi festanti e impauriti, poi s’odono gli spari dei cecchini, la folla retrocede trascinando i feriti. L’esplorazione visiva dello spazio d’assedio coglie particolari minuscoli lasciati da un popolo sopravvivente: le unghie pittate di una ragazzina, un palloncino esploso da un bambino, le caramelle in mano a una vecchia disidratata, l’ultimo goccio di bevanda scura e zuccherosa nel bicchiere di un uomo anziano. In Quaranta regole dell’assedio, testo di appunti raccolti a Yarmouk, scrive lo stesso Abdallah Al-Khatib: “Regola 13. Sotto assedio, scopri il valore reale delle cose semplici – un bicchiere di tè, una tazza di caffè, una sigaretta. Impari a godere delle cose più piccole e le trasformi in un rituale di felicità. Perché la felicità sotto assedio è una decisione. Io ho deciso”. Eppure lo spettatore può solo intuire, senza comprendere, il terribile paradosso che grava su questo spazio: gli abitanti di Yarmouk sperano che il posto di blocco si apra per scappare di nuovo, e allontanarsi ancora di più dalla Palestina. Un esilio raddoppiato.
Il tempo sotto assedio è deformato, smisurato. “Regola 11. Sotto assedio, il giorno procede così piano che ti chiedi se mai finirà. E il mese procede così veloce che ti chiedi se davvero sia passato. Il tempo ti uccide quando lo osservi. Dimenticalo e trova il modo di riempire il vuoto. Fai attenzione a indossare un orologio da polso, o ad avere lancette che segnano l’ora nella tua casa. Io non ho un orologio”. Una bambina raccoglie verbena in un prato: la porterà a casa e la madre la cucinerà per lei e i fratelli. I colpi esplodono lontani e vicini. «Non sei spaventata dal rumore delle bombe?», chiede una voce fuori campo. «Non sono spaventata. Ci siamo abituati», risponde la bambina. «E se una bomba cade qui?». «Allora che Dio abbia pietà delle nostre anime». «Non ami la vita?». «La amo, ma non qui». «Sei stanca?». «Siamo stanchi. Ma che ci possiamo fare? I bambini sgobbano finché sono esausti, in questi giorni. Alcuni bambini raccolgono la legna per il fuoco, per riscaldare casa, altri bambini vanno alla ricerca di cibo». «È quello che capita ai bambini qui? Prima andavano a scuola, e ora?». «Ora diventano vecchi e sono esausti», dice la raccoglitrice di verbena. Nel tempo perverso dell’assedio i bambini sono costretti a saltare i decenni.
Sembra che tutti conoscano Abdallah a Yarmouk. Un elicottero ha appena sganciato bombe barile sulle case. Nella polvere dell’esplosione un uomo chiama un’ambulanza e poi urla: «Filma questo! Questa è la tua bomba barile, Bashar al-Assad!». In un corteo contro il posto di blocco la folla canta: «Il popolo / vuole / rompere l’assedio», e risoluta corre verso la barricata imposta; un manifestante esclama: «Filmami, Abdallah!». Un’altra manifestazione scatena canti e invettive accanto a recenti macerie, ma si distingue un’ingiunzione: «Filma tutto, filma!». L’orrore dell’assedio avvicina la comunità e Little Palestine diventa un racconto collettivo.
Intravedo il limite impossibile della forza epica: qui ogni immagine è, al contempo, secrezione di uno sguardo individuale e testimonianza di una coralità di assediati. Questo è un altro paradosso. “Regola 31. Sotto assedio, il dolore individuale non esiste, c’è solo il dolore collettivo. […] Sotto assedio, prova a sentire il dolore degli altri per diventare umano assieme a loro. Io resto separato”. I bambini trasformano la coralità della sofferenza in desiderio: «Io sogno di vedere mia madre e di mangiare pane», «Come tutti!», «Sogno che tutti i detenuti vengano rilasciati», «Sogno di rompere l’assedio», «Sogno di mangiare chawarma e di vedere di nuovo online Hassan Hassan», «Sogno il ritorno di mio padre», «Sogno che il campo torni com’era prima», «Sogno la strada aperta», «Anche io!», «Ma avevi detto che sognavi lo zucchero!», «Sogno che mio fratello torni alla vita. Davvero! Che mio fratello sia vivo di nuovo». (francesco migliaccio)
Leave a Reply