Abbiamo deciso di cominciare il nostro viaggio dalle storie dei pendolari che viaggiano quotidianamente sulla tratta Palermo–Messina. Gli scambi avuti con Giacomo Fazio del Comitato pendolari a proposito della situazione delle ferrovie siciliane ci avevano fatto intuire che molto c’è da raccontare sulle persone che regolarmente prendono il treno. Come del resto lui stesso che, oltre a raccogliere quotidianamente richieste e disagi dei viaggiatori, quotidianamente prende il treno.
Abbiamo preso il treno 3844 all’andata, quello che parte da Palermo alle 18.06, e siamo tornati l’indomani da Capo d’Orlando con il 12767 delle 6.32. Per chi viaggia da pendolare il treno non si identifica con gli orari di arrivo e partenza ma con il numero della vettura: 3844, 12767, 3833, 12760. Un susseguirsi di cifre dietro cui si celano abitudini, disagi e bestemmie dei viaggiatori pendolari lungo la Palermo–Messina.
Appena saliti sul treno, il 3844, individuarli è stato molto semplice. Seduti vicini, l’uno accanto e di fronte all’altro, parlano animatamente e si raccontano, commentano i nuovi orari presto in vigore da dicembre. Mi seggo nell’unico posto rimasto libero. Ad attaccare bottone si fa presto. Mi raccontano che prendono quel treno ogni giorno, chi da quindici, chi da vent’anni. Sono tutte persone adulte, tra i quaranta e i cinquanta anni. In pratica «hanno passato la loro giovinezza sul treno», mi dicono. Fanno lavori molto diversi, chi alla guardia di finanza, chi a scuola, chi alle ferrovie stesse. Così come sono diverse le fermate a cui scendono: Cefalù, Sant’Agata, Milazzo. Per chi scende a Milazzo la strada è lunga, due ore e un quarto di percorrenza, per chi deve arrivare a Messina ancora peggio, due ore e quaranta. Per loro che fanno questa tratta quotidianamente, ritardi e imprevisti sono all’ordine del giorno, così che se anche sulla carta le cose sembrano appattare di fatto non è così. La linea ferroviaria infatti è ancora prevalentemente a binario unico, per cui ogni viaggio prevede sempre una sosta in stazione più lunga delle altre per dare la possibilità ai due treni di scambiarsi e proseguire. Il luogo di questo incontro varia sempre, con conseguenze ed esiti sempre diversi. Mi raccontano che una volta quel treno è rimasto fermo in stazione perché era scoppiato un litigio tra i ferrovieri che non riuscivano a mettersi d’accordo su chi dovesse manovrare il treno. Nel nostro caso lo scambio avviene alla fermata di Campofranco, che è stata istituita da poco e alla quale, mi fanno notare, scendono pochissime persone. Capisco così che una fermata in più o in meno, può fare la differenza in termini di tempi di percorrenza e per questo diventare oggetto di contesa e scontro tra pendolari con esigenze diverse.
Gli aneddoti di situazioni surreali provocate da disservizi e imprevisti non mancano. Come quella volta che alcuni pendolari passarono il capodanno in stazione per un guasto al treno e l’assenza di una squadra di recupero (soppressa per via della mancanza di fondi) in grado di recuperarli. Le peripezie affrontate nei diversi anni di viaggi ferroviari hanno portato i pendolari ad affinare piccole strategie di sopravvivenza, nonché a sviluppare una conoscenza tecnica del funzionamento dei treni e delle stazioni che mi sorprende. Da profana faccio fatica a seguirli. Capisco però che non sempre l’orario di arrivo è il criterio utilizzato nella scelta del treno da prendere per chi uscendo da lavoro non vede l’ora di tornare a casa. Se infatti il regionale ordinario, che fa tutte le fermate, arriva solo un quarto d’ora prima del regionale veloce, che parte dopo, allora sarà quest’ultimo a essere favorito perché così minore è il tempo che il pendolare dovrà passare sul treno.
Mentre ascolto i racconti ci fermiamo a Cefalù. Sale una donna sui cinquanta che si unisce al gruppetto del quale ho fatto conoscenza. Prima di sedersi stende sul sedile un foulard bianco. Capisco solo durante il viaggio di ritorno che quella del foulard è un’usanza comune a tutti i pendolari che viaggiano col treno delle 5.00 in partenza da Messina. Lo stendono sul sedile come se fosse un lenzuolo per proseguire il sonno della notte lasciato a metà. Tra le prime cose che la donna salita a Cefalù mi racconta c’è proprio questa. Mi spiega che insieme a molti altri da vent’anni prende il 3833 delle 5.00 e sempre insieme “occupano” l’ultimo vagone del treno che usano come vagone-notte. Non è prescritto da nessun regolamento, ma a chi si siede viene fatta richiesta di tenere il tono della voce molto basso. Una prassi informale per consentire a chi viaggia molto presto di recuperare ancora qualche ora di riposo. La signora mi spiega che ha sempre fatto la pendolare, prima lavorava a Palermo, poi a Cefalù, in un ufficio pubblico. Da una vita dunque passa in treno due ore e mezza all’andata e altrettante ore al ritorno. Cinque ore al giorno quando va tutto bene. Vorrei chiederle se ha mai pensato di cambiare lavoro o trasferire la propria residenza. Ma i toni con cui parla sono troppo accorati e accesi per poterle porgere domande così intime. (luisa tuttolomondo)
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