Caro Franco,
ci tengo a scriverti questa lettera aperta perché ritengo che mai come in questo momento sia necessaria, soprattutto a me. Sono reduce dalla visione di quella che non faccio fatica a immaginare tra le opere filmiche più rilevanti di sempre. La Mafia non è più quella di una volta riesce nell’intento arduo e coraggioso di manifestare, attraverso una sintesi che ha del prodigioso, quel corto circuito irrisolvibile tra narrazioni e morali distanti, quasi opposte, tra l’innocenza e la vitalità del Novecento e l’asfissiante desertificazione contemporanea senza desiderio, in un audace, inedito, caleidoscopio prospettico, strutturato peraltro in maniera esemplare. Credo che nessuno più di te – sull’onda mai assopita di un senso triviale misterioso, indicibile, compiaciuto e bambino – abbia affrescato in maniera così efficace il fallimento o il tramonto di qualsiasi narrazione o regime morale, coadiuvato da un necessario cinismo romantico… detta così può apparire un ossimoro: ma che cos’è l’esistenza tutta se non l’ossimoro per eccellenza? Qualsiasi fenomeno chimico risulta essere il prodotto dell’alterco tra forze ed elementi opposti. È nella composizione della vita stessa che risiede strutturalmente quella che, intrisi – ahinoi – di civilizzazione, ci piace definire tragedia. E tu, in un canto meravigliosamente amorale e avvelenato, torni a mostrare a un cinema italiano distillatissimo, di intonazione pariolina o retoricamente psicanalitica, quanto gli unici aspetti veramente risibili sgorghino proprio da una tragedia senza dramma. Il dramma è mera questione borghese. Vox clamans, la tua, nel deserto di un reale passivamente assuefatto alla normalizzazione o alla comunitariamente condivisibile, civile, schematizzazione di ogni istinto.
Mi viene in mente a tal proposito l’ultimo piano-sequenza de L’enigma di Kaspar Hauser di Herzog, in cui il “contabile” trova finalmente pace, avendo scientificamente individuato nella corteccia celebrale lievemente deforme le cause di ogni disdicevole stranezza del protagonista assassinato poco prima. Mi viene in mente anche uno tra i momenti più penosi di un Sanremo di qualche anno fa, in cui due quindicenni, quanto mai agiti dal corollario del reale mediatico e da una malsano, borghese, anelito di egoriferita affermazione sociale, salgono sul palco dell’Ariston a pontificare a favore di una campagna anti bullismo.
In quel momento avrei pagato affinché qualcuno li andasse a menare in diretta, proprio come quando nel tuo film l’inimmaginabile Cristian Miscel aggredisce il neomelodico “bravo”, che, pieno del suo professionismo rionale, osa prendere verbalmente le distanze da lui… Ecco riemergere a simiglianza di ogni campagna sociale plurisovvenzionata dai ministeri, utilitaristica, la manifestazione processionale per Falcone e Borsellino, capace di disgustare persino Letizia Battaglia, la quale a oltre metà del film – superando se stessa nel dissolvere ogni storia – dichiara quanto possa essere preferibile quell’incantata innocenza della festa allo Zen alla terribile iniziativa istituzionale, in cui si intravede addirittura chi euforicamente balla dance, quasi come a eseguire il compitino del giusto… non ballerà mai purtroppo così bene come la viecchia danzatrice onnipresente sul palco di Ciccio Mira. A tal proposito, il buon Mira – forse l’unico vero saggio, il solo eco di Magna Grecia – segna nel cinema italiano in una ideale linea evolutiva lo spartiacque ideale.
È qui che l’anacronistico cinema di fiction dovrà darsi pace, così come anche ogni aspirante attore famoso: se cinquant’anni fa ammiravamo Ugo Tognazzi interpretare Antonio Focaccia ne La Donna Scimmia di Marco Ferreri, o il sommo Vittorio Caprioli nelle vesti di un meraviglioso ricuttaro in Arrangiatevi di Mauro Bolognini, oggi tu ci hai restituito Ciccio, la copia originale, che è oltre, anzi prima e dopo qualsiasi interpretazione, in una sorta di Nirvana della commedia, punto di non ritorno.
La Mafia non è piú quella di una volta è senza dubbio a oggi la tua opera migliore e proietta il vero a discapito del reale. Qualsiasi ipotesi narrativa è in sé un fallimento dell’essere. Grazie per la tua resistenza.
Nicola
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