Le parole della musica è una rubrica che amplia l’orizzonte forse ristretto delineato dai soli luoghi della musica. Per qualche strana abitudine, mai seriamente messa in discussione, capita, infatti, che gli esecutori siano muti di fronte al pubblico, che preferiscano far parlare la musica per loro; eppure, avranno qualcosa da raccontare, qualcosa da dire per far capire meglio non solo come fanno quello che fanno, ma soprattutto perché continuano a farlo. Questa rubrica affianca la precedente, seguendola cronologicamente; eppure lavorano insieme per monitorare lo stato della produzione musicale in città – e non solo. (am)
Le parole della musica non può non partire dall’anonimato – prendendo esempio da quell’industria musicale che ha trovato il motivo del suo successo dissimulando una produzione adespota. La garanzia di un musicista quale soggetto individuale viene qui messa sotto scacco dall’idea di fondo che sostiene l’esperienza musicale: l’Orchestra elettroacustica officina arti soniche (d’ora in poi, OEOAS).
Il primo ottobre 2014 inizia l’attività musicale di questa formazione, struttura radicalmente nomade che ha nella pratica improvvisativa il motivo della sua identità – qualcuno preferirebbe chiamarla composizione istantanea ma, onde evitare faide lessicali, adotteremo la più fortunata definizione di improvvisazione. Così incontro alcuni dei componenti mentre fanno un summit consultivo in vista del concerto del 22 settembre, presso la sala Scarlatti del Conservatorio San Pietro a Majella, proprio lì dove tutto era iniziato.
Il campo dell’improvvisazione – definita radicale dai più facinorosi – annovera molti di loro, mentre sempre più musicisti “accademici” iniziano a confrontarsi con questa diversa geografia del suono. Il ragazzo che interviene prima di tutti apre la sessione offrendo una panoramica del genere in città. «Penso all’improvvisazione come a una pratica non separata dal fare musica di per sé: se in conservatorio viene presentato un modo sistematico di far musica, da rispettare in maniera integerrima, fuori dall’accademia, con gli altri, la musica viene fuori da sé, gentile, con forme e linguaggi sempre diversi, sensibili e reattivi al circostante». Con un sorriso, mi conferma lo stato di salute che gode questa pratica: «Si è fatta tanta musica improvvisata in questi anni a Napoli. Si sono organizzati concerti, il pubblico ha partecipato. Sempre più persone si sono riconosciute in un codice fragile, non gerarchico, effimero e non edulcorato, fatto soprattutto di fallimenti».
Nel solco del suo intervento, mi interessa approfondire la differenza tra un’esecuzione controllata da una partitura e una che possa dirsi totalmente improvvisata. La questione sta particolarmente a cuore a chi interviene: «Ho macinato ore e ore di esecuzioni musicali, leggendo spartiti o semplicemente giocando col mio strumento, e sono sempre più convinto che suonare insieme abbia una mega regola: ascoltare l’altro. Che ci sia una partitura o meno l’atteggiamento del produrre un suono (dunque, anche il silenzio) deve essere in relazione con un altro suono che proviene dall’altro ed è vincolato dal suo volume, dal cosa sta facendo, dal chi lo sta facendo. Un duo come un’orchestra, un brano come una impro radicale, per aver senso deve considerare l’altro. In una improvvisazione questo atteggiamento può dirsi fondamentale, mentre l’ausilio di una partitura talvolta agevola gli esecutori perché il chi, il cosa e quando (strumento-note-durata note) vengono suggerite dalla scrittura».
Questa premessa aiuta a considerare la pratica dell’improvvisazione mediata non proprio dalla spontaneità degli interpreti ma dalle regole cui non può sfuggire l’andamento di un qualsiasi gioco. Ci tengono, infatti, a chiarire quanto sia proprio la struttura dell’interplay a mostrare la radicalità dell’offerta proposta: «La storia di questa pratica mischia le carte della tradizione arrivando a svuotare l’idea di genere musicale. Ci sembra una risposta all’attuale forma di produzione dell’industria musicale che si basa, appunto, sulla continua gestione del genere».
Arriva così il momento di chiedere dell’orchestra. La presentano quale formazione multi-identitaria e dal carattere aperto, in grado di includere ogni tipo di strumento (classico, etnico, elettronico, autocostruito) e qualsiasi capacità musicale raggiunta da ogni singolo strumentista (esperto, studente, inesperto). Sembra difficile a dirsi per un’iniziativa nata in un conservatorio!
«Mi sono avvicinato all’OEOAS perché non si basa sulla competizione, ma sull’inclusione. Non credo sia unicamente questo il motivo della sua diversità rispetto a un’orchestra tradizionale: basti pensare sia al risultato sonoro che alle pratiche impiegate. Da studente di musica elettronica ho sempre considerato l’orchestra come una palestra dell’ascolto: il focus principale di questa formazione, infatti, resta il suono tanto nella creazione di modalità esecutive quanto di strategie musicali. Inoltre, a suo tempo, rimasi affascinato dalla figura del conductor, il quale non si pone in maniera gerarchica nei confronti dei musicisti (il caso, questo, del direttore d’orchestra), ma si mette in ascolto del loro fare al fine di costruire in tempo reale una composizione sempre mutevole».
Mi dicono inoltre di far riferimento a un vocabolario comune di indicazioni che permette la coabitazione delle diverse istanze musicali a disposizione del conductor: il protocollo gestuale OEOAS. «Abbiamo adottato questo indice dei gesti costruendolo in conservatorio, in sessioni aperte a chiunque – interno ed esterno – volesse partecipare. Le istruzioni che regolano il corso di un’esecuzione, infatti, rappresentano un codice che trova corpo nei diversi gesti a disposizione del conductor. Onde evitare di risultare barboso, ti anticipo che da questi incontri è nato un video – di prossima uscita – a disposizione di chiunque voglia raggiungere la nostra iniziativa. Così il protocollo gestuale OEOAS diventa uno strumento da condividere con il pubblico, che può iniziare a familiarizzare con la nostra pratica decidendo altresì di aggiungersi a noi».
La storia personale di ognuno non chiarisce l’orizzonte della condivisione che sembra affiorare a più riprese nell’esperienza di questa formazione. Così, sorvolo e chiedo loro cosa sia cambiato da quel primo concerto in sala Scarlatti; in altre parole, che cosa anima il concerto del 22 settembre: «Il prossimo appuntamento sarà innanzitutto la testimonianza di un prezioso processo di crescita interna, in quanto per la prima volta l’OEOAS non farà perno sul suo attivatore Elio Martusciello, ma porterà sul palco un ristretto gruppo di musicisti selezionati tra le sue stesse fila in veste di conductor; sarà però anche la prova indiretta di come, al terzo anno di programmazione consecutiva, la realtà dell’improvvisazione guidata abbia conquistato uno spazio fisso all’interno dell’offerta musicale del Conservatorio di Napoli». (antonio mastrogiacomo)
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