Con la primavera Napoli diventa più attiva e moltiplica gli eventi culturali, adeguandosi alla possibilità di disporre di spazi all’aperto, di un pubblico più contento di uscire di casa senza sfidare la pigrizia e il freddo, dei costi ridotti nel partecipare a questa singolare parata sociale. Basta considerare il numero di concerti programmati a partire dall’ultima decade di marzo per accorgersi di questo mutato assetto logistico; e ancor più quelli dedicati alla sola e sfuggente musica contemporanea: fino a Pasqua 2019 gli appuntamenti superano la doppia cifra.
Punto di partenza di questa nuova stagione della “musica raramente ascoltata” non può non essere La Digestion che, per il suo terzo anno di attività, posiziona tre interventi a stretto giro, tra sabato 23 marzo e sabato 4 maggio. Un festival che ha lavorato molto bene nel tempo, cullato da una partenership quanto mai autorevole nel mettere in scena una determinata piega del contemporaneo. A Casa Morra si anima il primo appuntamento, con gli interventi di Tomoko Sauvage prima, David Moss in seguito.
Arriviamo in metropolitana, fermata Materdei. Poco lontano c’è l’ingresso di questa casa dell’arte aperta a tutti, quando serve. Il cortile sembra attrezzato per ospitare anche chi non è interessato alla musica. Oltre il portone d’ingresso il pubblico è stipato sulle scale in attesa che l’artista giapponese principi le danze. Grande è la fragilità nella struttura di una composizione che rivela la forza plastica dell’acqua, tra tessiture e punteggiatura sospese, tra battimenti e sostegno nel tempo. Le condizioni di ascolto si sviluppano dallo scalone illuminato secondo gli stessi colori di quel primo atto ex Basinski del volume II. Il pubblico, discreto, anela l’ascolto a mezzo concentrazione.
Proprio la presenza di un pubblico numeroso, fortemente educato all’iniziativa, stimola la forza di un’intesa che travalica la musica. Sul piano formale, gli intervalli non superano quasi mai la quinta, segmentati dal ritmo sghembo della caduta delle gocce, una a una, diversamente insieme nel tempo. Fioccano le riprese, ché la fanciulla ha le mani d’oro, lo spirito giusto, la presenza rara. Così arriva un più o meno riconoscibile treno d’impulsi, a spostare il discorso da un’altra parte, verso la combustione degli elementi. Una giocata niente male, a partire dal richiamo costante ai controllati sbalzi frequenziali. Potere della microfonia che regala megafonia agli oggetti, i suoni restano segnati da una parentela elettroacustica anni Sessanta per venire catturati in diretta su Whatsapp, regalando l’ascolto in differita anche agli assenti. Sauvage prosegue decidendosi per la stereofonia: la completezza dei gesti rientra tutta in questo nuovo segmento, che conduce a una conclusione apprezzabile al pari dei curatissimi fade che anticipano entrata e uscita dei segnali sonori.
Al rientro in sala ci aspetta David Moss, un omaccione newyorkese da tempo stabilmente europeo che si occupa di giocare con la voce in condizioni di megafonia. Dopo qualche minuto di cambio palco si riprende con lui al centro della scala, asserragliato tra il pubblico e il Provokalia Choir, luogo di incontro di tutti coloro che nei giorni precedenti avevano seguito un workshop proprio con lui. Realmente istrionico, Moss costruisce tutta la performance sulla mutazione del segno vocale a partire da uno sfondo costruito con la fisarmonica, la cui ricorsività trasferisce i toni dell’immediatezza a una composizione in qualche modo improvvisata, pur sempre a partire da una strutturazione ricorsiva. Una singolar tenzone tra fonogenia e ipotesi narrativa grazie al sostegno di una fisarmonica prima dal vivo e poi campionata. Una storia al meglio della sua forma spettacolo, tanto naturale da apparire a tratti forzata. Lasciamo alla fine il campo agli entusiasti della provocazione, rientrando a casa ed evitando un post-concerto fatto di convenevoli e salutini vari. (antonio mastrogiacomo)
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