Si è svolto giovedì 31 marzo lo sciopero nazionale indetto dal Coordinamento documenti per tutte e tutti e l’iniziativa è stata sostenuta da Campagne in lotta contro il razzismo e lo sfruttamento. L’iniziativa, con appuntamenti in varie città d’Italia, è nata per chiedere un cambiamento radicale delle politiche migratorie che impediscono a molti migranti di ottenere i documenti costringendoli a vivere in condizioni di estrema fragilità e marginalità.
Siamo andati ad ascoltare le voci a Torino e Milano nei presidi organizzati davanti alle rispettive questure, luoghi simbolici dove ogni giorno decine di migranti si mettono in fila per accedere agli uffici immigrazione nella speranza, spesso disattesa, di ottenere il permesso di soggiorno. Quegli stessi uffici dove, invece, capita che ai migranti vengano notificate le espulsioni oppure che, dopo mesi di attesa, zelanti funzionari decidano di non riceverli per motivi il più delle volte pretestuosi.
TORINO
Alle dieci di mattina è iniziato il presidio davanti all’ufficio immigrazione della questura. Nel piazzale antistante l’ingresso si sono radunati lavoratori immigrati e solidali. Intanto uomini e donne erano in fila per accedere all’ufficio: alcune transenne delimitavano la linea di un percorso obbligato. La coda era gestita da funzionari esperti nel disegnare gesti stanchi e arroganti. Poco più distante erano parcheggiate tre camionette dei reparti antisommossa, gli agenti senza caschi ricevevano in volto il sole del mattino. Una cassa d’amplificazione ha diffuso le voci dei lavoratori. Il primo intervento è stato di un cittadino afgano: voleva essere ricevuto dall’ufficio, ma un funzionario lo aveva appena allontanato. Così l’uomo ha colto l’occasione del presidio per prendere il microfono e protestare. Gli altri tre discorsi sono stati pronunciati da lavoratori che appartengono al percorso di lotta.
≪Io sono un cittadino afgano. Da tre giorni che sono qua. Tutti i giorni mi dicono le stesse cose: che devo venire alle otto, alle otto, alle otto. Non ti parlano con rispetto. Sempre, da tre giorni che non lavoro. Tre giorni. Mi hanno detto: “Stai urlando, quindi non possiamo controllarti. Perché stai urlando con un nostro collega?”. È rispetto questo? Questo è… Ma… Non va bene così. Va bene che sei polizia. Ma devi rispettarmi. Io lavoro! La signora mi ha detto ieri: “Vieni prima delle dieci”. Adesso mi ha detto: “Torna domani. No domani è chiuso. Devi venire lunedì”. Ma devo venire tutti i giorni a presentarmi qua? Io lavoro fino alle quattro di mattina! Alle otto io dormo! Va bene, non sono venuto alle otto, sono venuto alle nove, ma non puoi controllare? Cinque, sei mesi, sto aspettando per il permesso. Ogni volta mi dicono: “Portami il permesso”. Ma non ce l’ho il permesso! Non è questa la polizia? Questura di merda! Non si fa così. Potete parlare con rispetto? Siamo umani! E dopo di me, cinque persone, ho visto che hanno preso e sono andati a controllare. Ma a me, perché io sto urlando, per questo, mi dicono: “Adesso non puoi entrare, poi vediamo. Cosa dobbiamo fare con te?”. Ma che volete fare con me?≫.
≪Volevo chiedere i nostri diritti. Voi tutti sapete che noi migranti abbiamo grandi difficoltà qui, anche per avere lavoro, e non è facile, e per rinnovare il permesso di soggiorno è tutto un casino. Quindi è questo che noi vogliamo, chiedere al governo di cambiare questa legge di Salvini. Avere lavoro in Italia è molto difficile. Voi sapete che questo paese non ha abbastanza lavoro, quindi quando tu hai il permesso di soggiorno scaduto, in questura ti chiedono il contratto di lavoro. Voi sapete che in Italia è pieno di migranti, e tutte queste persone non possono avere contratto di lavoro. Noi vogliamo cambiare il permesso di soggiorno, senza che chiedano il contratto di lavoro. Siamo stanchi di questa difficoltà. Comunque questo è quello che abbiamo iniziato. E noi non molliamo. E finché non molliamo il nostro punto è giusto. Oggi non è abbastanza, però spero la prossima volta veniamo qui e chiediamo di nuovo. E se voi non cambiate questa legge blocchiamo anche la stazione dei treni. Siamo stanchi. Non mi piace parlare troppo. Penso che voi avete già capito. Adesso abbiamo tempo di lavorare prima di diventare vecchi, se poi diventiamo vecchi qui, forse finiamo a dormire in strada. Noi non vogliamo questa cosa, siamo qui per chiedere i nostri diritti. Il governo deve cambiare questa legge. Siamo stanchi! Siamo morti!≫.
≪Come il mio collega ha appena spiegato, con la sua storia, è incredibile che le persone ci urlano di andare a lavorare, senza lavoro non si può rinnovare il permesso di soggiorno. Dopo il lavoro con contratto a tempo determinato, contratto un anno, ok, “vieni in questura a rinnovare il permesso di soggiorno…”. Alla fine cosa ci vuole, cosa volete, soprattutto cosa ci vuole per la questura del Piemonte? Ci chiedete contratto di lavoro, la residenza, contratto di casa. E poi per rinnovare il permesso di soggiorno non si può. Cosa volete ancora di più? Non possiamo rimanere senza lavoro, senza permesso di soggiorno. Tutti vogliamo il documento, tutti vogliamo lavorare e tutti vogliamo che il nostro documento si può rinnovare. Ma cosa si deve fare? Come i giudici hanno detto: secondo la legge, ma in questura fanno fuori legge. Noi non vogliamo che voi lavorate fuori legge. Quindi vogliamo il documento per tutti gli stranieri. Vogliamo il rinnovo dei documenti per tutti gli stranieri!≫.
MILANO
I migranti del collettivo Ci Siamo, che riunisce abitanti di diversi stabili occupati in città, si sono fermati in uno spiazzale a pochi passi dall’ingresso dell’ufficio immigrazione in via Montebello. Sostengono un ampio striscione con la scritta “No al razzismo, no allo sfruttamento. Documenti per tutti senza discriminazione”. Dietro di loro ci sono gli italiani della rete solidale che li sostiene da diversi anni nei percorsi di lotta e occupazione di stabili abbandonati. Al di là dello striscione, un gruppo di poliziotti in tenuta antisommossa si avvicina in modo minaccioso, cerca il contatto con i manifestanti e prova ad allontanarli da via Montebello. Ma dopo qualche minuto di tensione, e la resistenza pacifica dei migranti, rinunciano e restano lì fermi davanti allo striscione ad ascoltare i vari interventi che si alternano alla musica della Banda degli Ottoni a Scoppio.
≪Noi siamo qua perché gli italiani trattano male i migranti. Noi siamo qua per chiedere i nostri diritti. Noi abbiamo doveri e diritti. Noi lavoriamo e paghiamo le tasse. Chiediamo la cittadinanza per tutti i bambini nati in Italia perché sono italiani. Chiediamo la chiusura dei Cpr e la cancellazione dei decreti sicurezza. Grazie alla vostra politica, al vostro colonialismo, il continente africano è diventato povero. Prima noi avevamo tutto: l’oro, i diamanti, il petrolio. Grazie alle nostre risorse l’Europa sta vivendo meglio. Quindi noi siamo qua oggi per avere i nostri diritti. Non siamo spacciatori di droga. Noi siamo lavoratori e lavoratrici che mandano l’Italia avanti. Noi siamo qua da più di quindici anni senza documenti e facciamo lavori di merda perché se tu non hai i documenti i padroni ti sfruttano sempre. L’Italia si deve vergognare≫.
≪Siamo qui per dare sostegno a questa lotta per i documenti che non sarebbe necessaria se vivessimo in un mondo in cui l’identità e la dignità delle persone avesse un valore universale e non venisse continuamente calpestata. Siamo convinti che questa lotta sia necessaria perché un documento cambia la vita delle persone e non averlo li costringe a una condizione di invisibilità e ad accettare condizioni di lavoro umilianti, in continua competizione al ribasso e rischiando molto spesso la salute. Assistiamo in questi giorni alla fuga disperata di un popolo dalla guerra, abbiamo gli occhi pieni di immagini strazianti, che non sono tanto diverse e lontane da quelle di altri popoli che scappano da altre guerre, dalla fame, dalle crisi climatiche. Crediamo che nessuna persona abbandoni la propria terra, la propria famiglia se non sia costretta. La sopravvivenza e riuscire – quando si riesce – a dare una mano sono gli obiettivi principali di chi affronta lunghi viaggi, costosi, con mille difficoltà dove si subiscono angherie e torture. Dove si rischia di perdere la propria dignità≫.
≪L’incontro di oggi ci permette di farci sentire dal governo italiano, di facilitare almeno l’ottenimento del permesso di soggiorno perché il permesso di soggiorno è il nostro parente qua, è l’unica cosa che ti dà casa, ti dà lavoro, ti dà da mangiare, ti permette di andare a trovare quel genitore, quel parente che hai lasciato nel tuo paese di origine. Senza di quello non si può fare niente. Non stiamo qua per insultare ma per dire basta, per chiedere un diritto che i vostri hanno avuto tanti anni fa quando si sono spostati per andare in Argentina, in Inghilterra, in Germania e hanno lottato per riuscire a farcela perché in Italia era difficile. Chi oggi arriva in Italia è perché è difficile nel suo paese. Quindi quando qualcuno arriva qua cercate di dargli un po’ di rispetto, un po’ di considerazione. L’aiuto non ha colore, io sono africana e se la legge protegge quello che è bianco, la stessa legge deve proteggere anche me. Cerchiamo di cambiare, cambiare il sistema, cambiare la politica dell’immigrazione perché c’è gente che muore nel Mediterraneo e nessuno fa niente. Basterebbe poco, che gli europei si mettessero insieme per fermare questa tratta che continua ad ammazzare, a uccidere, a violentare, ma a nessuno frega niente perché si tratta dei neri. Basta≫.
≪É uscita una sanatoria per motivi umanitari, ma l’inizio di questa sanatoria è iniziata con cinquanta milioni di euro che hanno intascato gli italiani, il governo. Ogni pratica, di questi 270 mila immigrati clandestini che hanno fatto domanda, deve essere vagliata dalla questura e questa fase dura mesi, esaminata anche dalla prefettura, altri mesi, e poi dall’ispettorato del lavoro. Non si sa se saranno accettate o non accettate. Adesso sono passati due anni e solo un terzo delle domande sono state esaminate. Questo a livello nazionale. A Milano e periferia le cifre dicono che sono meno di un terzo le pratiche esaminate. Questo ritardo non ha senso. Si parla di burocrazia ma è razzismo istituzionale. La sanatoria è iniziata con un versamento di 500 euro come multa per ogni operatore e subito sei mesi di tasse, quasi 900 euro, ma il risultato fino adesso è nullo. Questo è commercio, è questione di interessi non di umanità come si vantano sulla stampa e i giornali. Alla fine, io non sono contro gli ucraini, hanno bloccato tutto, permesso prima per gli ucraini, hanno svuotato i centri di accoglienza per fare entrare gli ucraini. Insomma, non ho preparato nulla, solo degli spunti, ma questa è una discriminazione, un razzismo istituzionale e basta!≫.
≪Basta essere presi per strada, essere clandestini e si finisce in un Cpr e si sparisce in un buco nero. Dopo un certo numero di giorni vengono espulsi, portati nei paesi di origine. È una delle cose peggiori che possiamo vedere. Una detenzione senza aver commesso alcun reato. Le persone vengono imprigionate e poi trasferite di forza. Hanno tentato di ribellarsi rifiutandosi di fare il tampone Covid ma adesso per ulteriori accordi sopraggiunti anche se non hanno fatto il tampone queste persone vengono di forza portate nel loro paese. Non è un grande numero se misuriamo rispetto alle migrazioni, però è calpestare i diritti delle persone, avere una difesa, avere la salute. Questa è una delle cose di cui Milano dovrebbe vergognarsi. Il comune di Milano è uno dei massimi responsabili perché molte persone in questi centri hanno dei problemi psichici per cui il sindaco di Milano firma normalmente il Tso, cioè l’obbligo di ricovero. Tutti i partiti di governo sono responsabili di questa situazione, fanno tutti finta per l’accoglienza. In effetti, l’aspetto repressivo è fondamentale≫.
≪Ho sempre avuto i documenti, poi nel 2018 sono scaduti. Vado a rinnovarli e mi chiedono il contratto di lavoro. Vado a cercare il lavoro e mi dicono: “Hai il permesso?”. “No”. “Non puoi lavorare”. Mio figlio è nato qua, dicevano che chi è nato in Itala è italiano, ma a ventiquattro anni l’hanno spedito in Marocco. Non capiva una parola araba. Non sapeva dove andare. Quando l’hanno portato via la polizia mi ha chiamata, mi hanno detto: “Signora, le vogliamo parlare”. Io sono andata perché non avevo fatto niente di male. Sono andata con il mio secondo figlio in braccio, aveva un anno e aveva anche un problema al cuore. Mi hanno detto che con l’ospitalità e il certificato della malattia ci facevano i documenti. Io ho detto: “Sì, faccio tutto”. Mi hanno detto: “Prendi queste cose, lascia il bambino che è malato con qualche parente e ritorna”. Sono andata, signori! Sono andata! Non mi hanno dato i documenti, non mi hanno dato il foglio di via. Mi hanno presa e sono finita al Cpr di Roma, al Cpr di Roma! Hanno lasciato solo un bambino malato di cuore che nessuno sapeva dargli la medicina!≫.
TORINO #2
Nel tardo pomeriggio, sotto una pioggia alterna, in piazza Castello, accanto al monumento al Duca d’Aosta, si è svolta un’assemblea a microfono aperto che si proponeva di ragionare sugli effetti dello stato di emergenza permanente. Organizzata dal Coordinamento locale dei lavoratori No-Green Pass, ma in realtà senza alcuna rivendicazione di bandiera, ha unito, per un momento di confronto, istanze, gruppi e voci diverse. Anche un ragazzo già presente al mattino davanti alla questura ha preso la parola:
≪Abbiamo bisogno di voi, cari italiani, di aiutarci un po’. Un po’ state aiutandoci, ma abbiamo bisogno ancora di più. Anche noi dobbiamo prendere coraggio, darci il coraggio di avere i nostri diritti qua in Italia. Non possiamo essere sfruttati sempre, nelle campagne, nei luoghi di lavoro, nei magazzini… È una vita che non può andare avanti così. Dobbiamo ancora organizzarci, fare altre manifestazioni qua a Torino o nelle tante città dell’Italia. Voi uscite insieme con noi, e anche noi usciremo, per lottare insieme. Per quello a cui abbiamo diritto, alla casa o per il permesso di soggiorno…≫. (a cura di salvatore porcaro e stefania spinelli)
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