«Dentro a queste stanze decisero di bombardare Belgrado, città meravigliosa. Era il 1999…», sussurra Paolo mentre camminiamo nella penombra del lungo corridoio. Sui muri ci sono ancora le targhette plastificate. Studi e uffici con nomi, loghi e bandierine. Tedeschi, sloveni, francesi. Militari, amministrativi, cappellani. In un’ampia sala al primo piano, invece, un tavolo ovale e alcuni fogli con appunti. Sulla parete un cartellone con il logo della Apple e la scritta Welcomes, ricordo degli incontri di qualche mese fa, quando i dirigenti della multinazionale americana – il cui sbarco sotto il Vesuvio veniva sbandierato con enfasi da stampa e istituzioni – si erano interessati agli spazi dell’ex base Nato di Bagnoli. Il progetto è finito poi a San Giovanni, rivelandosi null’altro che un corso di formazione per duecento giovani sotto i trent’anni.
Il freddo di questo venerdì d’inizio gennaio si sposa alla perfezione con i malinconici vuoti dell’ex complesso militare, orfano delle truppe internazionali dal 2013. Entro dall’ingresso principale, sul viale della Liberazione, con una delegazione di cittadini ed esponenti di associazioni interessati a verificare lo stato dell’arte rispetto alle assegnazioni e all’utilizzo degli spazi nell’ex base Nato. Siamo accompagnati da un geometra della Fondazione Banco Napoli per l’assistenza all’infanzia. La fondazione, proprietaria dei suoli, e di cui la regione Campania è principale azionista, è da molti anni commissariata. Dal marzo 2016 il commissario è Mario Sorrentino, nominato dal governatore De Luca.
La storia dell’area, più di duecentomila metri quadri, è stata ricostruita in più occasioni. L’inaugurazione del collegio per bambini indigenti nel maggio del ’40. Un mese dopo scoppia la guerra. Nel ’42 la struttura viene requisita dalle autorità militari italiane, poi da quelle tedesche e infine dagli Alleati. Tra il ’47 e il ’52 ospita i profughi di guerra istriani e dall’aprile del ’54 diventa la base Nato più grande d’Italia. Dopo l’addio delle truppe, nel gennaio 2013, la fondazione rende pubblica la disponibilità a ricevere “manifestazioni di interesse” per l’utilizzo degli immobili, edifici vincolati in gran parte a un uso sociale, incombenza che la fondazione ha assolto in questi cinquant’anni attraverso l’utilizzo per opere benefiche della cifra incassata come canone di locazione dagli inquilini del Patto Atlantico. Arrivano delle proposte, non tantissime a dire il vero, da enti pubblici e privati. Le chiacchiere sono molte, le cose concrete meno.
La posizione del comune di Napoli, sempre all’avanguardia in materia di proclami, è chiara: «Sarà la città di Napoli a decidere cosa fare di questo luogo. Faremo delle iniziative pubbliche e gli abitanti di Bagnoli diranno la loro», annuncia de Magistris durante una giornata di apertura del complesso alla cittadinanza, organizzata insieme alla fondazione. Si tratta di un’apertura simbolica, dal momento che, finita la cerimonia, i cancelli si richiudono, sorvegliati giorno e notte da un piccolo esercito di guardiani, ufficialmente assoldati anche per prevenire il fenomeno delle occupazioni. Prima di quella giornata, il Comune, dopo una lunga interlocuzione con i movimenti dell’area flegrea, aveva presentato una manifestazione di interesse per l’area, in cui si parlava di campus giovanili internazionali, gestione cooperativistica, utilizzo pubblico di strutture scolastiche per lo sport, la cultura e la ricerca. La proposta metteva l’accento sulla necessità di un “utilizzo unitario” del complesso. Un’istanza dei movimenti, preoccupati dagli spezzettamenti che si stanno invece verificando, con tanto di speculazioni economiche sulle quali si era provato fin dall’inizio a mettere in guardia tutti.
Per molti mesi, in ogni dichiarazione pubblica sulla questione, il Comune straparla di “restituzione dell’area Nato alla città”, di “cittadella per i giovani”, di “napoletani che si riprendono il territorio”. Le belle parole cozzano con l’indisponibilità di fondazione e Regione, che in un primo momento sperava di allocare nel complesso i propri uffici amministrativi. Il Comune si muove a questo punto con un piano B, stipulando un protocollo d’intesa, firmato a fine 2013, in cui de Magistris rinuncia (senza ovviamente ammetterlo) all’idea di una grande area a disposizione della città, capace di ospitare le scuole della zona e con un’accessibilità totale e gratuita per i giovani del quartiere. L’accordo dà il via libera alla fondazione per “lo sviluppo e l’affermazione delle potenzialità economiche e imprenditoriali del complesso”. Nella pratica, vuol dire che il Comune non si opporrà più (ammesso che l’abbia mai fatto) alla concessione “a spezzatino” degli spazi a singole associazioni e privati, ottenendo in cambio le briciole: l’utilizzazione della grande piazza per eventi dedicati ai giovani, una quota di utilizzo sociale (“da concordare con la fondazione”) di alcuni spazi, l’allocazione di “eventuali” attività scolastiche pubbliche. Se l’ingresso dei privati comincia da subito, per quello pubblico sarà necessaria l’approvazione del Piano urbanistico attuativo, previsto per il 2018.
Così, mentre si attende l’approvazione del piano, la compagine più importante della città, sponsorizzata da personaggi e marchi famosi, ottiene in concessione il campo di rugby, effettua alcuni lavori al terreno di gioco (ma gli interventi più rilevanti dovrebbero iniziare questa settimana, dopo oltre un anno di utilizzo), rimette in sesto gli spogliatoi sotto le tribune ma apre anche un pub-birreria per gli associati, che organizza però anche eventi “esterni”, incassando proventi come una vera attività commerciale. Come vincolo vengono imposte alcune rette a quota sociale e generiche “iniziative per il quartiere”. Se gli amatori della palla ovale s’impegnano almeno in parte, da questo punto di vista, ancor meno fanno i concessionari della piscina all’aperto con bar e ristorante, il cosiddetto Nana Club. Pur millantando l’apertura ai giovani del quartiere (pare venissero riservati una manciata di accessi gratuiti), durante tutta l’estate i gestori della piscina hanno sbigliettato ingressi tra i dieci e i quindici euro, impedendo l’ingresso nella struttura di bibite e cibo. Inoltre, la piscina è stata aperta di frequente la sera dando vita a una vera e propria discoteca (sempre a pagamento), come dimostrano le ripetute segnalazioni per inquinamento acustico degli abitanti della zona alle forze dell’ordine.
La visita del complesso prosegue per quasi due ore, sotto gli occhi della guardia giurata che ci apre questo o quel cancello, e la paziente guida del geometra che risponde con precisione a quasi tutte le domande. «È come un elastico…», mi spiega mentre camminiamo. «Non possiamo tirare più di tanto perché i privati sono privati, e sono attenti ai loro conti, per cui davanti a certe clausole a un certo punto finiscono per tirarsi indietro. Intanto fino a questo momento sono gli unici che hanno investito, mentre investimenti pubblici concreti non ne sono stati ancora fatti». Il riferimento, probabilmente, è al percorso che dovrebbe portare a Bagnoli le Universiadi del 2019, fortemente volute dal governatore De Luca, oppure all’insediamento delle scuole, che il Comune ha detto di volere altrettanto fortemente dopo un paio di grosse manifestazioni dei collettivi studenteschi. Concretamente, però, non si è ancora parlato di quali istituti andrebbero trasferiti e con quali modalità, nonostante le condizioni precarie di molti edifici scolastici. Se gli investimenti non dovessero arrivare, spiega il geometra, gli spazi per le scuole potrebbero anche essere riservati a strutture private convenzionate.
Il problema dei soldi, in realtà, sembra essere il solito alibi. La fondazione, da questo punto di vista, non fa sconti: gli affittuari devono farsi carico delle ristrutturazioni e della manutenzione, fin dal loro ingresso. È anche vero, però, che nessuno degli edifici che visitiamo appare in condizioni critiche, sebbene per tre anni siano rimasti per la maggior parte vuoti e inutilizzati. Investimenti da fare ce ne sono: per esempio, gli interventi per adeguare gli standard sulla sismicità, ma si tratta di cifre irrisorie se confrontate con quelle che potrebbero scaturire da finanziamenti europei su sostenibilità e rigenerazione urbana, o quelle dell’avanzo non vincolato di quasi cinquecento milioni di euro che la città metropolitana di Napoli potrebbe avere a disposizione. Condizionale d’obbligo, dal momento che quei soldi sono formalmente destinati al pareggio di bilancio, e che il sindaco non sembra intenzionato a mettere in pratica una delle tante battaglie annunciate per destinarne almeno una parte a favore della collettività.
È quasi mezzogiorno, il geometra ci fa capire che è ora di andar via. Prima di lasciarci visitiamo il teatro, una bella struttura da cinquecento posti, con un grande palco, camerini, galleria, ampia platea. Per rimetterlo in sesto sarebbero necessari sette-ottocentomila euro, ma si potrebbe cominciare anche con meno, sfruttando in un secondo momento i proventi degli incassi. Vi si potrebbero ospitare tante delle compagnie cittadine che operano fuori dai circuiti dei festival e dei finanziamenti pubblici, quelle che pagano prezzi altissimi per affittare spazi e che potrebbero trovare casa pagando una “quota sociale”, innescando un circuito di presenza e di vita in una struttura abbandonata. La proposta più concreta fatta dal Comune è stata quella di affidare il teatro a Edoardo Bennato per una “accademia” della quale si sa poco o nulla.
Scendendo con Aldo lo scalone del viale principale, parliamo un po’ degli americani e dei bagnolesi. Qualcuno prova a farci una foto, lui alza il pugno e si mette a ridere. Come sempre, da vecchio operaio, finisce per raccontare della fabbrica, del sindacato, dell’importanza della storia, di come la narrazione di quel passato venga fatta in maniera confusa, imprecisa. In fondo nulla di molto diverso rispetto a quello che accade per il presente. Su di noi il cielo è sempre grigio ma una striscia di sole fa capolino tra due nuvole e ci conduce verso la guardiola. Gli agenti imbacuccati ci salutano con un cenno della testa prima di richiudere il cancello. (riccardo rosa)
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