È in libreria da dicembre a Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli (qui l’indice e la lista completa dei punti di distribuzione) l’ultimo numero de Lo stato delle città. Ricordiamo che dall’inizio del 2021 è possibile sottoscrivere un abbonamento annuale (standard o sostenitore) per ricevere direttamente al proprio domicilio le prossime uscite editoriali.
Dal numero 5 della rivista pubblichiamo l’articolo Dialogo sui movimenti per il clima, di Salvatore De Rosa.
* * *
«Hai paura della fine del mondo?».
«Ragazzo, la fine del mondo è già avvenuta molte volte, prima che io e te nascessimo e dopo. Dov’eri tu quando i mondi degli altri crollavano?».
Piove a Malmö, tanto per cambiare. Il caffè dove Lars, settantadue anni, e Nikolaj, ventuno, bevono tè indiano è soffuso di luce dorata, un caldo rifugio dal grigio plumbeo delle strade e del cielo all’esterno. È venerdì, entrambi sono di ritorno dal presidio al Comune, l’ottantesimo organizzato dai Fridays for Future locali per chiedere la dichiarazione dello stato di emergenza climatica agli amministratori della terza città di Svezia. Ottanta settimane in cui una trentina di persone di tutte le età – sfidando pioggia, vento o neve – convergono sulle scale di granito del palazzo comunale per turbare l’autocompiacimento della “città più sostenibile del pianeta”, come Malmö ama definirsi. Lars di azioni e presidi ne ha fatte centinaia. Alla svolta del millennio ha attraversato Porto Alegre, Genova, Copenhagen, Amburgo: in prima linea a forzare le zone rosse dei summit internazionali, in barba all’età. E prima, negli anni Settanta e Ottanta, quando di energie ne aveva a iosa, aveva marciato tra le fila dell’ala radicale dei Verdi in supporto agli agricoltori svedesi squassati dalla pressione fiscale e preso parte ai picchetti alle cartiere. Nella sua epica personale brilla l’agosto del 1970, quando era in Islanda a dare manforte alle proteste dei locali contro una centrale idroelettrica la cui diga, se costruita, avrebbe inondato un’intera vallata. Per fermare il progetto gli attivisti fecero esplodere un’altra diga nei pressi del sito della nuova. Riuscirono nell’intento e non si arrivò mai alla condanna definitiva degli autori. A ripensarci, Lars ancora ride sotto i baffi bianchi.
Nikolaj ignora la maggior parte di queste storie. Non sa nulla di Genova, e possiede solo qualche scarno riferimento sul movimento per la giustiza globale della fine degli anni Novanta. È da un po’ che frequenta i dibattiti sui cambiamenti climatici organizzati in un bar di compagni, e negli ultimi sei mesi si è dedicato anima e corpo alle azioni di Extinction Rebellion e Fridays for Future. Ha conosciuto Lars ai presidi al Comune e ne è rimasto incuriosito. Lo attira l’aura di azione che trapela dai suoi racconti, ma prova anche fastidio verso le critiche alle tattiche e strategie che lui e altri hanno abbracciato. «Scioperate e sperate che vi ascoltino. Vi appellate alla moralità di una classe che non ha mai concesso nulla senza essere costretta. Dà retta a me, si prenderanno le vostre proteste e le utilizzeranno per i loro scopi»
«Questi sono schemi di trent’anni fa. Stiamo provando ad andare oltre la politica, parliamo a tutti perché siamo tutti sulla stessa barca. Se pensi che sia inutile che ci vieni a fare al Comune ogni venerdì?».
«Io vado dove le cose si muovono. E voi avete bisogno di me».
Il 20 agosto 2018 una ragazzina svedese ha iniziato a scioperare davanti al parlamento di Stoccolma ogni venerdì per chiedere al governo azioni tempestive e concrete contro la crisi climatica. Poco dopo, il 17 novembre, in Inghilterra, il movimento Extinction Rebellion (XR), sorto dalla testa di uno sparuto gruppo di transfughi dalla coalizione Rising Up!, inaugurava la ribellione bloccando il traffico di Londra con seimila persone. Come scintille su un pagliaio, questi due eventi hanno attecchito ai quattro angoli dell’occidente e in alcune città del Sud globale, convogliando la rabbia e l’ansia nei confronti dello sfaldamento climatico entro forme d’azione collettiva replicabili. Dallo sciopero del venerdì, un inedito movimento di giovanissimi ha iniziato a pretendere dagli adulti una presa di responsabilità: i Fridays for Future (FFF), insieme con altre coalizioni, sono arrivati a mobilitare sei milioni di persone in tutto il mondo durante una settimana di proteste climatiche nel settembre 2019, solo un anno dopo l’inizio dello sciopero solitario di Greta Thunberg. Nel frattempo, il simbolo della clessidra di XR è diventato ubiquo nelle marce per il clima, oltre a marchiare le azioni dirette di gruppi di affinità impegnati in blocchi stradali, flash mob nei centri commerciali, artivism nelle sedi delle multinazionali energetiche, e interventi in musei, negozi, palazzi governativi. Tre le richieste da attuare senza indugio nei confronti dei governi: dire la verità sulla crisi climatica; impostare un’agenda nazionale che punti allo zero netto di emissioni entro il 2025; dare mandato ad assemblee di cittadini per il controllo e la supervisione della transizione climatica. Sia FFF che XR non sono stati esenti da critiche durante la loro ascesa nel mainstream. Gli attacchi sono arrivati dai progressisti come dai conservatori, dall’estrema destra e dagli ecologisti radicali, insieme a elementi di riflessione su nodi problematici – il rapporto con le minoranze e con i movimenti pre-esistenti, l’approccio nei confronti di governo e polizia, le aporie su capitalismo e giustizia climatica – che in certa misura hanno influenzato i dibattiti interni ai circoli di attivisti, impresso cambi di direzione e mischiato le strategie globali con le storie e le vertenze dei contesti locali.
Il tè manda nuvole di vapore che attraversano la linea invisibile degli sguardi incrociati di Lars e Nikolaj. Si studiano. La pioggia aumenta d’intensità ed entrambi non possono fare a meno di voltarsi verso il vetro opaco del caffè a osservare l’impatto delle gocce.
«Speriamo non piova come nel 2014…».
«Cosa intendi?».
«Sei anni fa, quando tu giocavi ancora ai videogame, abbiamo avuto un assaggio del futuro di Malmö. L’acqua di un anno cadde in un giorno. La città stava affogando».
Il 31 agosto 2014 un evento atmosferico straordinario si abbatté su Malmö e Copenhagen. I sistemi di captazione delle acque non furono sufficienti a contenere la pioggia incessante e le due città furono allagate. Tutti i seminterrati e le cantine private subirono ingenti danni e le forniture di energia elettrica cessarono per migliaia di utenti durante ventiquattro ore. A Malmö, i passeggeri degli autobus si ritrovarono in un acquario. Circa novecento milioni di corone di danni (più di ottanta milioni di euro) e l’insufficienza delle infrastrutture come dei soccorsi nella città svedese costrinsero le autorità a constatare il proprio fallimento di fronte a disastri annunciati. Nell’attuale traiettoria di emissioni climalteranti la Svezia subirà questo tipo di eventi con maggiore frequenza: esplosioni d’acqua concentrate in poche ore e siccità prolungata nei mesi piú caldi. La stessa siccità che nell’estate del 2018 ha suonato la sveglia per l’intera nazione. Per mesi sono bruciate le foreste svedesi, seccate da un’ondata di calore prolungata. Lo stato era talmente impreparato che sono dovuti arrivare i Canadair dall’Italia in soccorso. Gli agricoltori hanno pagato il prezzo più alto, con raccolti distrutti e mandrie di animali mandati al macello per mancanza di foraggio. Ma gli anziani hanno pagato con la vita: più di seicento persone in età avanzata o malate sono morte per il calore incessante, perlopiù nei loro appartamenti senza aria condizionata, in solitudine.
«Come ci stiamo organizzando dal basso per rispondere agli eventi climatici estremi? Come fare in modo che l’aiuto arrivi ai piú poveri e vulnerabili? Voi giovincelli di XR mi sembra che non ci abbiate pensato…».
«Ti sbagli. Obbligare il governo a ridurre le emissioni da subito significa limitare gli eventi estremi nel futuro. Se iniziamo a parlare di come adattarci al peggio ci siamo già arresi».
«Bisogna fare entrambe le cose. Bisogna organizzarsi. Avrai sentito della crisi dei rifugiati del 2015, no? Arrivarono centocinquantamila persone in pochi mesi, Malmö era diventata la porta della Svezia. Le autorità non avevano abbastanza letti, abbastanza cibo, abbastanza niente. Migliaia di siriani, somali e afghani dormivano per strada. Per fortuna esisteva Kontrapunkt. L’unico centro sociale autonomo della città. Tu ci sarai stato solo per le feste…»
«Li conosco bene, gli striscioni li facciamo nel loro spazio».
«Quello spazio nel 2015 diventò ostello, sportello legale, mensa e asilo per i rifugiati di passaggio. Ero lì ogni giorno. Prima che il Comune mettesse in piedi strutture per l’accoglienza assistemmo piú di quindicimila persone. È da queste infrastrutture sociali che dovete imparare, altro che dichiarazione d’emergenza climatica. A cosa diavolo ci serve un pezzo di carta con su scritto emergenza?».
«Un pezzo di carta può far arrivare risorse per la transizione…».
«Sì, per transitare dalla padella alla brace».
Dall’inizio delle azioni nel 2018, XR ha conquistato la proclamazione ufficiale di emergenza climatica da parte di millecinquecento tra governi locali e nazionali intorno al mondo. Ciò che l’emergenza comporta varia in ogni contesto ma abbattere le emissioni di gas serra è dovunque la priorità per limitare i danni del riscaldamento globale. Solo con una flessione radicale delle emissioni sarà possibile evitare scenari catastrofici. Gli eventi estremi degli ultimi anni non sono semplici avvisaglie ma rappresentano l’inizio di un nuovo corso – instabile e in divenire – in cui dinamiche ecologiche a tutte le scale interagiscono in maniera inedita e con effetti a catena: dai virus agli insetti, fino ai ghiacciai e alla formazione delle nuvole, nessun processo è escluso. Gli incendi che hanno devastato l’Australia tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 riportavano l’eco dei fuochi in Amazzonia, Siberia e Congo degli anni precedenti. L’anno più caldo mai registrato da quando sono iniziate le misurazioni è un testa a testa tra 2016 e 2019, con gli ultimi dieci i più caldi di sempre. La temperatura media globale ha ormai scalato stabilmente la soglia di un grado rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale. Solo nel 2019, i cicloni Fani, in Bangladesh e India, e Idai, nell’Africa meridionale, hanno costretto all’evacuazione milioni di persone, uccidendone migliaia. E poi l’uragano Dorian alle Bahamas, uno dei piú potenti mai registrati, le inondazioni in Iran di marzo e aprile, le alluvioni in tutto il Midwest e nel sud degli Stati Uniti. Un bollettino che di anno in anno si allunga e inasprisce, evidenza di un treno in corsa verso il disastro. Un treno che le risposte dell’attesissima COP 26 di Santiago, poi spostata a Madrid per la “minaccia” di rivoluzione nel paese cileno, non hanno neppure rallentato. Si sarebbero dovuti rinnovare gli impegni dei paesi sviluppati verso la decarbonizzazione, ripensare il sistema del mercato dei crediti di carbonio e stabilire una volta per tutte i meccanismi di compensazione per le perdite nei paesi poveri, quelli piú esposti a eventi estremi e, incidentalmente, i meno responsabili delle emissioni storiche. Invece, nulla di fatto, nonostante le mobilitazioni, gli scioperi, le rivolte. Tutto rimandato alla COP 27 di Glasgow nel novembre 2021.
Nikolaj ha preso il suo quaderno di appunti. Ogni pagina, una porzione del suo tempo frammentato in rivoli di sforzi. Gli piace descriverlo come “un catalogo della transizione con la mappa dei freni d’emergenza”. Ci sono la lista dei membri del gruppo di acquisto che supporta i contadini urbani di Malmö; il calendario delle azioni dirette in Europa contro miniere di carbone e terminal di gas; l’organigramma aggiornato dei gruppi di lavoro di XR e una collezione di nomi, indirizzi e numeri di telefono di simpatizzanti e potenziali reclute. Mostra al dubbioso Lars lo schema che ha disegnato dei gruppi climatici svedesi con cui XR Malmö ha stabilito relazioni.
«Non siamo soli. I nostri alleati si muovono su piani diversi, come i blocchi delle infrastrutture e la pressione sulle istituzioni per il disinvestimento dai combustibili fossili. XR si focalizza sulle città ma i nostri attivisti c’erano alla foresta di Hambach per fermare l’estrazione di carbone, a Gotebörg contro il terminal di gas, nel nord della Germania a occupare un impianto di produzione di fertilizzanti chimici… Saremmo dovuti essere anche a L’Aia in Olanda per l’azione di massa contro la Shell, ma è arrivato il virus…».
Lars è interessato. Sa bene l’importanza di costruire coalizioni e deve ammettere che la velocità con cui questi ragazzi hanno messo insieme un movimento globale articolato lo stupisce. Ha però i piedi ben piantati a terra, e se ha raggiunto una conclusione dopo quattro decadi di organizzazione di base è che il lavoro duraturo avviene nel quotidiano, quando si ricreano legami comunitari e si incide sulla qualità della vita delle persone. Ora bisognerà riorganizzarsi, i contatti sociali a Malmö si stanno facendo radi, anche se in Svezia le misure di contenimento contro il Coronavirus sono piú rilassate che altrove. Lars ha paura, qualcosa di nuovo per lui, e si schernisce con l’ironia amara.
«È curioso, non trovi, che questo virus uccida soprattutto noi vecchi? Sembra quasi una vendetta dei giovani».
«Che intendi?».
«I cambiamenti climatici sono stati causati dalle generazioni prima di voi, ma voi ne pagherete le conseguenze piú amare, soprattutto nel futuro. Ora c’è in giro un morbo che, per la maggior parte, risparmia i giovani e ammazza i vecchi, e per salvarli vi si chiede di rinunciare a uscire e divertirvi per non far diffondere una malattia tutto sommato innocua per voi. La vostra vendetta è fare come se niente fosse, un po’ come ha fatto la mia generazione con le emissioni pur sapendo che il riscaldamento globale renderà il mondo un inferno per voi, i vostri figli, i vostri nipoti…».
«Andiamoci piano con queste visioni mistiche. Ho già avuto parecchie discussioni dentro XR perché stanno girando proclami ottimistici su come il virus abbia pulito l’aria, fermato gli aerei, ridotto l’inquinamento… Come se gli umani non fossero parte della natura o come se avessimo tutti la medesima responsabilità di questo disastro!».
Fuori ha smesso di piovere. Nessuna alluvione, per ora. Il tè è terminato e Lars si decide a rientrare. Nikolaj vorrebbe continuare a confrontarsi. Si rende conto di apprendere per contrasto e dopo aver parlato con Lars gli vengono pensieri nuovi. Ma anche lui deve affrettarsi alla riunione organizzativa da remoto con gli altri nodi di XR.
«Ragazzo, mi sa che questa è uno delle ultime chiacchierate che ci facciamo, almeno per un po’».
«Se chiudono tutto anche qui…».
«A mali estremi, estremi rimedi no? Forse questo virus abituerà il mondo a capire che cambiare tutto per salvare vite è possibile, basta averne la volontà. Forse la politica climatica globale sarà all’altezza della sfida adesso. Forse, se non sarà troppo tardi. Noi intanto non abbiamo tempo da perdere. Ricordalo».
1 Comment