È domenica mattina a Torino, mi aggiro in piazza della Repubblica alla ricerca di un filone di pane. Noto la figura di Franco Arminio, poeta dell’Italia interna, e mi chiedo quale ragione l’abbia condotto qui. Sono di fronte al Mercato Centrale di Torino, struttura in vetro e metallo che accoglie ristoranti, negozi di gastronomia, rivendite di cibo per ricchi avventori. All’ingresso ecco un manifesto verde con uno slogan: “Basilicata, Terra e Visione”. Per due giorni al Mercato Centrale si tengono dibattiti, concerti, masterclass “sulla pasta della tradizione” dedicati alla Basilicata. Ieri hanno partecipato, tra gli altri, Adriano Sofri, professori universitari, un responsabile della Fondazione Eni, l’imprenditore che ha ideato il Mercato Centrale. Oggi invece Arminio è ospite di un dibattito intitolato: “Matera, dalla vergogna all’orgoglio. Una straordinaria storia di successo”.
Il palco è ancora vuoto e sullo schermo in fondo si muovono immagini di James Bond a Matera, brani da Basilicata Coast to Coast, estratti da video di Angelina Mango e Caparezza. Oltre ad Arminio prendono posto Paolo Verri (in passato direttore del Salone del libro a Torino e ideatore della candidatura di Matera a capitale della cultura europea nel 2019), due vecchi sindaci di Matera (in apparenza afferenti a due opposte fazioni politiche), l’assessore all’agricoltura della Regione Basilicata, la capo gabinetto del presidente della Regione Piemonte. Gli invitati celebrano per un’ora la contemporanea redenzione di Matera, straordinaria città turistica e non più vergogna contadina, insalubre e arretrata.
Arminio sale sul palco e s’inginocchia: «Mi inginocchio davanti alla Lucania!». Legge sue poesie, riceve gli applausi e infine evoca «una nuova prospettiva: nel momento in cui crolla il modello urbano, crolla il modello della civiltà venuta da nord, torna il soffio greco, torna l’arcaico di cui Matera è un grande emblema». L’emerito sindaco di destra inizia con una menzione di Rocco Scotellaro, «il viatico della mia vita», poi ricorda Carlo Levi e ancora sostiene come «il vicinato dei Sassi», ovvero il sistema materiale di relazioni tra le persone nella vecchia Matera, era una «utopia di comunità». Interviene Verri: «Vorrei portare un saluto alle tantissime donne che hanno composto il team di Matera 2019, fare un applauso a tutte le donne di Matera, oggi purtroppo sul palco siamo solo uomini». Poi Verri lamenta l’assenza di fondazioni di origine bancaria in Basilicata, eppure «oggi noi abbiamo l’orgoglio di avere ribaltato l’identità di una città e di averla fatta diventare patrimonio di una idea di futuro, e non di passato». «Perché Matera è patrimonio di tutta l’umanità!», proclama Verri e, in conclusione, ha il coraggio di affermare che «questa è stata la sfida di Pasolini, […] di Scotellaro […], e, con molta modestia, anche del nostro lavoro».
Il fu sindaco progressista ricorda i giorni in cui lavorò alla candidatura della sua città a capitale della cultura: «Ci siamo caricati di tutto quello che era accaduto, nei secoli dei secoli: un patrimonio inestimabile, altro che vergogna!». Poi rammenta lo sgombero degli abitanti negli anni Cinquanta: il «problema» dei Sassi «fu risolto in maniera intelligente, attraverso l’operazione dello spostamento di diciassette, diciottomila abitanti dalle case insalubri. E tutti, dalle persone comuni fino ai grandi uomini, potranno testimoniare, senza nessun timore di essere smentiti, che a Matera l’azione amministrativa, l’azione dei governi cittadini, in un arco temporale molto lungo, è stata assolutamente positiva». L’assessore all’agricoltura, a fronte di tanto entusiasmo, ritiene opportuno mostrare una preoccupazione: la mancanza di un aeroporto in Basilicata. «Oggi per arrivare a Matera si prende un aereo e si arriva a Bari; si visita Matera e si torna a Bari! Qualcosa forse non va». Dopo gli applausi finali, ed è la norma, non sono previsti interventi o domande dal pubblico.
Oggi nei Sassi di Matera non si vive, è un deserto trasformato in parco giochi: turisti dormono a prezzi elevati e se ne vanno dopo poche notti; ristoratori accolgono avventori alla ricerca di un’aura di passato perduto; visitatori si muovono in gruppi rumorosi da una chiesa all’altra, ma dopo il crepuscolo le pietre restano silenti in abbandono; spazi culturali organizzano mostre d’arte. Nei discorsi dei relatori esistono diversi cortocircuiti. Come può l’antica Matera essere un esempio per il futuro, se è scomparsa la popolazione che abitava i Sassi? Com’è possibile un ritorno della cultura “arcaica” nel tempo a venire, se la città è divenuta territorio del consumo turistico più predatorio ed effimero? I Sassi come concreta manifestazione di relazioni sociali e condizioni produttive non esistono più, ma tornano impalpabili come proiezioni pubblicitarie, fantasmi funzionali a un marketing territoriale. E ancora: se Matera è così affascinante, e i Sassi sono ambiti dai turisti, perché la città contadina era una vergogna e tutti i suoi abitanti furono dislocati altrove? Furono proprio quegli abitanti, nei millenni, a forgiare “l’utopia del vicinato”. Quella civiltà rimossa con la forza settant’anni fa è ora obliterata dalla memoria pubblica. Il suo retaggio permane trasformato in un simulacro di nostalgia.
Ogni scena ha uno spazio invisibile e nascosto: un osceno da non mostrare. La Basilicata presenta ai turisti lo spettacolo di Matera e di altre attrazioni sparse nelle aree interne, ma dietro le quinte si scavano i pozzi di petrolio, s’innalzano i centri oli e scorrono sottoterra gli oleodotti. I dibattiti istituzionali sulla Basilicata rimuovono dalla coscienza collettiva l’estrazione del petrolio in val d’Agri e nella valle del Sauro, i conseguenti danni ambientali e l’enorme arricchimento di Eni e Total in cambio di regalie diffuse sul territorio in forma di compensazioni economiche. Anche Arminio ha organizzato i suoi festival letterari con le royalties concesse dalle compagnie petrolifere.
Matera 2019 – tema principale del dibattito al Mercato Centrale e uno dei fattori che hanno consentito l’incremento turistico – ha evocato le atmosfere degli ipogei e dei canti luttuosi, delle maschere di Carnevale e della tradizione pitagorica, ma non ha coinvolto le aree interne, non ha portato testimonianza di traumi e difficoltà materiali di una regione in via di spopolamento, non ha sfiorato le ricadute negative dell’estrazione petrolifera, né ha esplorato il passato lontano delle lotte contadine o quello più vicino della dissidenza ambientalista. Forse le energie intellettuali di chi avrebbe potuto farlo sono state assorbite dalle speranze e dalle lusinghe del grande evento. In questo senso il lascito di Matera 2019 e il sogno turistico appaiono complementari alla ricerca del petrolio: un versante in luce, leggero e accattivante, dietro cui si cela il territorio nascosto e amaro delle torri di perforazione. La cultura ufficiale si presenta allora come forma di manipolazione, ottundimento, cooptazione della coscienza critica. E nemmeno i morti sono al sicuro finché opera questo meccanismo simbolico, perché anche Carlo Levi, Scotellaro e Pasolini sono masticati e digeriti da un dolce linguaggio che non consente obiezioni, dissidenze o contraddizioni.
Ne Le città invisibili di Calvino è descritta una città, Moriana, “con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari”. Eppure Moriana ha un rovescio: “una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte stinte”. Anche a Moriana l’osceno si oppone all’apparente bellezza, ma la città “non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta” e le due figure non possono “staccarsi né guardarsi”. Calvino non trova le modalità di uno sguardo che tenga assieme i due versanti, quello in luce e quello in ombra. Come osservare la città in prospettiva? A poca distanza dal Mercato Centrale, tempo fa, centinaia di straccivendoli vendevano oggetti ritrovati, raccattati. Sono stati allontanati da una delibera comunale e dalla violenza della celere: la loro povertà disturbava un quartiere che aspira a diventare scena accogliente per il consumo turistico. Alcuni di loro erano immigrati dal sud, espulsi dalla fabbrica all’epoca della sua dismissione. L’esplorazione delle rimozioni suggerisce nuove analogie tra Torino e la Basilicata, tra la violenta città un tempo industriale e il sud impoverito di forze.
Mi chiedo perché scrivere, e quale efficacia possano avere la denuncia della dimenticanza, lo scrutinio dell’inconscio collettivo. A chi mi rivolgo? Vorrei dialogare con le forze critiche che nei decenni hanno resistito al disastro in Basilicata. Seppur isolate, conosco persone e associazioni che contestano la devastazione ambientale, mostrano le responsabilità delle compagnie estrattive, s’impegnano nell’elaborazione di forme alternative di cultura e pedagogia. Eppure temo che questa intesa risulti vana. Amareggiati, a volte livorosi, ci irrigidiamo in una resistenza disgustata. Una volta una guida di Matera ha detto che le critiche al sistema di Matera 2019 erano corrette, ma non contemplavano ancora la condizione di chi, come lei, lavorava nel settore turistico. Forse i figli dei contadini espulsi e allontanati dai Sassi ora sono lavoratori nei servizi per turisti, produttori di materiali culturali, operatori sociali nel terzo settore, artisti a progetto; e tutti vivono in una condizione di precarietà e sfruttamento, nell’attesa di una nuova regalia da parte delle classi dirigenti e delle multinazionali. Mi domando se tutte queste forze non si sentano soffocate, limitate, e non possano desiderare una trasformazione radicale. Penso a Scotellaro – non alla figura edulcorata delle opere murali e dei progetti culturali, ma all’agitatore politico – e mi chiedo quali siano, o che forma abbiano oggi, le terre che possiamo tornare a occupare, noi figli o nipoti di contadini. (francesco migliaccio)
Complimenti. Ho letto l’articolo che mi è stato segnalato da Lidia Pantone. Una lucida descrizione delle edulcurazioni e spettacolarizzazione della realtà lucana in controtendenza rispetto all’interessato racconto delle “magnifiche sorti e progressive” ad uso di un turismo becero e inconcludente. Pietro Dell’Aquila
Complimenti il suo articolo dovrebbe essere distribuito a tutti i cittadini della basilicata ingannati troppe volte e privi di forze per combattere giochi politici votati soltanto ai propri interessi. Ho 3 figli 2 dei quali costretti come molti a “scappare” in cerca di un lavoro non per vivere ma per “sopravvivere”
Ero li davanti al mercato centrale quel giorno, ritornata qualche tempo prima dalla mia terra, la Basilicata. Qualcosa però mi ha trattenuto e non sono entrata, complice il fatto di aver assistito casualmente a un dimenarsi di 4 giovani vestiti a festa con le maschere di tricarico, di cui qualche anno prima avevo studiato la tradizione, in quanto antropologa. La nostalgia, quell’assurda retorica della nostalgia e il suo sentimento, mi ha fermata. Non è da li che si riparte, ho pensato. Grazie per quest’articolo, davvero ben fatto.
Complimenti per questa puntuale e lucida analisi, che scoperchia le “nuove” povertà socio-culturali di una Basilicata smarrita e indifferente, direi persa, tra illusioni post-moderne, sfruttamento forsennato del territorio, spopolamento inarrestabile, clientelismo e familismo politico. La sua identità culturale è ormai preda di sciacallaggi speculativi del circuito mediatico e del sistema cultural-spettacolare, che tra sponsorizzazioni “interessate” e pseudo promozioni culturali, ha seppellito la millenaria storia della “cultura contadina” sotto una filiera di iniziative che hanno fatto del territorio un “divertimentificio” per cacciatori di emozioni a buon mercato. Intanto, gli speculatori delle multinazionali distruggono l’ambiente e stravolgono il paesaggio, con i pozzi del petrolio, i centri oli di Viggiano e Tempa Rossa, gli oleodotti, le pale eoliche e le distese di impianti fotovoltaici, cresciuti in un silenzio indifferente delle amministrazioni locali, dei partiti e dell’opinione pubblica, tutti frastornati dagli effetti speciali di una imprenditoria predatoria e vorace. Cosa c’entri, infatti, tutto questo assalto del “partito del profitto” alla Basilicata e alle sue risorse, con la cultura, la storia, le tradizioni e la magia di una terra umile e fiera come la Lucania, nessuno veramente lo sa. Dunque, grazie per questo sasso gettato nello stagno asfittico e torbido del “business” usa e getta di profittatori e speculatori di ogni genere.
Stupendo ! Silvia da Matera
I contenuti sono molto
aderente alla realtà. La vergogna è vendere le proprie tradizioni lasciando che siano consumate da un turismo distratto ed interessato alle apparenti visioni paesaggistiche ignaro della sua storia e dei suoi dolori. Si perché Matera non è mai stata la vergogna della nazione, semmai è stata l’usignolo della dolorosa vita che qui si svolgeva. Cuori colmi di dolore letti attraverso i propri panni esteriori. La vergogna è nata e forse un giorno sarà letta e scopriremo che abbiamo venduto anche il cuore insieme ai panni.
Amaro, potente e lucido, questo scritto che ci aiuta ad essere desti, a riconoscere la totalizzazione di un sogno TOTAL DREAM. Un sogno di altra natura, quella dell’oro nero, che negli anni ha finito per catturare ed ammaliare le genti della Basilicata. Quella della ricerca dell’oro nero è una lunga storia di colonizzazione e di disastrosi danni ambientali che dagli anni ’50 interessano il territorio lucano. Fautori di questo sogno, sono le grandi compagnie petrolifere: TOTAL, SHELL (Conchiglia), e MITSUI Italia (3Pozzi). Com’è poetica la traduzione in italiano… Ecco il nuovo Eldorado, ecco come rimanere abbaglianti dalla vita nuova. Questo sogno totale dei nuovi “colonialisti” è un atto di dolore per l’espropiazione di un ecosistema straordinario e bellissimo. Che la volgarità di queste ferite inflitte alla terra, un giorno, possano essere sostituite dalla consapevolezza di abbandonare questo sogno fatto di notte nerissima, per riappropriarsi dei luoghi appartenuti agli avi, per re-immaginare l’inattuale insieme.
Ho trovato l’articolo, lucido e veritiero. Scritto col cuore di chi vede le cose per come sono e se ne addolora, di chi vorrebbe trovare una sponda, più di una sponda, da cui attingere lo stesso dolore e farlo diventare protesta per interrompere la valanga di danno, operando per una nuova visione . Una operazione di verità che denuncia l’indomenicamento tout court della vera bellezza di questa terra, snaturandola e vendendola per un turismo di consumo. È, inoltre, un grido, non sotto traccia, verso le Istituzioni, le municipalita’ che, appropriatesi di questo malaugurato disegno, lo promuovono ovunque distorcendo e danneggiando l’immagine della Basilicata, snaturandone storia, e cultura. Ci sono molti ingredienti oggetto di denuncia da più parti , ogni qualvolta si mette la fanfara ad eventi di carattere solo vacanziero che non promuovono nulla e diventati il trastullo di questa nostra classe dirigente
Grande analisi ,grande Verità!!!