«Dottore’, mio figlio non sta bene, dopo l’operazione al testicolo mi dice che gli fa male, potete dargli un’occhiata?».
«Certo signora, pazientate qualche minuto e il medico lo visiterà».
Giulia indica alla donna dove può sedersi ad attendere il suo turno. Giulia è una biologa e si occupa da un paio d’anni dei pazienti che giungono al presidio di salute solidale Zero81 al largo Banchi Nuovi. Con lei ci sono sei medici e un odontoiatra. Gli attivisti hanno occupato sei anni fa l’ex mensa dell’Istituto Orientale che oggi è “zona di esperienze ribelli”. Con il supporto del comitato centro storico è stato avviato quattro anni fa il progetto dell’ambulatorio, in cui gli attivisti sono affiancati da dottori sensibili alle finalità della medicina sociale.
I capelli raccolti in un codino, giubbotto stile bomber, la giovane mamma stringe la mano del bambino, che invece vorrebbe divincolarsi. Il padre è scoraggiato. I giorni passano e lui non riesce a capire perché il bambino continui a stare male dopo aver subito l’intervento. «Mi dicono che è normale ma io sono preoccupato, voi li leggete i giornali? Il bambino tiene ancora i dolori». Il presidio è una scommessa clinica, culturale e sociale. Ogni martedì dalle 17.30 è un punto di riferimento anche solo per chiedere informazioni; si effettuano gratuitamente visite chirurgiche, ginecologiche, urologiche; esiste uno sportello di salute generale, per le cefalee, per i disturbi neurologici; si affrontano in sedute con i pazienti i temi della nutrizione, dell’aborto, dell’uso dei contraccettivi e del papilloma virus, applicando il principio secondo cui – spiegano – «la cura non può essere un gioco di mercato», e offrono risposte in un momento in cui il servizio sanitario nazionale si fa esclusivo, anche a causa dell’impoverimento delle famiglie che non dispongono di reddito sufficiente per poter accedere alla sanità privata. «Se ti rompi una gamba – spiega Silvio, giovane medico – è meglio che tu lo faccia tra gennaio e settembre, mai dopo. In quel caso le cliniche private potrebbero aver superato già la soglia di spesa messa a disposizione dalla regione e, per una semplice radiografia, potrebbero chiederti una fortuna».
La sala d’attesa è gremita di donne, uomini e bambini. Le porte si aprono e chiudono in continuazione, arrivano nuovi pazienti fino a sera inoltrata. Le donne si confrontano su quanto costa farsi un’ecografia in una clinica convenzionata, «perché se aspetto di farla in un ospedale posso pure morire». Gli occhi azzurri di Marianna spuntano dalla sciarpa che tiene avvolta fin sopra il naso. Viene al presidio ogni anno per un controllo e vorrebbe che ci fossero altri posti come questo. Lascia sempre un contributo in denaro. All’ambulatorio popolare si riducono drasticamente i tempi di attesa e il paziente paga come e quanto può, se può. Il presidio è autofinanziato. Il denaro raccolto viene reinvestito per attività politiche e sociali sul territorio, per esempio dei volantini per raccogliere firme e poi avviare una mobilitazione sulla questione della sicurezza sanitaria.
La settimana scorsa, di sera, un uomo è morto d’infarto al centro storico dopo che per cinquanta minuti parenti e amici hanno aspettato invano l’ambulanza. I familiari hanno chiesto aiuto anche al presidio ma – racconta Andrea, uno dei medici – «l’unico defibrillatore disponibile è nella sede dell’Orientale, aperta fino alle 20. Il pronto soccorso sta diventando una chimera. Al centro storico i tre ospedali principali hanno a disposizione solo tre ambulanze».
Il presidio è dotato di un ecografo, macchinario donato in parte da un privato e in parte autofinanziato. Si parla dei concetti di accessibilità globale: raggiungere il più ampio numero di persone per diffondere l’idea di una società egualitaria soprattutto nell’assistenza sanitaria. Si tratta di medicina territoriale: all’ambulatorio dello Zero, solo nel 2016, si sono recati ben quattrocento pazienti, di cui il venti per cento stranieri. Un ingente numero di visite se si calcola che gli sportelli sono aperti una volta a settimana, e che il numero raddoppia di un quarto quando terminano le esenzioni nelle cliniche convenzionate; soprattutto tra agosto e settembre, infatti, i tetti di spesa si esauriscono e le prestazioni sono a pagamento anche nel pubblico riducendo a zero la differenza con il privato.
In Campania la sovrattassa regionale è di quasi quindici euro, una cifra che fa impennare il già esoso costo del ticket rendendolo il più alto d’Italia dopo il commissariamento della sanità avvenuto nel 2010. Il ticket incide per il dodici per cento sulla spesa delle famiglie e non è difficile immaginare che chi si rivolge al presidio dello Zero rientra nelle fasce di reddito basse, che rischiano di soccombere dinanzi alla chiusura dei pronto soccorso nel centro storico (Annunziata, Ascalesi, Incurabili, San Gennaro). Chi si rivolge al presidio ha avuto prova del fallimento della sanità pubblica in Campania, delle politiche di austerity prima e d’indebitamento poi, dei pessimi servizi offerti, dalla tempistica ai costi. Se non sei esente e chiedi una visita specialistica in alcune aziende ospedaliere si può arrivare anche ad aspettare sei mesi, facendo crollare del tutto l’idea di prevenzione su cui si basa l’intera medicina.«Vogliamo riconquistare il diritto che ci viene negato dal sistema sanitario nazionale – dichiara Andrea, medico sociale -, far emergere le contraddizioni di Asl e Regione Campania e far prendere coscienza alle persone del fatto che non sono soli». (veronica bencivenga)
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