Abito a Milano, a Corvetto, alla periferia sud, anche se il sindaco Sala, che è anche il candidato sindaco del centrosinistra, ha detto che non bisogna più usare la parola periferia. «Basta, ma basta veramente! – ha spiegato – Nella città ci sono tanti quartieri, tutti diversi, ciascuno con le sue cose belle e i suoi problemi, qualcuno più avanti, qualcuno ancora un po’ più indietro. E basta». Dice che se continuiamo a parlare di periferia, non capiamo la città e non riusciremo mai a cambiare niente.
Così questo quartiere ora non è più una periferia, è un quartiere che deve attrarre energie e talenti, progetti imprenditoriali e associativi, e deve rigenerarsi. Secondo alcuni addirittura assomiglia a Parigi, a Montmartre, ai suoi bistrot, o ai quartieri (ex) poveri romantici di qualche altra città: lo si legge in alcuni libri, in siti internet dedicati, in documenti delle università e degli enti di consulenza specializzati in rigenerazione.
Tra l’altro, in questo quartiere il capitalismo ci sorride e ci aiuta perché da un po’ di anni non lontano da qui ha aperto la fondazione Prada, quella della moda, e poi ci sarà il villaggio olimpico a Porta Romana per il 2026 e l’onda arriverà anche da noi: basta aspettarla. E aspettandola, chi può compra monolocali da affittare a studenti, chi non può guarda verso nord dalle cantine o dai cortili sgangherati.
Tra l’altro anche il Comune ci investe: ha addirittura venduto edifici di pregio in centro storico per fare cassa e ha aperto una nuova sede super-ecologica, con la pista di atletica sul tetto, proprio a Corvetto. Ha chiuso la sede dei servizi sociali in centro, in largo Treves, l’ha venduta, cioè. Ci rendiamo conto? Ha rinunciato a un palazzo d’epoca in centro pur di venire a Corvetto! Che poi uno si chiede: che ci stavano a fare i servizi sociali in centro, dietro Brera e il Porta Nuova District di proprietà del fondo sovrano del Qatar? Meglio in effetti portarli in mezzo ai poveri, così li aiutano un po’ a rigenerarsi; così tutti capiscono che il Corvetto “non è solo degrado” e magari ci convinciamo tutti a smettere di parlare di periferia: è solo un quartiere come un altro, con le sue cose belle e con i suoi problemi.
Tra l’altro, da un po’ di anni, anche la Fondazione Cariplo ci ha investito un sacco di soldi in un progetto fatto proprio per non chiamarlo più periferia. Uno potrebbe dire che questo non vuol dire poi molto: la Fondazione Cariplo ha investito tanti soldi in un sacco di cose. Comunque la periferia si deve d’ora in avanti chiamare come questo progetto, che si chiama “la città intorno”, come la caramella Polo se ve la ricordate: il buco con la menta intorno. Così Milano è il centro (che in effetti è anche un po’ un buco: è piccolino e ci succedono cose non sempre tanto chiare) con la città intorno. Pensa poi che noia vivere in centro, nel buco, che cosa banale, senza l’anima frizzante della città, i mille colori della città-mondo. Eppure chissà perché, quelli che vivono in centro sono così contenti e votano tutti per il sindaco uscente.
Che poi, proprio qua a Corvetto, il sindaco e la Fondazione Cariplo sono stati contestati dagli anarchici e da un po’ di altre persone durante un’iniziativa di riqualificazione l’anno scorso, in piazza Ferrara, una piazza “tattica”, di quelle con disegni e strisce per terra per creare spazi per socializzare, che ogni tanto sono anche belle: per esempio, in piazza Angilberto ora ci giocano a ping pong. Comunque su un muro tattico di questa piazza tattica gli anarchici avevano detto che il sindaco doveva “starsene nei quartieri dei ricchi” (questa non l’avevo capita) e che “la riqualificazione è il nuovo business di Cariplo” perché Cariplo guadagna i soldi con cui fa beneficenza dalle azioni di Intesa Sanpaolo e a volte Intesa Sanpaolo poi investe dove Cariplo riqualifica con i suoi progetti di beneficenza e così i soldi circolano. Oppure forse per la storia dell’housing sociale, che fa pensare alle case per i poveri e invece sono case per chi ha fino a novantaseimila euro di ISEE in Lombardia, e anche lì è una “riqualificazione” dove Cariplo e Intesa investono un sacco di soldi e di pubblicità e ci guadagnano anche. È per tutte queste cose che gli anarchici dicono che è un business, tutti gli altri invece li ringraziano.
Infatti quella volta il sindaco si è arrabbiato tantissimo e ha detto: «Come si permettono? Se vogliono criticare me, non c’è problema, ma criticare la Cariplo, che da tanti anni fa così tanto per la città: toccate me ma non chi come la Fondazione Cariplo ha fatto tanto per la città!». Che io mi ricordo che avevo pensato: “Comunque anche il Comune ha fatto tanto, e alla fine spende per noi di più della Cariplo, e allora perché possiamo criticare il sindaco, non c’è problema, ma non la Cariplo?”. E ancora me lo chiedo perché non ho trovato una risposta.
Bisogna anche dire che tutto si svolgeva all’ombra di uno studentato di Aler, l’ente regionale pluri-indagato responsabile del disastro delle case popolari: un palazzo molto grande, con le finestre aperte sulla piazza. Prima questo palazzo era stato riqualificato anche lui ma poi non hanno mai finito i lavori e lo hanno lasciato senza finestre e dentro è marcito, e anche le sue belle facciate gialle con le decorazioni verdi si stanno un po’ sfaldando. Però nessuno l’ha notata questa cosa, queste finestre senza finestre. Sicuramente lo hanno notato le persone e le famiglie che dormono lì davanti, nelle vie intorno, nelle cantine o nelle case popolari lasciate vuote e poi occupate e che ogni tanto vengono sgomberate, quando arrivano gli elicotteri e le camionette della polizia.
E comunque lo studentato è ancora lì, aspetta l’onda e intanto si bagna con la pioggia: si bagna tutto, è grande. Quante persone potrebbero trovare una casa in quel palazzo?
Ho detto che gli anarchici hanno contestato il sindaco e la Fondazione perché infatti a Corvetto ci sono anche gli anarchici, che però loro non sono ancora tanto riqualificati. Anzi: attaccano manifestini in giro e fanno un sacco di scritte sui muri. Alcune scritte non le capisce nessuno e tutti semplicemente si schifano: per esempio, sta scritto su un sacco di muri ASW che significa Antifa Street Warriors, ma lo sai solo se stai attento, se le leggi tutte e allora qualche volta trovi anche il nome per esteso, altrimenti vedi queste tre lettere in giro e pensi che sia qualche strano nomignolo di un writer. Oppure hanno fatto delle scritte fortissime contro la violenza maschile sulle donne, minacciando anche gli uomini violenti, tipo “maschio molesto, se mi tocchi ti pesto”, e anche scritte dello stesso tipo in arabo, sui muri e sulle strisce pedonali. Altre volte ancora fanno delle scritte che raccontano delle cose che non racconta nessuno: persone in galera da liberare, sgomberi avvenuti in quartiere. Per esempio, da un po’ di settimane in viale Martini – proprio dove delle persone stanno sedute a terra a vendere scarpe, calzoni e batterie usate su dei lenzuoli appoggiati a terra, vicino a dei negozi con la serranda sempre giù, oppure dove c’è una donna trans che vende profumi e deodoranti nuovi di pacca – c’è una scritta sul muro che dice: “A Rogoredo la polizia spara”. A Rogoredo vuol dire la fermata della metro, la stazione del treno, davanti al parco che era diventato “il boschetto”, piazza di spaccio di dimensioni internazionali. Ora pure Rogoredo è abbastanza riqualificato perché spacciatori e tossicodipendenti sono stati mandati sotto il cavalcavia oltre la ferrovia, oppure nei campi agricoli più in là. Cosa vorrà dire “la polizia spara”? Che voce è quella che racconta questo fatto? Chi le ha dato il permesso? Ho cercato, ma il Corriere Milano non ne parla. Forse sono cose di periferia, non ho capito.
E poi sempre qui intorno per riqualificare il quartiere, il Comune ha aperto una scuola che si svolge in diverse periferie ma si chiama “la scuola dei quartieri”, i quartieri in generale, con le loro cose belle, eccetera eccetera. Questa scuola ti insegna a fare dei progetti sociali e anche un po’ imprenditoriali, tipo aprire un’associazione che fa dei corsi, oppure provare a fare un po’ di soldi con le cose che le persone non fanno più o non usano più: il riciclo, i semi antichi, i vestiti vecchi. Tu presenti un progetto alla scuola e poi loro c’hanno degli esperti espertissimi che ti fanno una “formazione avanzata” e ti spiegano come far diventare reale il tuo progetto, che poi più o meno la risposta è sempre che devi riuscire a vendere il tuo prodotto, la tua idea. Devi fare una cosa bella, utile, solidale ma anche competitiva, innovativa e “sostenibile”, ma non nel senso di “green”, proprio nel senso che poi loro non ti devono più dare soldi per portarla avanti e te la cavi da solo. E in questi progetti lavorano tante persone: i docenti della scuola, i consulenti del Comune, gli esperti della comunicazione. Loro in particolare secondo me lavorano tantissimo. Praticamente comunicano così tanto che fai fatica a capire se una cosa l’hanno fatta loro oppure se l’hanno solo raccontata: mettono adesivi in giro, dicono “qua c’è una bella storia” e tu pensi che l’hanno fatta loro. Poi però ti ricordi che quell’attività c’era già prima che nascesse la scuola, allora chiedi un po’ in giro cosa vuol dire quell’adesivo, e alla fine capisci che la maggior parte delle volte loro l’hanno solo raccontata, però gli piace fare questa confusione, un po’ come quelli dei patti di collaborazione e della gente che cura le aiuole in via Mompiani, ma quella poi è un’altra storia ancora. Perché infatti ci sarebbero un sacco di altre cose da raccontare, ma adesso bisogna che smetta sennò diventa troppo lungo.
La cosa brutta comunque è che se vivi in una periferia non ti puoi lamentare di queste cose e chiedere che vengano risolte da chi ne ha la responsabilità, come in centro che se uno vuole un giardino pulito il Comune glielo pulisce. Invece in un quartiere con cose belle e cose brutte – soprattutto se è un quartiere che prima era periferia – tu lo chiedi lo stesso ma devi fare praticamente tutto tu, cioè se vuoi il giardino pulito, il Comune ti dice: sì, ma il quartiere sei tu, siamo tutti la comunità, e allora perché non pulisci? Dici che non hai tempo? Però se vuoi bene al tuo quartiere perché non cambi lavoro e non apri un’impresa di pulizie? Magari un progetto innovativo, con i soggetti svantaggiati e il business plan. Noi ti incubiamo l’idea, ti mettiamo a disposizione consulenti ed esperti di incubazione dei progetti, te lo facciamo crescere, ma poi devi fare tu, non puoi aspettare la burocrazia.
E così dicono che se tutti ci mettiamo a fare progetti, poi loro ci incubano, tutti nella città intorno, tutti intorno al buco, e insomma così la periferia non esisterà più. (rosa hayat)
______________________
CARTOLINE DA CORVETTO
3 Comments