Arrivo a place de la Bastille tardi. Ho mandato il pezzo al giornale alle otto di sera, il tempo di passare da casa a depositare il computer e sono già le dieci e mezzo quando riesco finalmente a scendere per strada. Nel frattempo, cortei “selvaggi” hanno già attraversato Parigi in lungo e in largo, dalla stazione St. Lazare al boulevard St. Germain, per poi ricongiungersi sulla rue de Rivoli e nella place de la République.
In questi casi ho sempre paura di arrivare tardi, di perdermi la folla che, in genere, si muove veloce. Invece mi basta seguire la puzza di bruciato nella metro. Il tempo di uscire davanti al teatro dell’Opera, con la Colonna di luglio sullo sfondo, ed ecco spuntare un grande corteo – un migliaio di persone, o forse il doppio – che intona all’unisono l’odio verso la polizia. Là dove passa il corteo, spuntano le fiamme.
Sono giovani, mi sembrano soprattutto liceali e ai primi anni di università. Si lanciano nel faubourg St. Antoine con un’energia ammirabile, e il corso si riempie di cassonetti e transenne. Un ragazzo appicca il fuoco a un sacchetto del McDonald’s. Un altro accende direttamente i cestini agli angoli della strada. Rapidamente, è tutto un gran bruciare di spazzatura.
Nella strada a fianco, che aggira il faubourg, ci sono ancora più fiamme, un fumo nero appesta l’aria, spesso e puzzolente. Mentre seguo a passo spedito la folla, uno scoppio in alto nel cielo e una nuvoletta annunciano i primi lacrimogeni. Faccio marcia indietro, mentre i Crs tagliano il corteo in due. Una linea di poliziotti si trova presa tra la folla. Nessuno lancia niente. Noncuranti, i giovani continuano ad appiccare il fuoco alla spazzatura che tracima sui marciapiedi della capitale, dopo due settimane di sciopero degli spazzini.
I netturbini scioperano dal 7 marzo contro la riforma delle pensioni e per l’aumento dei loro miseri salari. Hanno bloccato depositi e inceneritori, col risultato che più di diecimila tonnellate di spazzatura si sono accumulate per le strade di Parigi. Di fronte alle immagini dei turisti disgustati, il governo ha imposto la serrata, caricando i picchetti con l’antisommossa e andando a requisire gli spazzini sotto casa, mandando le volanti a controllare i camion del pattume. Ciononostante, i sacchi neri continuano a tracimare dai bidoni, mentre gli spazzini fanno lo sciopero dello zelo e attivisti “ammanettano” i cassonetti tra di loro.
Stanotte, la lotta degli spazzini trova un’inattesa convergenza con la folla inferocita dall’autoritarismo di Macron, tramite accendini e fiammiferi, sotto forma di carburante per barricate.
La folla si riforma al di qua dello schieramento di polizia, sotto alla Colonna di luglio, e parte verso il Marais. Un gruppo di poliziotti scatenati carica di qua e di là, i lacrimogeni saturano l’aria. M’infilo in una viuzza, appena in tempo per evitare una carica, poi mi schiaccio contro il muro mentre ne arriva un’altra. Un poliziotto prende di mira un giovane passante e gli apre il cranio, lo insulta e se ne va. Il ragazzo inebetito si tocca la testa, appoggiato contro un muro. Qualcuno gli passa un fazzoletto. Non era neanche un manifestante.
Per quanto agitino i manganelli, i poliziotti sono in totale confusione. C’è troppa gente, che si muove troppo in fretta, per troppo tempo. Come ti giri, spunta un gruppo nuovo. Un amico dice: «Sembra che la gente esca dai muri». Si va avanti così fino a quasi l’una di notte. E non è solo a Parigi, anzi: a Lione, a Nantes, a Rennes, a Montpellier, a Strasburgo, ovunque, migliaia di persone – giovani, per lo più – appiccano fuoco alla spazzatura, mentre la polizia scatenata picchia, soffoca, arresta, alla cieca.
Questo, poi, di notte. Perché di giorno i blocchi si moltiplicano: di qua i ferrovieri invadono i binari a Versailles; di là i lavoratori delle raffinerie di Le Havre chiudono depositi e impianti; laggiù a Marsiglia chiudono il porto dei container dei carburanti; e così via. Poi, di notte, il tempo di far accumulare un po’ di spazzatura, si riaccendono i fuochi. Per le strade, e sui picchetti.
Succede a Parigi e nelle città, ma soprattutto succede nei piccoli centri. In questo senso, si vede che i gilet gialli sono passati di lì. Non so se durerà, ma quando vedi che nei posti più sperduti ci sono blocchi e fiamme, che le rotonde sono bloccate, è impossibile non pensare a quell’esplosione che furono i gilet jaunes.
Forse è l’unico linguaggio che Macron capisce: l’émeute. La rivolta di piazza, coniugata questa volta al blocco economico, all’arresto dei flussi. Macron è l’incarnazione stessa dell’autoritarismo neoliberale, autore di una riforma che non vuole nessuno, che non ha votato nessuno, neanche un parlamento che pure, nell’assetto istituzionale francese, ha un peso tutto relativo. Un monarca decisamente poco illuminato – e allora, non deve stupire che nelle piazze, soprattutto alla Concorde, all’imbocco degli Champs-Elysées, là dove una volta era montata una delle ghigliottine, la gente urli il suo nome assieme a quello di Louis XVI, «qu’on a décapité / Macron, on peut recommencer». (filippo ortona)
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