Dopo le ultime polemiche intorno alla cosiddetta movida, sono state annunciate nuove misure di controllo e sanzioni economiche più consistenti per limitare orari di chiusura di bar e locali e vendita di alcolici. Nel dibattito-calderone sono finite anche strumentalizzazioni politiche, accuse a venditori ambulanti e parcheggiatori abusivi, preoccupazioni per l’impatto del flusso turistico sulla vivibilità del centro storico, il tutto declinato con estrema semplificazione, in modo da incentrare le possibili soluzioni solo su misure legalitarie, a favore dell’ordine e del decoro urbano.
In realtà, il problema non si esaurisce (e non si risolve) se non si guarda alla gestione complessiva della città: trasporto pubblico notturno, stili di vita e consumo, regolamentazione di licenze, riqualificazione degli spazi comuni, programmazione culturale fuori dalla logica dell’evento e lontana dai soliti centri di aggregazione. Si tratta di un problema che naturalmente non coinvolge solo Napoli, anzi è motivo di discussione (e, in alcuni casi, di pianificazione politica) in tutte le grandi città europee. Si tratta di un problema che rischia, però, nella Napoli della presunta “anomalia”, di ridursi a un mero scontro tra residenti e giovani, tra decoro e divertimento, tra divano e strada.
Riproponiamo a seguire un articolo che abbiamo pubblicato lo scorso giugno, e che prova a mettere un po’ d’ordine, e tra loro in relazione i flussi di consumo con quelli di produzione, mode, socialità e musica, l’ ossessione per il decoro e la quiete pubblica con l’assenza totale di politiche e pianificazione amministrativa sul tema.
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Solstizio d’estate. Mentre una Francia in piena paranoia da terrorismo è indaffarata nei preparativi della Festa della Musica, che inonderà di concerti, sound system e artisti di strada ogni città del paese, in Italia monta la polemica per le cariche di Santa Giulia. I fatti sono noti: dopo il brutto incidente del 3 giugno in piazza San Carlo, la sindaca pentastellata vara una ordinanza che vieta la somministrazione di alcolici da asporto dopo le otto di sera, in tutte le zone interessate dal fenomeno della cosiddetta movida. I frequentatori abituali provano a fare finta di nulla, finché la questura non decide di portare in piazza un ingente spiegamento di mezzi e uomini in antisommossa. Il risultato è su tutti i giornali: gente manganellata, tavolini spaccati, e un bel po’ di casino. In un attimo la movida diventa un problema di ordine pubblico, e forse anche un boomerang politico che rischia di colpire qualche testa tra il comune e la questura. Se quello torinese rappresenta un caso limite, i più attenti tra coloro che frequentano piazze e strade napoletane avranno notato una certa tensione anche in alcune zone della nostra città. Cosa sta succedendo nelle strade dell’“anomalia Napoli”?
Qualche settimana fa, di sabato sera, un piccolo corteo ha attraversato le vie del centro storico, accompagnato da un nutrito schieramento di forze dell’ordine. Mentre percorrevano con uno striscione le zone adiacenti a piazza Bellini, mischiandosi alla movida che intendevano contestare, i partecipanti hanno denunciato di essere stati oggetto di scherno e aggressioni verbali. La stessa cosa raccontano gli avventori di alcuni esercizi davanti ai quali il corteo si è fermato in maniera prolungata, additandoli come i principali nemici della quiete pubblica tra i decumani. F. racconta che i ragazzi che stazionavano nei pressi del suo bar sono stati accusati di abbandonare «siringhe di droga sul marciapiede»; marciapiede che egli stesso si preoccupa di spazzare ogni sera e dove, a quanto riferisce, non ha mai raccolto più di bottiglie e mozziconi. In piazza Bellini, S. racconta di contestatori di mezza età che imbruttivano i seguaci dello spritz: «Dovreste vergognarvi!». Per quanto poco partecipato, il corteo del Comitato per la vivibilità e la quiete pubblica ha avuto una discreta copertura mediatica, probabilmente garantita da uno dei suoi principali organizzatori. Gennaro Esposito, ex consigliere comunale fuoriuscito dalla maggioranza arancione e attualmente animatore di un piccolo gruppo indipendente, svolge inoltre attività di coordinamento per i sette comitati di cittadini nati in questi mesi nelle zone maggiormente interessate dalla movida notturna. Ma precisamente, che cosa è la movida?
Movida è una denominazione vaga, per quanto efficace, per tenere insieme fenomeni diversi tra loro. Bar gremiti e gente che si diverte; piazze piene e vomito per terra; dj che suonano e ragazzi con la chitarra; traffico paralizzato e inquinamento acustico; consumo di stupefacenti e gente dalla rissa facile; immobili che aumentano o diminuiscono di valore in poco tempo; un trio jazz niente male accompagnato da un drink annacquato e servito nel barattolo dei fagioli per la modica cifra di cinque euro. Dalla scorsa settimana la definizione nostrana di movida include anche una ragazza che si fa leccare davanti a un bel po’ di gente, il giorno dopo finisce sul web e poi, complice un’ondata di indignazione moralizzante montata ad arte da alcuni giornali, addirittura in manette. È chiaro che in questa accezione la movida diventa una coperta abbastanza lunga per essere tirata, all’occorrenza, da tutte le parti. I tutori del riposo e del decoro la demonizzano come un’orda barbarica, dimenticando che, fino a pochi anni fa, molte strade al calar del sole diventavano terra di nessuno. Le strutture autogestite la guardano con giusto sospetto in quanto parte attiva del processo di gentrificazione del centro città, salvo diventarne parte in caso di iniziative più partecipate. I turisti la attraversano con un misto di incredulità, timore e divertimento. Tutti gli altri vi partecipano, ma senza troppo entusiasmo. Dopotutto, cos’altro c’è da fare?
Al centro storico la cosiddetta movida ha origini antiche quanto la presenza delle università, e storicamente ha prodotto molto in termini di stili di vita e cultura alternativi. Negli ultimi anni la composizione del popolo della notte del centro è andata mutando. Le tribù urbane di breakers, punkabbestia e fricchettoni col chilum sono progressivamente scomparse, sostituite da quelle delle birrette a un euro, dell’aperitivo a due e della cocaina a venti. Parallelamente, l’offerta culturale e musicale, ridotta ai minimi termini, si è orientata verso la forma del consumo piuttosto che della produzione indipendente ed estemporanea. La questione diventa ancora più evidente dato il particolare momento che vive la città, e soprattutto il suo piccolo centro. A un rinnovato afflusso di gente proveniente dagli altri quartieri e dai comuni limitrofi si è aggiunto quello dei turisti, che a migliaia affollano le stradine comprese nel quadrilatero dei decumani. Il risultato è un fiume di persone che nelle ore notturne vaga senza soluzione di continuità da un cicchetto all’altro, annaspando nella puzza di fritto e nei cocci di vetro.
Al di là di interpretazioni ideologiche e strumentali, la movida non è che la concentrazione dell’incontro tra specifici flussi di consumo e flussi di produzione all’interno di un quadrante dell’area urbana. Se la città è attraversata nella sua interezza da movimenti di questo tipo, i flussi della movida si caratterizzano per la temporalità notturna, per il carattere ricreativo e per la particolare commistione di beni materiali e immateriali che vengono prodotti e consumati. All’interno del quadrilatero dei decumani la movida napoletana produce e consuma birra a poco prezzo, polpette al ragù, vodka di dubbia provenienza e fritture di pesce. Ma, come spesso si verifica, tra le maglie strette del capitale passa anche dell’altro. Socialità, reti di affetti, senso di appartenenza; musica, cultura alternativa, idee; sviluppo di talenti e capacità, che rappresentano la migliore risposta alla retorica del degrado e del silenzio.
Pesa in questo quadro l’immobilità di un’amministrazione che, dopo essersi fatta vanto di aver ripopolato il centro città, ha di fatto abbandonato migliaia di turisti e residenti all’ingrasso. Giugno Giovani volge al termine e probabilmente non se ne è accorto nessuno, a causa di un calendario talmente ridotto da risultare imbarazzante. Il comune ha definitivamente gettato la spugna anche per il Parco dei Camaldoli, chiuso per una colpevole mancanza di manutenzione. Pur se lasciato all’iniziativa privata, negli ultimi anni è stato questo l’unico spazio cittadino dove fuggire la calura e ascoltare un po’ di musica a prezzi contenuti, oltre a funzionare come efficace camera di decompressione per un centro storico già congestionato. Se si escludono un paio di concerti di piazza gentilmente offerti dal Napoli Teatro Festival, l’importante e coraggioso esempio del Nadir e poco altro, ciò che resta è il vuoto pneumatico.
Mentre i tutori del decoro e della quiete pubblica tendono a fare di tutta l’erba un fascio, probabilmente cercando di trasformare il malcontento in consenso elettorale, occorrerebbe invece operare alcune piccole ma importanti distinzioni. L’apertura di esercizi fotocopia che vendono birre in vetro e cibo da asporto andrebbe regolamentata. L’offerta culturale e musicale andrebbe invece tutelata, delocalizzata su tutto il territorio cittadino e accompagnata da un deciso incremento del trasporto pubblico. L’economia informale della notte, fatta anche di piccoli locali gestiti e frequentati soprattutto da giovani, rappresenta infatti una importante fonte di sostegno per quanti ancora non si rassegnano a diventare operatori di call center o affittacamere, oppure a vestire la maschera di pulcinella per accontentare i turisti. Musicisti, dj, mc, grafici, videomakers, fotografi, che si muovono a proprio rischio sul bordo scivoloso del capitale, dovrebbero rappresentare una parte di quel tessuto umano, artistico e culturale, in grado di traghettare verso il futuro una città che si promuove come capitale del Mediterraneo. L’estate napoletana al centro storico scorre invece calda e silenziosa, complice anche la recente serrata di controlli a quei pochi esercizi che ancora provano ad accompagnare alla vendita di alcool un po’ di musica di qualità. Dopo pizza e sfogliatella, non resta allora che un’ennesima birra. In un modo o nell’altro, adda passà a nuttata. (brian d’aquino)
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