L’epidemia di Covid 19 è tuttora in corso e i numeri ufficiali hanno dimostrato tutta la loro inaffidabilità. Di conseguenza è difficile determinare quale sia stato il reale effetto dell’emergenza e quante vite siano invece state portate via dalle carenze del sistema sanitario. È però inevitabile domandarci come cambi la mappa demografica di cui sono composte le nostre società, in che modo influisca la scomparsa di larghe porzioni delle generazioni più anziane. Benché sia presto per tracciare bilanci, alcune “morti eccellenti” ci possono offrire la dimensione del cambiamento. Se la scomparsa di Luis Sepúlveda ha avuto grande risonanza per la fama mondiale dello scrittore, le morti di Lino Lanzotti, di Gildo Negri e di svariati altri protagonisti della Resistenza, hanno significato una perdita importante che mette a rischio la memoria storica.
Ma la morte da Coronavirus che più mi ha fatto riflettere è quella di Juan Antonio González Pacheco, sconosciuto ai più in Italia. Più noto con il soprannome di Billy el Niño, Pacheco è deceduto a Madrid il 7 maggio scorso. Negli anni Settanta era stato funzionario di polizia, aggregato alla Brigada Político-Social, famigerato braccio di repressione del dissenso del regime franchista. Fino alla fine della dittatura lo troviamo protagonista di centinaia di torture e svariati assassinii. I testimoni che dopo decenni di silenzio hanno trovato la forza di raccontare la propria esperienza, dipingono el Niño come un sadico torturatore, particolarmente solerte nell’esercizio delle proprie funzioni. Durante il processo di transizione democratica, Pacheco venne riciclato nel corpo di polizia ricevendo la promozione al ruolo di ispettore. In quell’epoca si distinse per l’attività anti-terrorista contribuendo nel 1977 alla liberazione di Antonio María de Oriol Urquijo, alto gerente franchista, già ministro della giustizia dal 1965 al 1973 e nel 1976 rapito dal gruppo armato Grapo. Per questa operazione Pacheco ricevette una decorazione per meriti di servizio, alla quale – prima di lasciare la polizia nel 1982 riciclandosi come direttore di numerose agenzie di sicurezza privata – se ne aggiunsero altre tre. Riconoscimenti che non sono mai stati messi in discussione dallo stato spagnolo, in virtù dei quali Billy el Niño ha goduto, fino alla morte, di una pensione maggiorata del quindici per cento. Nel 2013 un tribunale argentino emanò un ordine di cattura internazionale ai danni di Pacheco, ritenuto responsabile di tredici casi di tortura avvenuti tra il 1971 e il 1975. Nel 2014 l’Audiencia Nacional (diretta erede del Tribunal de Orden Público franchista) negò l’estradizione, argomentando che i delitti in questione, qualora fossero stati realmente commessi, sarebbero stati “ampiamente prescritti”.
Se la giustizia spagnola non ha mai agito in merito alle attività criminali di Pacheco, lo si deve all’amnistia per i crimini commessi dal regime, una misura che ha segnato la transizione al regime democratico. L’estinzione del reato è parte di un più ampio compromesso che determinò il passaggio dalla dittatura alla monarchia costituzionale che tuttora governa il paese. Lo stesso ordinamento istituzionale venne disegnato e a lungo preparato da Francisco Franco, il quale individuò nel futuro Juan Carlos I il re di Spagna che sarebbe diventato capo di stato alla sua morte. Quest’ultimo, nel 1947, venne richiamato dal dittatore spagnolo da Roma (città natale e rifugio dopo l’esilio in seguito alla proclamazione della Seconda Repubblica nel 1931) a Madrid per educarlo sotto la propria egida. Nel 1969 Franco lo proclamò ufficialmente erede al trono (scavalcando arbitrariamente il padre di Juan Carlos, Juan di Borbone).
La vicenda di Billy el Niño si inquadra quindi in un contesto più articolato, di un paese che non ha mai fatto veramente i conti con il proprio recente passato. La continuità tra i due ordinamenti non è solo formale, ma trova sostanza in molte istituzioni tuttora in vigore. La rimozione della salma di Francisco Franco dal Valle de los Caídos, nell’autunno del 2019, è stata accompagnata da violente polemiche e si è verificata solo dopo numerosi tentativi osteggiati dalla destra e dalla chiesa cattolica. La “valle dei caduti” è un memoriale costruito a nord di Madrid, edificato con lo sfruttamento del lavoro schiavizzato dei dissidenti del regime, poi seppelliti all’interno della struttura e che fino a pochi mesi fa, paradossalmente, riposavano proprio accanto al loro aguzzino.
Non esistono cifre ufficiali sul numero di persone assassinate durante i quarant’anni di dittatura franchista. Il paese è disseminato di fosse comuni, le vittime della repressione aspettano ancora che gli venga assegnato un nome e restituita la dignità. L’approvazione della Ley de Memoria Histórica, timido tentativo del governo Zapatero per riportare equilibrio in un paese le cui istituzioni democratiche non hanno mai ufficialmente preso le distanze dal regime, è stata approvata nel 2007 ed è rimasta sostanzialmente inapplicata. Se l’intento dichiarato, contenuto nel titolo stesso della legge, era “riconoscere e ampliare diritti e stabilire misure a favore di quanti soffrirono persecuzioni o violenze durante la guerra civile e la dittatura”, nei fatti non ha prodotto altro che l’apposizione di qualche targa commemorativa, spesso poi rimossa su pressione dei partiti e delle associazioni di destra. Nel 2017 l’allora presidente del governo e segretario del Partido Popular, Mariano Rajoy, si vantava in un’intervista video di avere destinato al finanziamento della legge “zero euro”. Una strategia che ha mantenuto fino alla fine del proprio mandato.
Per questi motivi e per molti altri che non trovano spazio in questo breve scritto, considero la morte di Billy el Niño una notizia della quale non rallegrarsi. Un’occasione perduta, l’ennesima, per salvare un pezzo di verità storica. La memoria si compone di frammenti. La sofferenza e l’ingiustizia subite da milioni di persone durante la guerra civile e nei decenni di dittatura che ne sono derivati, compongono un racconto spezzettato benché corale, che necessita di una nuova lettura. Dal ricordo alla memoria il passo è lungo, è necessario un lavoro meticoloso di raccolta dei tanti particolarismi soggettivi al fine di condurli verso una costruzione comune di significato.
Pacheco è stato colpito dal Covid-19, uno dei tanti ultrasettantenni che sono stati spazzati via dalla pandemia, per cui tutti siamo afflitti e preoccupati. Lo stato spagnolo ha temporeggiato troppo. Per decenni ha distolto lo sguardo. Rimettere le cose in ordine – così come sollecitato dall’Asociación para la Recuperación de la Memoria Histórica, ricevendo il diniego dell’allora ministro dell’interno Juan Ignacio Zoido – non avrebbe significato solo riconoscere la natura delle azioni commesse da Billy el Niño, ma sarebbe stata una presa di posizione sulla traiettoria criminale e liberticida del regime franchista. Se lo stato spagnolo avesse ritirato le medaglie al torturatore avrebbe sentenziato una presa di distanza dall’idea di riconciliazione senza distinzioni, avanzando un piccolo passo verso la costruzione di senso condiviso e la messa in questione del modello della transizione democratica. Nel 2019 il neo-ministro Fernando Grande-Marlaska ha reso noto di voler studiare di nuovo il caso. Troppo tardi, gli eventi hanno superato questa dichiarazione di intenti. Anche perché la Ley de Memoria Histórica non consente di agire in maniera retroattiva su soggetti non più in vita. La soluzione al dolore e al conflitto viene rimandata al piano individuale, lasciando inalterati i rapporti di forza e l’intelaiatura istituzionale che li rappresenta e li regola. La morte di Pacheco raffigura un’opportunità mancata di invertire questa tendenza. (ciro colonna)
Leave a Reply