Segue un intervento di Antonio Di Luca, operaio in cassa integrazione della Fiat di Pomigliano d’Arco e membro del direttivo provinciale della Fiom Cgil di Napoli, pubblicato su Il Manifesto il giorno 21 febbraio 2012.
Sono poco più di duemila dipendenti, e solo 1750 gli operai finora richiamati a Pomigliano. In linea con il quaranta percento dichiarato all’esame congiunto di Roma dalla Fiat nel luglio 2011. Passaggio necessario, per rinnovare di un altro anno la cassa integrazione per cessazione di attività per i restanti tremila e duecento operai ancora fuori dal processo produttivo. A oggi lo stabilimento produce ottocento vetture al giorno su due turni per cinque giorni alla settimana. Dalle ore sei alle quattordici e dalle quattordici alle ventidue. Il turno di notte è saltato, compromettendo anche quel poco di aumento salariale dovuto all’indennità notturna. Questo significa concentrare l’innalzamento della salita produttiva solo su due turni anziché tre, e aumentare notevolmente lo sfruttamento intensivo psicofisico degli operai, costretti a ritmi massacranti oltre ogni limite di ragionevolezza. La salita produttiva nei prossimi giorni porterà a produrre quattrocentoventi vetture a turno, una macchina al minuto. Meno di una margherita nel forno di una pizzeria. Una follia, mentre diversi capannoni sono in disuso e oltre tremila operai in cassa integrazione.
Ma, è questo il punto: non poteva essere altrimenti. Quando si produce una sola vettura, per quanto bella, ma con un bassissimo valore aggiunto, comprimere i costi per l’azienda diventa necessario. Ed è in questo quadro che i delatori diventano essenziali per annientare la dignità degli operai. Le testimonianze che ci giungono quotidianamente hanno dell’inverosimile, spesso accompagnate da pianti. Ecco il motivo umano, prima che sindacale o legale che ci spinge a svelare questo abominio. Da quando è partita la produzione della nuova Panda le pause saltano, senza avvisi, scuse o particolare rispetto delle relazioni minime sindacali: «La pausa dalle diciotto alle diciotto e dieci salta», è il freddo ordine del capo. Per chi aspetta quella pausa, già scelleratamente ridimensionata da “accordi” imposti dal “manager dei due mondi”, per riposarsi dalla fatica di una catena che corre all’impazzata, è il baratro. Lavorare ancora due ore in quelle condizioni, con la schiena a pezzi, le gambe pesanti, la bocca secca e dolori alle articolazioni. Ti sembra di impazzire.
Ma è a fine turno che si compie l’atto drammaturgico più grave, Shakespeare e Brecht a confronto sembrerebbero dei dilettanti: “la messa nell’acquario”. Vi ricordate la lettera scritta al Corriere della sera dal professor Ichino su Pomigliano?: “[…] gli uffici con le pareti di cristallo collocati in mezzo al percorso del montaggio, quasi a sottolineare il superamento di ogni distinzione tra operai e impiegati”. Bene, quelle pareti di cristallo, che gli operai chiamano acquario, sono gli uffici che alla fine di ogni turno sono adibite per la pièce. C’è un microfono, c’è il direttore con tutti i preposti aziendali al cui cospetto sono convocati gli operai. La riunione si apre con la dettagliata delazione dei capi e/o dei team leader sugli errori commessi durante il turno dagli inconsapevoli operai, tralasciando naturalmente errori e ritardi provocati dal processo o dal prodotto. L’audizione è obbligatoria per gli operai e lo spettacolo viene rappresentato nella pausa mensa. Quindi senza mangiare, dopo che quei poveracci hanno trascorso dieci o undici ore lontano da casa, e dopo un turno massacrante di lavoro.
Per espiare i propri peccati, il povero operaio messo in mezzo dalle gerarchie di fabbrica è costretto, al microfono, a scusarsi dinanzi a tutti, magari di errori che neanche ricorda, vista la densità delle operazioni, cui è stato sottoposto. Deve fornire convincenti prove del suo pentimento, nella speranza che la sua esibizione sia accolta con benevolenza dai capi e dal direttore e che scongiuri l’inevitabile contestazione e la multa. Provvedimenti che scatteranno comunque in automatico dopo tre “messe” fino a provocare il licenziamento del malcapitato dopo alcune contestazioni disciplinari.
Molti obietteranno che è normale in una grande azienda effettuare un brainstorming, o un semplice feedback della giornata; senza scomodare Marx, credo sia inconcepibile imporlo in queste forme a operai già provati da una giornata alla catena per poche decine di euro al giorno e in un quadro di delazioni tipiche solo in “un universo concentrazionario” dove l’unico obiettivo è l’annullamento della persona umana, prima ancora che dell’operaio. (antonio di luca)
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