È comparso come un miraggio, illuminato dal suo enorme zaino giallo, di fronte al portone di casa. L’ho affiancato mentre armeggiava tra lo smartphone e la catena della bici, una bicicletta da pochi soldi, di quelle pieghevoli, senza marce. Gli ho spiegato che stavo cercando fattorini in bicicletta per una certa mia ricerca. Rider, ha detto. Sì, rider, insomma. Raccolgo testimonianze, non ti rubo più di mezz’ora, e abito qui sopra. Subito era impossibile, ha tagliato corto guardando lo schermo del telefono, non c’era tempo, ma in un altro momento lo avrebbe fatto volentieri. Sono stata fortunata, ha aggiunto, perché lui è anche un personaggio pubblico, in un certo modo, infatti sta lavorando a un testo rap proprio sui diritti dei rider e a breve presenterà il pezzo a Mtv. Concordiamo per la settimana prossima, a una certa ora, a casa mia.
Arriva puntuale, più di me. Indossa una cuffia bizzarra, stile Vasco Rossi. Ha il suo immancabile zaino giallo sulle spalle e il caschetto tra le mani. Saliamo con l’ascensore. Gli chiedo di farmi sentire quanto pesa quella borsa, ne vedo a decine ogni giorno, sulle spalle dei ciclisti, ma non ne ho mai toccato una. Pesa un fottio, eppure adesso è vuota.
Inizia l’intervista, accendo il registratore. Si presenta, si chiama Ivan, trentanove anni, napoletano d’origine ma milanese di adozione, ha una passione per la musica elettronica e da poco si è dato al rap. Di formazione è elettricista, ma da più di dieci anni fa consegne in bicicletta, lo ha fatto in Lombardia, in Liguria, in Sicilia e ora a Roma. La fidanzata non lo capisce, dice che dovrebbe cambiare, che è solo un lavoretto, i genitori addirittura hanno tagliato i ponti con lui. Chi la pensa così, secondo Ivan, non ha capito, non è informato su quanto si può guadagnare con un lavoro come questo. Lui da anni riesce a portare a casa uno stipendio da operaio. Sì, ma se ti fai male? Se ti ammali? Se vuoi andare in ferie? Quando invecchi? Lo incalzo, ma Ivan non si smuove, non è d’accordo con la nuova proposta di inquadramento dei rider e a dirla tutta non ne sa molto. Il decreto legge è stato approvato il 3 novembre, e contiene disposizioni volte a garantire minimi di tutela economica e normativa. Grazie alle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici che in questi anni sono scesi in piazza e si sono organizzati in molte città italiane si è arrivati a un primo traguardo: una legge ancora troppo timida ma che apre la strada a un percorso di tutela del lavoro nella giungla delle consegne a domicilio. Ivan invece preferisce che tutto rimanga così com’è. Si è vero, se ci si fa male sarebbe bene avere una copertura, ma in fondo una piccola assicurazione anche le piattaforme per cui ha lavorato, te la offrono. Per il resto, vede solo vantaggi. Mi fa vedere il sito di Glovo: basta un click su un bottone ed è fatta. Ti chiedono di inviare una foto o un breve video e il giorno dopo sei a colloquio, esci dalla sede dell’azienda e hai un lavoro in tasca. La app è bene organizzata, mi spiega: c’è una tabella dove marca le ore del giorno in cui si rende disponibile, il gps sa dove sei e come parte la fascia oraria che hai scelto inizia a segnalare le consegne più prossime. Si tratta di portare in giro di tutto, dal cibo ai documenti, dai libri ai giocattoli; variare le committenze, aggiunge, significa frequentare persone diverse, conoscere nuove situazioni, evitare la routine quotidiana e avere sempre stimoli nuovi.
Non riesco a capire, mi sento dal lato della fidanzata e dei genitori, come si può accettare il pensiero di lavorare a queste condizioni a lungo termine? Mi racconta che il giorno prima ha incrociato un tipo con la Smart, qualcosa è andato storto per qualche manovra, il signore ha accostato, è sceso dalla macchina e lo ha scaraventato a terra. I passanti hanno preso le parti di Ivan, che mentre si rimetteva in piedi continuava a ripetere: «Voi romani dovreste dare l’esempio a tutta la nazione, come potete comportarvi così!». La forcella della bici si è storta e Ivan ha dovuto cercare un’officina di riparazioni prima di rimettersi in marcia. Innanzitutto però ha scritto alla chat del servizio assistenza di Glovo, dall’altra parte dello smartphone qualcuno ha digitato parole di rassicurazione: non era grave, se per un paio d’ore non sarebbe riuscito a fare consegne, poteva stare tranquillo.
Quali prospettive può avere un lavoro del genere? Cosa farà quando il fisico non gli consentirà più di pedalare decine di chilometri al giorno, sotto la pioggia e sotto il sole? A lui sta benissimo così, si sente libero, incontra persone, vive la città e nei prossimi anni sarà la tecnologia a venirgli incontro, già oggi ci sono delle ottime biciclette elettriche e quando ne avrà bisogno lui ci sarà ancora di meglio.
Poi mi racconta di un’altra aggressione, molto più seria, subita un anno fa. Un gruppo di ragazzi lo ha aspettato all’uscita della stazione del treno, ai Castelli Romani; appena è sceso, con la bici e lo zaino in spalla, è stato colpito violentemente. Ivan non ricorda nulla, ha perso quasi subito i sensi, si ricorda solo il risveglio, in un letto di ospedale. Gli hanno dato un mese di prognosi, la bicicletta era scomparsa, così come il telefono e il portafogli. Ivan ha chiamato Deliveroo, la piattaforma per cui lavorava in quel periodo; gli hanno chiesto a che ora era avvenuta l’aggressione e hanno verificato il momento della sua ultima consegna: purtroppo era passata più di un’ora e l’assicurazione non ha potuto coprire nulla.
Gli chiedo se si è fatto un’idea di quale motivo abbia spinto quei ragazzi a prendersela proprio con lui. «Perché pensano che sono uno sfigato, per questo. Pensano che i rider sono degli sfigati, persone che non valgono niente e che non sanno fare niente, ed è questo pensiero che voglio combattere con il mio rap».
Dall’inizio dell’intervista sento uno strano rumore nella cuffia, un’impercettibile interferenza, gli chiedo più volte di controllare il telefono, ma è spento, come il mio. Non riesco a capire cosa possa essere quel disturbo, ma alla fine, quando ci stiamo quasi per salutare, in piedi, nel corridoio, tutto mi è chiaro. Ivan mi dice qual è la sua aspirazione per il futuro: vuole continuare ad avere i soldi necessari per potere dedicarsi alla musica, l’unica sua grande passione e il solo palliativo al suo penetrante acufene, un fischio potente che sente in entrambe le orecchie. È anche un invalido civile, ha una forte sordità, che in parte risolve con un apparecchio acustico interno che noi non vediamo. Ecco spiegata l’interferenza.
Il suo futuro è lì, nella musica; insegue la sua stella polare, sicuro che un giorno potrà dire al mondo che anche chi è disabile è capace di raggiungere i propri traguardi in autonomia.
Sono le 12:55, tra cinque minuti scatta il suo turno e la app inizierà a pulsare. Ci scambiamo gli indirizzi mail e ci salutiamo, lui parte per la prima consegna e io rimango lì a rimuginare sul docile ciclista che in fondo altro non è che un potenziale Joker, con cui non sarà possibile non essere solidali. Il giorno dopo mi invia il testo della sua canzone: “Io mi chiedo ma tu sfigato che stai a casa chissà dove li prendi i soldi per poi dire che mi odi… rosica rosica per la mia onestà, per la mia dignità e per la fatica che faccio per guadagnare, io i soldi non me li faccio regalare a differenza di te che questo non sei capace di accettare!”. (marzia coronati)
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