La contaminazione dei corpi nelle istituzioni totali è il titolo di un recente lavoro pubblicato da William Frediani (Sensibili alle foglie, 2022), ben curato e di grande interesse, anche alla luce della discussione aperta dal caso di Alfredo Cospito sullo spinoso tema del 41 bis. Il testo, come si evince dal titolo, è una sapiente e ben ordinata raccolta di testimonianze di persone che, a vario titolo, hanno vissuto una esperienza di reclusione o internamento in una istituzione totale.
Sebbene il libro non lo citi, viene alla mente un legame con il lavoro di Terrence Des Pres che, dopo avere a lungo analizzato i campi di sterminio e i gulag, pubblicò nel 1979 The Survivor. Anatomy of Life in the Death Camps, una raccolta di testimonianze di quello che definiva sopravvivente, “cioè di colui che canalizza tutte le proprie forze all’unico scopo di restare in vita e diventare un sopravvissuto che potrà testimoniare l’orrore, l’archetipo contemporaneo dell’uomo che si oppone alla vita”. Il libro di Frediani si muove verso un’altra direzione, ma, proprio come Des Press, riesce bene a dare corpo alla voce degli internati.
Per il proprio lavoro, Frediani trova una doppia ispirazione nel libro imprescindibile di Erving Goffman, Asylums, nel quale il sociologo canadese analizzava i meccanismi dell’esclusione e della violenza di quelle che definiva istituzioni totali, ovvero “il luogo di resistenza e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato”. L’altro concetto di matrice goffmaniana, strettamente connesso al primo, che viene adoperato dal nostro autore è quello di contaminazione, ovvero l’invasione o la vera e propria violazione del suo corpo o di qualcosa che è strettamente collegato con il Sé che il recluso/internato subisce per le procedure che regolano l’istituzione totale o per comportamenti dei membri che vi lavorano.
Il concetto di Istituzione totale porta a estendere l’elenco dei luoghi mortificanti ben oltre il carcere o il manicomio, vi possiamo dunque aggiungere, evidenzia Frediani, “i campi di concentramento, i manicomi, gli ospedali, gli orfanotrofi, le case di cura, le case per anziani, i centri di detenzione per migranti, gli istituti per handicappati, i lebbrosari, i sanatori per tubercolotici, i collegi, le navi e le caserme militari, i campi di lavoro, le piantagioni, i monasteri e i conventi”.
Il nostro, dunque, raccoglie e organizza le testimonianze che provengono da questi luoghi, classificando quei dispositivi contaminanti che contribuiscono ad annullare, incrinare o mortificare l’identità dei reclusi/internati. Questa classificazione e raccolta costruiscono una serie di vasi comunicanti che portano da una istituzione a un’altra senza soluzione di continuità, in quanto le pratiche contaminanti si replicano somiglianti in istituzioni in apparenza differenti. Così il cibo disgustoso, l’obbligo di mangiare in comune, la promiscuità di corpi a contatto o a vista, l’invasione dello spazio vitale e della intimità, la nudità obbligata, le perquisizioni intime, la contenzione fisica o farmacologica sono dispositivi “contaminanti” che accomunano, seppure in forme e intensità differenti tutte le istituzioni.
Scrive Frediani: “In questa ricerca utilizzo molto spesso il sistema dello specchio tra istituzioni totali. Agisco, cioè, isolando per quanto possibile il metodo di contaminazione che un’istituzione pratica e lo accosto a processi analoghi di altre istituzioni totali”, cosicché “malati di mente, detenuti, prigionieri di guerra, deportati, anziani nelle case di riposo, militari in caserma, monaci in conventi, stranieri senza documenti, tutti conoscono le invasioni personali e le perquisizioni del proprio ambiente, degli armadietti, del letto, di ogni spazio a cui abbiano accesso”. Il cibo di una casa di riposo per anziani che non possono masticare e che seguono una dieta semiliquida in cui “con scarso rispetto e per velocizzare i tempi del pasto, primo e secondo vengono frullati insieme: pappetta di fagioli col pesce”, è lo stesso dispositivo mortificante con cui nei centri di detenzione per migranti, vengono forniti pasti sempre freddi con cibo immangiabile, mai caldo, scadente, scondito, “anche per chi, nei ‘gabbioni’, comincia a sentire i morsi della fame”.
La rassegna non ha, per ammissione dello stesso autore, la pretesa di essere esaustiva ma, proprio perché contenute quanto ben raccolte, le testimonianze offrono supporto alla tesi di fondo secondo la quale le “istituzioni totali non hanno solo il compito di recludere per il tempo necessario all’espletazione del servizio. Devono anche, come supplemento di punizione, educare, rieducare o riportare alla normalità fisica, mentale e relazionale i suoi sottoposti resi docili e manipolabili. In una parola, il surplus punitivo ha una funzione pedagogica nei confronti dei reietti e degli anormali”. In altri termini, le contaminazioni – secondo Frediani – mostrano la vita reale e sotterranea di una istituzione totale. Anche in questo caso il legame con le tesi di Goffman, che ha raccontato come il sistema di privilegi e mortificazioni cui sono sottoposti gli internati abbia il preciso obiettivo di far “adattare” gli internati alle regole della istituzione, è molto stretto.
Il lavoro di Frediani è molto utile per avere una idea delle dinamiche reali delle istituzioni totali e mostra anche come, certe volte, siano le “contaminazioni” meno appariscenti a produrre i maggiori effetti mortificanti, proprio perché poco visibili a un occhio esterno. Si pensi, per esempio, se il clamore creato nell’opinione pubblica dalle violenze e dai pestaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel 2020, sarebbe mai possibile se si fosse trattato di comportamenti tanto mortificanti quanto invisibili (cibo scaduto o perquisizioni a familiari particolarmente invasive). Su questo torna utile un altro libro di Frediani, a questo complementare, che racconta cosa sia la vita quotidiana in un carcere, Un Universo di acciaio e cemento (Sensibili alle foglie, 2018).
Questo testo va tenuto come promemoria, a continuo ricordo che è impossibile separare le istituzioni totali dai loro dispositivi contaminanti e mortificanti, perché questi sono intrinseci alla natura stessa di questi luoghi. Occorre allora tenerli bene a mente ogni volta che affrontiamo pubblicamente il tema della reclusione. Perché, come hanno scritto Franco e Franca Basaglia, “tutto può essere facilmente tacciato di ovvietà. Non è una novità individuare e rifiutare la sopraffazione dell’uomo sull’uomo; non è una novità cercarne le cause, rifiutando di coprirle con ogni pregiudizio. Ma finché la sopraffazione e la violenza sono ancora l’ovvio leitmotiv della nostra realtà non si può che usare parole ovvie, per non mascherare sotto la costruzione di teorie apparentemente nuove il desiderio di lasciare le cose come sono”. (dario stefano dell’aquila)
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