Domenica 27 ottobre si terrà a Roma (CSOA Forte Prenestino, alle ore 10) un’assemblea indetta dal gruppo No Ogm del collettivo Cambiare il campo. Il confronto pubblico è pensato per organizzare una mobilitazione nazionale contro i nuovi organismi geneticamente modificati e una loro possibile deregolamentazione che cambierebbe drasticamente l’agricoltura, i territori e quello che mangiamo, con la consapevolezza che ogni atto eticamente condiviso possa essere utilizzato per fermare la loro introduzione in Italia.
Tecniche di evoluzione assistita (Tea) è il nome scelto dalla Società italiana di genetica agraria per gli organismi geneticamente modificati che nel resto del mondo vengono definiti New genomic techniques (Ngt). Soltanto in Italia si è scelto un nome più digeribile che non facesse pensare alle mobilitazioni che, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, hanno impedito agli Ogm di arrivare nei nostri campi e sulle nostre tavole. Finora vendere Ogm è stato possibile solo garantendo tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio secondo il principio di precauzione. Adesso invece, politici, impresari, scienziati e lobbisti spingono per la deregolamentazione dei nuovi Ogm e in nome della sostenibilità cercano di accrescere consensi. A settembre durante il G7 Agricoltura a Siracusa, Giuseppe Perrone, leader della consulenza per l’innovazione della società Ernst & Young, proclama che “l’innovazione nel settore agrifood non è solo una questione di progresso tecnologico, ma una necessità per garantire un futuro sostenibile per noi e per il nostro pianeta”.
I Tea sono di fatto organismi alterati aggiungendo sequenze di Dna prelevate da altri organismi della stessa specie o da specie compatibili, oppure modificando dei geni per amplificare o silenziare alcune funzioni. Con i Tea, la novità rispetto agli Ogm di trent’anni fa è la presunta riproduzione in laboratorio di ciò che accade in natura. In virtù di questa ipotetica somiglianza, le associazioni di categoria come Coldiretti, Cia e Confagricoltura accolgono i nuovi Ogm, mentre voltano le spalle ai contadini che dicono di rappresentare. Stupisce tanta certezza nello sbandierare queste tecniche come sicure e precise, vista la parziale conoscenza del funzionamento e della struttura del Dna che abbiamo a oggi. Infatti, alla messa in guardia da parte di molti scienziati indipendenti si aggiungono numerose ricerche che rilevano effetti collaterali dovuti a mutazioni non volute nei siti bersaglio. Secondo l’Agenzia per la salute e la sicurezza alimentare francese, questi errori possono comportare l’emergere di tossine e allergeni potenzialmente dannosi nella progenie degli organismi modificati con Ngt.
Ora che gli ingranaggi del sistema relazionale tra industria, ricerca pubblica e privata e politica sono stati meglio oliati, si cerca di introdurre questi organismi prima che i loro rischi siano effettivamente accertati. Sebbene la Corte di giustizia europea nel 2018 abbia stabilito che le Ngt devono essere sottoposte alla stessa regolamentazione degli Ogm di prima generazione, a luglio 2023 la Commissione europea ne ha proposto la deregolamentazione, eliminando le misure di tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio per i nuovi organismi ottenuti con Ngt. La proposta di liberalizzazione, approvata dal parlamento e ora al vaglio degli stati membri, non era ancora stata formulata che le quattro più grandi multinazionali agrochimiche e sementiere (Bayer-Monsanto, Basf, Corteva e Syngenta) avevano già richiesto 139 brevetti relativi alle nuove biotecnologie per l’editing genomico sulle piante. Multinazionali che da sole governano quasi il settanta per cento del mercato sementiero mondiale e con esso la vita delle persone che se ne devono servire. Il grimaldello per la deregolamentazione delle Ngt è la loro presunta importanza per fronteggiare la crisi climatica e sfamare il mondo: rendere il sistema alimentare più sostenibile e resiliente grazie allo sviluppo di varietà vegetali migliorate, resistenti al cambiamento climatico e ai parassiti, atte a garantire rese più elevate e richiedere meno fertilizzanti e agro-farmaci. Eppure, delle novanta sperimentazioni svolte in Europa soltanto sei riguardano tratti resistenti alla siccità.
SELEZIONE INNATURALE
L’Italia inaugura la stagione delle sperimentazioni in campo di piante sviluppate con le Tea ancora prima che l’iter a livello europeo sia concluso. Senza lo spazio per un dibattito pubblico, senza valutazione dei rischi e senza contare i danni economici al settore bio, a giugno 2023 viene approvato un emendamento al Decreto siccità che semplifica le regole per le sperimentazioni in campo in deroga alla normativa Ue sugli Ogm. Questa mossa ha fatto guadagnare all’Italia il primato di paese europeo più attivo nel testare colture prodotte con tecniche genomiche.
Nel 2022 in India viene introdotto il cotone Ogm Bollgard di Monsanto per rimediare l’attacco del verme del cotone, ma le promesse di maggiore produttività sono state disattese. Ne è seguita una crisi economica con effetti drammatici, impatto negativo sull’ecosistema e perdita di varietà locali. Come per il cotone indiano, anche in Italia le Tea sarebbero l’antidoto ai danni del brusone per il riso e della peronospora per la vite, per i quali sono state avviate le sperimentazioni in campo. Lo scorso settembre è stato inaugurato in provincia di Verona il primo vigneto sperimentale in Europa ottenuto con Tea, un campo di circa duecentocinquanta metri quadri delimitato da una rete metallica accessibile solo al personale autorizzato e sottoposto a sorveglianza ventiquattro ore al giorno. Questo per evitare che si ripeta quanto è successo a giugno in provincia di Pavia, dove è stato completamente distrutto un campo sperimentale di riso. Meno di un mese fa è stata rivelata l’esistenza di un social network privato che profila e segue attivisti, giornalisti e ricercatori che hanno criticato i pesticidi e gli Ogm. Il portale sarebbe gestito da una società fondata da Jay Byrne, ex dirigente di Monsanto.
A sconfessare l’utilità di sementi geneticamente modificate in risposta ai cambiamenti climatici è la loro vocazione alla monocoltura e all’omogeneità genetica. Esemplificando, se viene inserito il gene della resistenza alla siccità, le sementi non saranno in grado di adattarsi ad altre condizioni meteorologiche legate. È l’eterogeneità delle sementi contadine co-evolute nei territori in migliaia di anni a presentarsi come la soluzione più naturale e sostenibile ai cambiamenti. Pensare di risolvere la crisi ambientale e alimentare con l’agricoltura industriale (che ne è una delle cause) è quanto di più illogico si possa fare, visto l’impoverimento del suolo risultato della meccanizzazione e di pratiche agricole intensive che non rispettano l’equilibrio degli ecosistemi. Invece che tecniche di evoluzione, le Tea nascondono tecniche di eliminazione avanzata della biodiversità.
Per fare luce sulla questione e valutare la bontà delle promesse di soluzioni semplici a problemi complessi, Stefano Mori e Francesco Panié hanno scritto Perché fermare i nuovi Ogm, edito da Terra Nuova. Gli autori sono rispettivamente coordinatore e campaigner di Crocevia, Ong che da anni sostiene progetti per l’agro-ecologia e la sovranità alimentare, parte del coordinamento europeo di via Campesina. Per genetisti e multinazionali biotech, l’alterazione dei genomi delle piante in laboratorio sarebbe talmente piccola da essere equiparata a quello che gli esseri umani hanno fatto fin dal Neolitico selezionando le varietà in campo. Questa semplificazione all’ennesima potenza cancella il rapporto di relazione che si crea in natura tra la pianta e l’ambiente e tra essi e chi le coltiva. Nel corso di un parlamento rurale sul diritto ai semi, Francesco riflette: “Io vorrei utilizzare più semi locali perché vedo che le piante resistono meglio, ma ormai è sempre più difficile trovarli perché chi se li riproduceva non c’è più. E poi è complicato introdurli nella mia azienda e commercializzare liberamente quello che produco”.
LA POLIZIA DEI SEMI
Contro chi sostiene che l’alterazione dei genomi sarebbe talmente “naturale” da rendere difficile la distinzione tra piante Ogm e non, Panié e Mori evidenziano come “il mito della neutralità delle modifiche crolla davanti alla ragion pratica della privatizzazione”. “Rintracciare le Ngt è possibile e si fa già da tempo, perché serve a chi le vende”, per dimostrare la contraffazione da parte di altre aziende o degli agricoltori. Gli autori del libro prendono atto di come negli Stati Uniti, dove gli Ogm sono presenti da tre decenni, sono numerosi i contadini portati in tribunale e ricattati dalle grandi multinazionali sementiere. I ruoli si ribaltano: un contadino a cui è stato contaminato il campo può essere accusato di furto di proprietà intellettuale dall’azienda proprietaria del brevetto e non avrà vita facile nel dimostrare di non aver rubato niente, anzi di essere parte lesa.
Con lo sdoganamento delle Ngt si innesca un meccanismo di dipendenza dalle sementi brevettate, i cui prezzi sono stabiliti dalle multinazionali che ne detengono i brevetti. Il pericolo da cui mettono in guardia gli autori del libro è la transizione verso il modello di brevetto industriale: chi controlla i semi, controlla tutta la filiera. La direttrice dell’African Center for Biodiversity, organizzazione che da vent’anni si batte per la sovranità alimentare nel continente africano, ha definito i nuovi Ogm come “meccanismi coloniali per intrappolare i sistemi agricoli e alimentari e assicurare nuovi mercati per le sementi riprodotte industrialmente dalle aziende”. Con la promessa di una vita più facile ci stanno espropriando dei saperi legati alla terra e con essi della libertà.
Franco per anni ha lavorato nell’agroindustria, ma ora recupera semi per riprodurli e distribuirli in giro insieme alle sue conoscenze. Ha in mano un pomodoro Ciettaicale, una varietà locale lucana che necessita di poca acqua, e ricorda che “tra i corsi di agraria all’università ce ne sono di tutti i tipi: meccanizzazione, coltura fuori suolo, come far crescere le piante sulla luna. Ma per quanto riguarda la riproduzione di semi, niente. Sono vent’anni che cerco un corso e non ho trovato nulla. Mi sono formato da solo, cercando ovunque, presso gli anziani, i monaci, nei vecchi documenti”.
Il fatto che il punto di vista dei movimenti contadini, delle organizzazioni ambientaliste e dei consumatori venga invisibilizzato e delegittimato, non vuol dire che ci sia accordo unanime alla deregolamentazione. Sono state diverse le occasioni in cui il mondo agricolo ha espresso il suo malcontento: dalle proteste dei trattori a quelle contro i nuovi Ogm, con iniziative di controinformazione per fare chiarezza sull’attuale sistema agroindustriale del cibo, che è causa di cambiamenti climatici, distruzione dei territori, sfruttamento di lavoratori e scomparsa di una prospettiva di vita sana. A marzo si è tenuta a Roma la conferenza contadina di Cambiare il campo, collettivo per una convergenza agro-ecologica e sociale. Quest’incontro ha avviato un dialogo tra movimento rurale e cittadino che si riconosce nelle pratiche agro-ecologiche come alternativa alla filiera del cibo industriale. Un’alternativa valida e sostenibile agli Ogm già c’è (anche se poco diffusa): sono le case delle sementi, in cui fare conservazione dinamica della biodiversità attraverso la selezione e lo scambio di semi delle varietà che meglio si adattano ai cambiamenti climatici.
Guy Kastler, contadino e attivista per i diritti degli agricoltori, ricorda che “per sensibilizzare l’opinione pubblica, è essenziale l’azione diretta, la disobbedienza civile, le petizioni e tutto il resto. Se non si agisce, si finisce per non avere nulla. Ma l’azione senza una lotta legale non sempre diventa legge”. Per questo Mori e Panié si propongono di lottare affinché “la regolamentazione venga usata come argine all’agroindustria e agli Ogm, invece che cooptare le pratiche contadine nello stesso quadro normativo” e perché “le pratiche di selezione, utilizzo, scambio e vendita delle sementi da contadino a contadino vengano consentite senza restrizioni e la brevettazione sia vietata”. Se i semi saranno controllati dalle “big four” dell’agroindustria, non possono che esserci all’orizzonte campagne senza contadini, sfruttamento delle risorse, dei territori e delle persone che li vivono. (gabriella patera)
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