Appuntamento alla stazione della Vesuviana di Sarno. Nella piazza di fronte, un rettangolo di edifici di alluminio e vetro, gradinate di cemento e una targa in ricordo del Cinque Maggio 1998. In alto – sulla collina – San Matteo: la città vecchia. La Sarno “moderna” è costruita sotto una massa friabile di detriti vulcanici.
Il silenzio, qualche cane vagabondo che passeggia sul corso. Mi accoglie una amica. L’obiettivo è raggiungere il fiume. Ci infiliamo nella strada stretta che porta al centro: il mercato ortofrutticolo, i tre ruote carichi di cassette di legno. Lasciamo la macchina alle nostre spalle. Nel bel mezzo della città incontriamo il pezzo di fiume che la percorre: Rio Palazzo.
Il pontile di legno accompagna il suo corso. A destra e a sinistra i negozi, le case. Un piccolo mulino, i cigni, le papere gli donano una atmosfera surreale. Incontriamo Aniello, l’artefice di questa piccola bonifica. La giacca a quadri e il volto di chi lavora sotto il sole. «Facevo il poliziotto ma ora sono in pensione e mi sono potuto dedicare al fiume» racconta. «Ho iniziato a pulire lo strato superficiale: buste di plastica, lattine e pezzi di mattonelle. Poi il fondale». Aniello ha una cinquantina d’anni, abita in zona Acquarossa, poco distante dal centro cittadino. Proviene da una famiglia di contadini, ha sempre lavorato anche lui la terra. Ora i compaesani lo stimano e lo elogiano. Prima lo guardavano con sospetto, quasi volesse appropriarsi di una parte di bene comune, al quale però nessuno aveva fatto caso prima. Prendersi cura di questo spazio gli è costato soldi e sudore. Una volta doveva spostare un masso pesante, aveva chiesto in giro, ma erano tutti impegnati. Un musicista di strada si propose di dargli una mano, l’unico tra i tanti presenti quel giorno.
La città è parte del fiume e il fiume è parte della città. Eppure per molti appare come un faticoso ostacolo naturale. La sorgente di Rio Palazzo, per esempio, è chiusa al pubblico. Ne godono la vista solo gli abitanti delle case limitrofe. «Pian piano hanno murato tutta la zona. Mi hanno detto che, per fare bella figura, la signora che abita lì vicino prende l’acqua direttamente dalla fonte. È diventato il suo rubinetto personale. Non è che non lo possa fare, ma dovrebbero poterlo fare tutti», spiega.
Il Dio Sarno – come veniva chiamato in passato – raffigurato come un vecchio canuto appoggiato a un’anfora da cui versa l’acqua, simbolo della funzione dissetante del fiume, è stato domato dalla cementificazione e dalla prepotente edilizia degli anni Ottanta. Proseguendo lungo la strada il labirinto giallo degli istituti superiori, una palestra abbandonata piena di vetri rotti. Il paesaggio idillico di questo pezzo di fiume è interrotto da una grata alta e un muro basso di cemento. L’aria ha un odore medicinale. Chiedo agli altri se lo avvertono. Nessuno riesce a sentirlo. Forse per abitudine o per assuefazione. Continuiamo a camminare lungo il fiume. Si scendono delle scalette bianche. Un cartello: “Divieto scarico di rifiuti”. Qui il paesaggio è completamente diverso. L’odore è sempre più forte. O almeno lo è per me. La vegetazione del tratto del fiume ha un colore verde più intenso. Un uomo è seduto ai bordi con le braccia conserte. Si intravedono pezzi di vecchie barche. Il lontro veniva utilizzato per risalire il fiume. È una imbarcazione semplice, fatta di legno. La utilizzavano i pescatori a caccia di anguille e iammarielli.
Rio Palazzo è reso buio da un sottopassaggio. Odore di palude e disinfettante. L’acqua scorre veloce dalle bocche situate più in alto rispetto al letto fluviale. Per lo più è acqua sporca. Di un colore grigio e rosso. Sono gli scarichi di un’industria conserviera nelle vicinanze. Così è la maggior parte dell’acqua che scorre tra San Valentino Torio, Sarno e Poggiomarino. Solidi in sospensione e acqua putrida. Il Sarno abbraccia la provincia di Napoli per il ventinove percento, quella di Salerno per il cinquantaquattro percento e Avellino per il diciassette percento e, pur considerando un ambiente molto eterogeneo che va dalla costa alle zone montuose, le problematiche ambientali possono considerarsi comuni. Da analisi condotte durante l’inchiesta della commissione parlamentare europea sull’inquinamento del fiume nel 2004, si constata che uno dei motivi della crisi di questo ecosistema sia il grande incremento della popolazione e quindi l’edificazione urbana lungo tutto il corso d’acqua. Sono dati che prendono in considerazione il lasso di tempo tra il 1951 e il 2001. Reflui urbani, perdite delle reti fognarie, aree di discariche mai impermeabilizzate, uso di fertilizzanti e diserbanti, sversamenti abusivi, tra le altre cause della crisi. Così come gli scarichi degli stabilimenti conciari, cartari e della lavorazione della ceramica e del marmo.
Aleggia sempre nell’aria il forte olezzo fangoso, una scia invisibile e maleodorante. La ringhiera che costeggia il fiume riflette la sua ombra nell’acqua. Il vociare della folla che si accalca in strada. L’ora di punta. Ragazzini che giocano con il pallone in uno spiazzo vicino. Un albero inclinato verso il fiume. Ha i rami molto lunghi e ha evidentemente molti anni. Arnesi abbandonati e un tavolo da lavoro. Più si allarga il corso del fiume più la visuale si restringe. Una grata di ferro trattiene un palloncino rosa, un pacchetto di sigarette ammuffito e pezzi di legno. È difficile pensare che questa parte di fiume sia la prosecuzione del rivolo che scorre nel centro della città. «Da solo non posso occuparmi di tutto il corso d’acqua, se solo gli altri si rendessero conto che potrebbe essere una risorsa vera…», commenta Aniello. Poi prende i suoi stivali, la tuta impermeabile e riprende il lavoro. (marzia quitadamo)
Ottimo pezzo. Lucido ed amaro.
Vabbè, non sarà la soluzione a tutto, ma c’è gente oltre Aniello che si occupa del Sarno:
https://www.eppela.com/it/projects/6359-torniamo-alla-fonte
http://legambiente.campania.it/goletta-fiume-sarno/