Dall’8 al 10 aprile si svolgerà a Roma la prima edizione del Baba Jaga Fest, un festival dedicato ai disegni, alle storie e ai fumetti provenienti dall’Europa Orientale. Le Sabbie di Marte ha pubblicato questa settimana un testo che introduce il festival, scritto dal critico e curatore del Baba Jaga, Alessio Trabacchini e un’intervista, che qui rilanciamo, all’illustratore Aleksandar Zograf, che del festival sarà ospite.
Zograf presenterà il suo lavoro anche a Napoli, sabato 9 aprile (ore 18:00) alla libreria Tamu (via Santa Chiara, 10). L’autore discuterà in particolare de Il quaderno di Radoslav e altri racconti della II Guerra mondiale con Miguel Angel Valdivia ed Eva De Prosperis.
* * *
Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a studiare questo periodo della storia balcanica? E quali strategie creative hai adottato per trarne delle storie?
Quello che faccio sempre è, sostanzialmente, andare alla ricerca dei modi in cui le nostre esperienze (individuali o collettive) aprono a intuizioni più profonde. Potrebbe trattarsi di una storia normalissima, che parla del momento presente, o come nel caso de Il quaderno di Radoslav – di una raccolta di storie ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale. Il compito di una storia è farti chiedere: perché le cose sono andate così? Cosa hanno dovuto passare le persone che le hanno vissute e cosa arriverà al lettore?
L’umanità è riuscita a superare gli orrori prodotti dal diffondersi del fascismo. Non si è trattato solo di una battaglia tra bene e male, ma di uno sviluppo complesso in cui il bene e il male spesso producevano una serie di relazioni complicate e ogni individuo doveva decidere per sé. La fine della Seconda Guerra Mondiale, lungi dall’essere l’alba dell’armonia mondiale, ha coinciso tra le altre cose con l’inizio della Guerra Fredda. E le mie storie sono per lo più incentrate sul destino di persone normali sotto il radar della Storia ufficiale. Un esempio è il fumetto basato sulla lettera inviata al quartier generale nazista da un allievo di un ginnasio belgradese, il quale, rinfacciando agli occupanti la loro vanagloria, li informava che erano destinati a perdere la guerra! Questa lettera, trovata dopo la liberazione di Belgrado negli archivi della Gestapo – dove era stata debitamente timbrata e archiviata da qualche solerte impiegato – era anonima e probabilmente non scopriremo mai chi l’ha scritta. Il fatto che un ragazzino abbia avuto il coraggio di scrivere una lettera del genere ai tronfi ufficiali dell’esercito di occupazione, parla tuttavia del potere simbolico delle persone comuni.
Volevo raccontare le loro storie e il modo in cui hanno affrontato queste difficili prove. Sai, all’uomo qualunque a volte viene da chiedersi quale sia il suo posto nel mondo, e lo fa quasi sempre in tempo di crisi. Fa parte della nostra natura: gli esseri umani hanno fondamentalmente bisogno di affrontare una difficoltà per iniziare a ragionare sul proprio ruolo nell’universo. Non è niente di nuovo, l’Odissea parlava di questo migliaia di anni fa.
I tuoi fumetti storici hanno un’atmosfera particolare, come se il mondo fosse sempre popolato da fantasmi, o come se il presente e il passato, la veglia e il sonno fossero sovrapposti.
È vero, anche se il mio approccio alla Storia si basa su un’attenta ricerca documentale, mi trovo sempre sull’orlo di un sogno o di un’allucinazione e vedo la realtà come un misto di cose vive e morte, reali e immaginate. Le nostre esperienze quotidiane sono più vicine alla poesia di quanto ci ostiniamo a credere. Ti farò un esempio: la parte dei Balcani in cui vivo ha un clima continentale. Le estati possono essere molto calde e gli inverni freddi e con la neve (be’, ora sempre meno a causa del riscaldamento globale). Quando parlava dell’inverno, mio padre lo chiamava spesso Baba Jaga. Nonostante sapessi che era il nome di una figura mitologica dell’antico folklore slavo, e che mio padre si stava effettivamente riferendo alle condizioni meteorologiche, ciò non mi ha impedito di fruire (e godere) di una comprensione sia mitologica che oggettiva delle sue parole. Come se esistessero due occorrenze parallele.
Perché pensi che sia importante ricordare e raccontare il passato?
Il passato è una raccolta di esperienze ed è importante rendersi conto di ciò che hai passato (se parli di eventi più recenti) o che altri esseri umani hanno vissuto (se rifletti su un passato più lontano). Molto spesso, sia a livello individuale che collettivo, abbiamo difficoltà a capire cosa sia realmente accaduto nel passato. Ciò su cui ci concentriamo è e sarà sempre il momento presente, ma rimanendo consapevoli del passato, perché ci rende più saggi. Mi ha colpito il proverbio dei Maori della Nuova Zelanda (o Aotearoa, come la chiamano loro): “Cammino all’indietro nel futuro con gli occhi fissi sul passato”. Per capire il passato bisogna essere cauti, è un lavoro impegnativo, quasi cerimoniale. I fumetti possono essere un modo per riuscirci? Be’, io ci provo.
Molte delle vite che racconti sono vite di artisti, poeti o più in generale persone capaci di immaginare mondi diversi. Come senti e vivi il legame con queste figure?
Penso che gli artisti siano una sorta di sciamani; l’atto stesso di produrre arte è qualcosa che richiede una connessione tra questo e altri mondi. Ecco perché non mi sorprendono le frasi profetiche sulla propria morte di Radomir Prodanović, il poeta dimenticato, ucciso insieme alla moglie e al figlio nel bombardamento di Belgrado del 1944. La bomba caduta sul suo palazzo aveva bruciato anche i quaderni con tutte le poesie che aveva scritto. Prodanović non era mai stato pubblicato in vita e nel dopoguerra i suoi amici raccolsero e diedero alle stampe alcune sue poesie, che erano sopravvissute attraverso copie. (Solo di recente ho scoperto che il poeta d’avanguardia Radomir Prodanović era anche sacerdote della Chiesa ortodossa serba!). Ad ogni modo, mi ha colpito molto che, nonostante fosse stata esposta al totale annientamento, la sua letteratura avesse continuato in qualche modo a esistere… Così ho realizzato un fumetto basato su una sua poesia, poiché credevo che fosse un altro modo per ridare vita al suo lavoro.
Nel libro c’è anche una parte della tua storia famigliare, e questa volta hai scelto di non raccontarla a fumetti, ma con un testo accompagnato da foto, come se ti servisse un altro tipo di mediazione. Vuoi parlarci di questa scelta?
Sono giunto alla conclusione che il testo scritto riflettesse meglio il contesto degli eventi. Per spiegare cosa avevano fatto i miei nonni come membri della Resistenza clandestina, dovevo raccontare la situazione in quella parte della Serbia durante l’occupazione. La Serbia era stata punita a causa del rifiuto di aderire all’Asse, proprio mentre la Germania nazista aveva mostrato la sua superiorità prendendosi un paese europeo dopo l’altro. Era un Paese diviso in zone diverse, controllate da tedeschi, croati, italiani, ungheresi e bulgari. Avrebbe richiesto troppo spazio spiegare tutto a fumetti, e probabilmente avrei solo corso il rischio di creare confusione, quindi ho deciso di affidarmi alle parole.
Nei tuoi fumetti l’attenzione è spesso catturata dai misteriosi glifi e simboli che occhieggiano sulla pagina. Sono indecifrabili, eppure sembrano suggerire significati, un po’ come quelli che si trovano nelle tavole di Krazy Kat.
Ah ah, in realtà, non ho idea di cosa siano veramente. Ho iniziato a disegnarli di getto, molto probabilmente sotto l’influenza di Krazy Kat, che avevo letto molto negli anni Ottanta. Immagino che sia un modo per includere un elemento irrazionale nella storia, senza pensarci troppo, e sicuramente senza spiegazioni. (intervista di alessio trabacchini)
Leave a Reply