Prende il via questo pomeriggio a Napoli, e durerà fino a domenica, Li(b)bra, il festival delle Librerie Indipendenti in Relazione (qui il programma completo).
Tra gli eventi di sabato, alle ore 16:00 si svolgerà l’incontro: “Il lavoro nella filiera del libro. Editori e librerie a confronto”, con gli attivisti di Redacta.
Pubblichiamo a seguire una prima ricognizione in vista di una più ampia inchiesta sul lavoro nell’editoria a Napoli.
* * *
L’editor, quello che un tempo era definito semplicemente redattore di una casa editrice, svolge un lavoro appartato: con occhio attento cerca i testi migliori, li controlla e li prepara per la pubblicazione. Non troverete mai il suo nome sulla copertina di un libro, ma si tratta di lavoro essenziale. Su scala nazionale è svolto principalmente da liberi professionisti, o attraverso formule ibride fatte di un contratto part-time al quale si aggiungono progetti a partita Iva. A complicare il quadro c’è l’assenza di un tariffario concordato: ognuno propone le sue tariffe e spesso molte delle professioni editoriali si trasformano in una corsa a chi offre di meno. Si aggiunga poi l’assenza di organizzazioni sindacali, che lascia i lavoratori isolati e vulnerabili. «Se un cliente non ti paga, se ti ammali o aspetti un bambino è game over – racconta un editor napoletano che vuole restare anonimo –. A Napoli il rischio di non essere pagati è sempre dietro l’angolo, soprattutto perché i pagamenti sono spesso a nero. Io ho dovuto inseguire un editore fin sotto casa per farmi pagare».
Parliamo quindi di un lavoro frammentato e con scarse protezioni sociali. Per questo ha avuto una certa eco, qualche tempo fa, la protesta di lavoratori e lavoratrici del Saggiatore a Milano. Ma se questo è vero per il centro-nord, lo è ancora di più in Campania, dove non esistono case editrici in grado di competere sul mercato nazionale, ma una costellazione di piccole realtà intorno alle quali gravita una discreta mole di lavoro precario, spesso retribuito a nero o con acrobazie contabili. Questo causa una forte instabilità di gran parte delle figure professionali. «Ciò che mi fa riflettere – dice Antonio, editor per la napoletana Polidoro – è che i tre autori più letti in Italia sono Saviano, Ferrante e De Giovanni, tutti campani, ma nessuno di loro pubblica a Napoli». Antonio, sulla trentina, lavora da anni nel campo dell’editoria. «Il mio percorso – dice – è un po’ un’eccezione, perché è estremamente lineare». Antonio si inserisce in questo ambiente durante il periodo della laurea magistrale, quando un suo collega di corso diventa socio della casa editrice Polidoro. Grazie a lui inizia a collaborare a progetto, con pagamenti a ritenuta d’acconto. Dopo gli studi a Napoli segue un corso di formazione a Roma, da Giulio Perrone editore, grazie al quale ottiene un tirocinio che gli consente di tornare alla Polidoro, dove alla fine del periodo di stage viene assunto a tempo indeterminato. «Questa, a Napoli, non è una parabola comune», conclude.
La Polidoro ha una redazione di quattro-cinque persone, soci compresi. Ma molte altre imprese editoriali sono anche più piccole. «La maggior parte sono sprovviste, o quasi, di una redazione fissa; spesso ci si aiuta scambiandosi i ruoli», racconta Maurizio, che lavora con Marotta & Cafiero, casa editrice dell’area nord di Napoli, che ha una redazione fissa, ma data la mole di lavoro da svolgere collabora spesso con liberi professionisti. «Questo tipo di lavoro tende a essere esternalizzato – continua Maurizio –, costa meno dare il libro a una persona esterna e non pagarlo per tutto il mese. La nostra redazione è cresciuta negli ultimi anni. Le figure professionali sono sempre più separate. Quando sono entrato mi occupavo di editing, correzione di bozze, impaginazione e per un periodo anche di acquisizioni e distribuzione. Ora abbiamo assunto delle figure professionali apposite, perché stava diventando davvero troppo per me. Io sono capo editor, mi occupo della produzione del libro, ma anche dell’organizzazione delle fiere: non solo faccio le grafiche, i pannelli, ma anche gli stand. Mio padre è ingegnere e mi trovo addirittura a disegnare il nostro stand fin nei minimi dettagli. Per me non è un problema, in un’azienda piccola è normale aiutarsi. Ci confrontiamo continuamente. Capita anche di lavorare fuori orario, ma in casi di emergenza e poi sono tutte ore riconosciute». Maurizio, oltre al rapporto stabile con Marotta & Cafiero, continua a collezionare piccoli progetti con altri editori, fatturando a partita Iva. «Solo da quando ho un regolare contratto però posso accedere a molte cose, per esempio un contratto d’affitto in regola. È un altro tipo di serenità».
«A Napoli le case editrici sono tante – dice Carlo, che dopo quindici anni di lavoro sommerso ha ottenuto il primo contratto in casa editrice –, ma per la maggior parte sono fatte nel tinello di casa. Alcune sono gestite da coppie, o da fratelli che per risparmiare fanno tutto in casa, oppure appoggiandosi a collaborazioni dove il confine tra il professionale e il personale è labile». Carlo ha più di quarant’anni. Ha sempre lavorato a Napoli. È stato anche direttore di collana, ma sempre a nero o nel migliore dei casi con una ricevuta di pagamento. «I rapporti di lavoro – dice – sono più simili a quelli di un’associazione di volontariato. Ci si aspetta da te un’adesione al progetto che non è dovuta. E quindi: ricoprire una quantità di mansioni diverse, assicurare orari massacranti tra fiere e orari d’ufficio. E poi, quando è il momento di pagare, scappano tutti, o quasi».
«È un ambiente ristretto, devi conoscere le persone giuste», racconta Maria, trentenne pugliese. Dopo alcune esperienze in giro per l’Italia è arrivata a Napoli. Per anni ha collezionato lavori in nero, sia come editor che correttrice di bozze. Sono arrivati a offrirle venti euro per la revisione di un libro, ma preferisce non rivelare il nome dell’editore. «È un mondo piccolo, ed è facile farsi nemici». Adesso ha deciso di iscriversi a un master dell’Università Suor Orsola Benincasa, diretto dalla scrittrice Antonella Cilento, decana dei corsi di scrittura creativa. Il costo del corso è di circa seimila euro. «Per entrare in questo mondo servono amicizie? Allora voglio cominciare da lì. Ho deciso di professionalizzarmi, pagando un corso e sperando, grazie al tirocinio, di avere un’opportunità diversa».
Maria, che ora vive a Napoli, ha studiato filosofia a Torino. Negli anni dell’università, avendo amici che frequentavano la scuola di scrittura Holden, aveva cominciato rivedere i progetti di libro che dovevano portare agli esami. All’epoca non credeva che la sua passione potesse diventare un lavoro, ma si scoprì capace e in poco tempo si sparse la voce tra gli studenti della scuola di Baricco. Le richieste di editing divennero così tante che Maria decise di farsi pagare, a nero ovviamente. Un insegnante della Holden, scrittore affermato, la ingaggiò come collaboratrice “informale” e cominciò ad affidarle lavori. Maria per anni si è battuta perché quello di editor diventasse il suo lavoro principale, ma l’instabilità dei pagamenti e la discontinuità dei progetti hanno reso l’impresa impossibile. «A Napoli mi è successo di lavorare su un libro, ma di non vedere riconosciuto il mio lavoro. È stato bruttissimo, anche perché il libro ebbe successo e io non avevo nessun modo per farmi valere. Tu sei una giovane editor, lui uno scrittore affermato, come fai a non essere schiacciato?». Adesso Maria sta affrontando un grande sforzo economico per mantenersi e pagare il master. «Spero che attraverso il tirocinio mi si apra qualche prospettiva – dice –. Intanto, quando ci hanno parlato degli stage, la prima cosa che ci hanno detto è stata questa: “Se volete lavorare, è da Roma in su”». (eva de prosperis)
Leave a Reply