Il dibattito pubblico intorno all’obbligo vaccinale ha assunto negli ultimi anni – già con il cosiddetto decreto Lorenzin, di cui abbiamo parlato in passato – i tratti di quelle che la letteratura definisce echo chambers, ossia aree di discussione dove la tendenza è quella di scambiare solo idee e informazioni che confermano le proprie posizioni di partenza, senza incontrare l’altrui opinione contraria. Anche nel caso del Covid, la demonizzazione di qualsiasi dubbio sull’opportunità di imporre l’obbligo di vaccinazione per determinate categorie professionali, e più in generale sulle limitazioni ai diritti introdotti a corredo della “raccomandazione” per tutta la popolazione, hanno finito per polarizzare le posizioni, mortificando qualsiasi complessità di riflessione.
Sul piano istituzionale, la moral suasion della campagna ministeriale si è servita – e torna a servirsi, ogni qual volta lo ritenga necessario per giustificare interventi di limitazione delle libertà e dei diritti – dello spauracchio “diminuzione dei posti letto” nelle aree mediche e nelle terapie intensive degli ospedali: un argomento che è certamente utile considerare, ma che bisogna maneggiare con cura perché non riguarda, come si proverà a spiegare di seguito, le ragioni di salute pubblica invocate con l’introduzione dell’obbligo vaccinale. A farsi complice dell’indebita confusione ci si è messo all’inizio di quest’anno anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, sollevando una questione di legittimità dell’obbligo vaccinale alla Corte Costituzionale, basando però la propria obiezione sugli incerti vantaggi del vaccino per la salute del paziente piuttosto che sulle acclarate difficoltà nel raggiungimento della cosiddetta “immunità di gregge”, condizione che una copertura vaccinale a tappeto avrebbe provocato al fine di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo.
Per evitare di considerare tali questioni nell’ambito esclusivo dei provvedimenti “emergenziali-pandemici”, e di derubricare l’analisi di questa legislazione a un affare per giuristi, è utile approfondire l’analisi e mantenere vivo il dibattito sulle limitazioni che la legge comporta e che impattano sulle vite di tutti. A portare avanti ragionamenti di questo tipo ci sono stati studiosi come Alessandra Algostino, da sempre attenta ai temi della democrazia pluralista, conflittuale e sociale, che ha ben collocato il proliferare di queste limitazioni in un orizzonte che registra “l’egemonia della razionalità neoliberista, del principio di massimizzazione del profitto, dell’asservimento della politica all’economia”, da cui consegue la necessità di “decifrare, demistificare e dubitare”; o anche il giurista Carlo Iannello, che a partire dalla critica dell’ordinanza del Consiglio siciliano ha pubblicato un interessante volume sull’interpretatio abrogans dell’articolo 32 della Costituzione nell’imposizione dell’obbligo vaccinale per il Covid. In particolare, Iannello concentra l’attenzione sulle conseguenze che l’accoglimento delle motivazioni proposte dal Consiglio siciliano nel promuovere il giudizio di legittimità davanti alla Corte Costituzionale potrebbe comportare.
Proviamo ad allargare gli orizzonti. La salute, come intesa nell’articolo 32 della Costituzione, ha tre anime: quelle di libertà individuale, interesse della collettività e diritto sociale. Queste tre dimensioni fungono da argine nei confronti delle possibili derive del potere costituito, dal momento che la legge non può in nessun caso violare i limiti derivanti dal rispetto della persona umana. Iannello si sofferma sul significato del (contro)limite al potere, per provare a tracciare il reale confine esistente tra trattamento sanitario obbligatorio – che dovrebbe rispondere all’esigenza di tutelare chi non può provvedervi autonomamente – e le ragioni che trascendono la tutela dei vulnerabili.
La legge che introduce il trattamento sanitario obbligatorio in Italia valuta prioritariamente che debba esistere un beneficio per la salute della collettività affinché il diritto a curarsi del singolo diventi obbligo; allo stesso tempo, però, il beneficio deve riguardare anche la persona, perché se così non fosse il dovere di curarsi si tradurrebbe in un ingiustificato sacrificio delle libertà del singolo in nome della collettività. Qual è allora l’errore di fondo che fa l’ordinanza del massimo organo di giustizia amministrativa siciliano? Il Consiglio constata che il vaccino non garantisce l’immunità dal contagio, ma piuttosto protegge le persone dalle conseguenze gravi della malattia, elemento decisivo per la riduzione della pressione ospedaliera. In sostanza, sta considerando la soppressione della libertà di scelta del singolo (di cura o non cura) come uno strumento per la riduzione di una difficoltà endemica del sistema sanitario: un interesse di carattere generale, ma non certo legato alla tutela della “salute collettiva” in sé e per sé considerata, e per di più strettamente connesso a precise responsabilità politiche che hanno provocato lo smantellamento del sistema di sanità pubblica del paese negli ultimi trent’anni.
È qui che la confusione in cui sono caduti i giudici siciliani ci riguarda da vicino: nel caso in cui la Corte Costituzionale non dovesse correggere la motivazione che sostiene il provvedimento, infatti, nulla vieterebbe ai legislatori futuri di poter imporre un obbligo di cura per qualsiasi altro tipo di patologia, con il pretesto di dover ridurre la pressione sugli ospedali. In tal caso – Iannello lo spiega chiaramente – non sarebbe fantascientifico immaginare il proliferare di provvedimenti che introducano obblighi (magari affidati in convenzione a strutture private, per alleviare il sovraccarico di quelle pubbliche) paventando il rischio di cortocircuiti in determinati settori della sanità ospedaliera e territoriale.
Ora che l’emergenza sanitaria è diventata normalità, l’urgenza è invece quella di ricostruire correttamente i termini della solidarietà su cui si dovrebbe reggere l’obbligo vaccinale (e i conseguenti escamotage per aggirarlo come il Green Pass). Una solidarietà che dev’essere orizzontale e verticale insieme per potersi dire autenticamente sociale, tanto più considerando che i disinvestimenti sulla sanità pubblica degli ultimi anni hanno allargato la forbice delle diseguaglianze nell’accesso al diritto alla salute. Il rischio – come si evince dal volume – è quello di legittimare un sistema in cui le deficienze organizzative ed economiche nella gestione delle aziende sanitarie potranno essere assunte come base di nuovi e potenziali obblighi sanitari, trattamenti farmacologici o di altro tipo, per imporre il dovere di essere sani al solo fine di non pesare su un sistema pubblico moribondo. (michela tuozzo)
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