Venerdì 5 maggio 2023, alle ore 17:30, presso il Circolo Arci Alberone (via Sant’Agostino 199 – zona San Giusto) si terrà un seminario di studi dal titolo: “Il carcere in Italia: storia, mutamenti, diritti civili”.
Il seminario è organizzato dalla Biblioteca Franco Serantini in collaborazione con l’Associazione Amici della Biblioteca Franco Serantini, Napoli Monitor e la piattaforma Morire di pena – Per l’abolizione di ergastolo e 41 bis.
Interverranno:
Letizia Bertolucci (avvocata) – Introduzione
Michele Colucci (storico) – Un sistema immobile: il carcere tra ricostruzione e miracolo economico
Valeria Verdolini (sociologa) – Legislazioni d’emergenza e lotte dei detenuti: i regimi penitenziari dagli anni ’70 a oggi
Luigi Romano (avvocato) – Santa Maria Capua Vetere: la mattanza del 6 aprile 2020
Michele Passione (avvocato) – Il carcere oggi: casi aperti e prospettive
La storia e il presente della condizione carceraria in Italia saranno al centro dell’incontro: vogliamo così ricordare la morte di Franco Serantini, avvenuta nel carcere Don Bosco di Pisa il 7 maggio 1972. Sulla morte di Serantini pubblichiamo un articolo di Umberto Terracini, “Un assassinio firmato”, apparso su Rinascita del 19 maggio 1972.
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Questa volta, diciamolo, il nostro animo insorge inorridito e la coscienza invoca a gran voce severe e pronte reazioni non soltanto perché dinanzi a noi c’è un altro morto ammazzato dalla polizia che segna di sanguigno l’aspro cammino che il popolo italiano batte e ribatte per la difesa delle proprie libertà contro l’ignavia colpevole dei governanti e la criminalità di ritorno della ribalderia fascista, ma anche per il modo crudelissimo dell’ammazzamento e per la rivelazione ch’esso ci ha fatto del grado estremo di avvilimento a cui il regime ha portato, tra intrighi tenebrosi di complici omertà, il potere statuale nella Repubblica.
Perché a Pisa, a perpetrare l’orribile assassinio di Franco Serantini, lavoratore studente, e a tentare di mandarlo impunito, si sono indubbiamente dati voce a mano, non senza un qualche ammiccamento da Roma, tutte le componenti del suo poderoso apparato repressivo: polizia, magistratura e galera. I poliziotti hanno infatti massacrato a mazzate il giovane sventurato; i carcerieri, in complicità con i vari funzionari della prigione, lo hanno abbandonato senza cure nella sua straziante agonia; e infine un giudice ha creduto di gettare sull’atroce dramma la gelida coltre burocratica della sua verbalizzata indifferenza, fingendo di non accorgersi che interrogava un morente raccogliendone la deposizione solo più ad memoriam.
Oggi che, sotto il soffio tempestoso dell’accusa di massa, la coltre è stata strappata via discoprendo le inerti spoglie martoriate dell’ucciso affinché la giustizia avesse corso, le indagini per l’identificazione dei responsabili dall’uno all’altro capo della vicenda esecranda e nel diverso grado della loro colpevolezza, non offrono davvero difficoltà, poiché larga e autentica, salvo che la si alteri e occulti o distrugga come c’è da temere, è la documentazione probatoria a disposizione. Infatti, il regolamento carcerario, che è legge, prescrive che alla consegna di un arrestato alla prigione si compili un verbale nel quale siano riportate le generalità degli agenti di polizia che la eseguono. E quelli che scaricarono al tetro edificio di Don Bosco il corpo illividito e fratturato di Franco Serantini o lo avevano essi stessi così sconciamente ridotto o sanno per dovere di ufficio da chi l’ebbero in consegna là dove a mazzate era stato prostrato al suolo. Vuole poi il regolamento che gli agenti di custodia che ricevano l’arrestato immediatamente lo perquisiscano, il che comporta il denudamento, con l’annotazione sul registro matricola di tutti i segni rilevabili sulla sua persona. E gli agenti di custodia di Pisa non poterono non vedere e dovettero dunque annotare le lancinanti stigmate sul corpo di Serantini che ne attestavano il subìto martirio. Infine il regolamento carcerario dispone che, non oltre il giorno successivo all’entrata in carcere, l’arrestato sia sottoposto alla visita del sanitario il quale ne trascrive il risultato sul registro di infermeria. E al sanitario del carcere pisano, quand’anche Franco Serantini incredibilmente non ne avesse levato lamento angosciato, non poterono sfuggire i segni impressionanti che ne sfiguravano le membra.
Processo verbale di consegna, registro matricola, registro di infermeria – a non parlare dell’ignobile foglio sul quale il sostituto procuratore vergò la deposizione dell’agonizzante – tutto è lì per denunciare i nomi dei colpevoli (agenti di polizia e di custodia, medici e funzionari del carcere, magistrato inquirente) e i reati perpetrati, dall’omicidio al concorso in omicidio, al favoreggiamento, al tentativo di occultamento del cadavere, con l’aggravante, ove nel verbale e nei registri com’è presumibile si sia mentito e si sia taciuto il vero, di quel falso ideologico che d’altronde in materia di ordine pubblico è purtroppo consuetudine inveterata e impunita di molti degli appartenenti alle forze armate dello Stato.
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E tuttavia, nonostante la passione di giustizia o, voglio anzi dire apertamente, di vendetta giuridicamente sanzionata che mi brucia dentro dinanzi all’efferata uccisione di Franco Serantini, più che alla condanna dei suoi assassini, correi e favoreggiatori, penso che l’agghiacciante avvenimento della vigilia elettorale pisana debba spingere il paese a imporre la soluzione del non più prorogabile problema dell’introduzione in Italia di un più civile metodo di governo attraverso la riforma radicale dei corpi separati del potere politico, specie quelli della giustizia, della polizia e delle carceri. La sesta legislatura deve dunque affrontarlo senza ambiguità e remore, immergendo il ferro rovente nel fianco canceroso di queste strutture le quali, nutrite dalla dittatura con le sue linfe tossiche, stanno sempre maggiormente rodendo all’interno le istituzioni democratiche con un processo di metastasi del quale l’orribile misfatto di Pisa è un sintomo ammonitore. Si tratta di un discorso di lunga lena e di un impegno d’azione difficile e grandioso. Ma sottrarvicisi significherebbe assolvere gli uccisori di Franco Serantini ed insieme contribuire a che altre fosse si aprano nell’avvenire per altri che come lui, serenamente percorrendo il sentiero della vita, potranno trovare all’angolo la morte in agguato sotto forma di un manganello che è, lo sappiamo, un’arma impropria, ma tuttavia, come i fatti dimostrano, ottima per ammazzare.
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