da: Horatio Post
Devi venire tra queste colline serene, una miniatura rinascimentale di filari di viti, boschi e oliveti ai piedi del Taburno, dove sembra che mai nulla possa mutare, per capire davvero cosa significa vivere al tempo del cambiamento climatico globale. Cammino nel vigneto con Marco Giulioli, l’enologo che segue i mille viticoltori della Guardiense, sono gli uomini che coltivano e accudiscono tutta questa bellezza: sotto i tralci verdi i nuovi grappoli si vanno riempendo di succhi, lui li scruta con attenzione, nel percorso verso la qualità siamo a un momento cruciale.
«Il cambiamento climatico ci ha cambiato la vita», mi spiega Marco. «Dobbiamo lavorare in condizioni di rischio e incertezza sconosciute in passato: la frequenza degli eventi climatici estremi è aumentata. Prima da una calamità all’altra passava del tempo, ora non è più così. In questa stessa valle abbiamo avuto l’alluvione dell’ottobre 2015, poi nel 2016 la gelata forte di fine aprile. Nel 2017 ancora la gelata, seguita dalla grande siccità e dagli incendi nei boschi. Nel 2018 la grandinata di fine maggio che ha martoriato tralci e grappoli in formazione, nel 2019… incrociamo le dita» dice pensieroso, e continua a carezzare i tralci.
«Il problema – continua Marco – è che non sai più da quale nemico difenderti: grandine, gelo, siccità. Per i nostri viticoltori stiamo pensando a nuovi strumenti mutualistici per proteggerli dai rischi, perché altrimenti sul risultato economico di ogni annata incombe un’incertezza insostenibile per queste famiglie».
Oltre l’imprevedibilità di pioggia grandine e tempeste, c’è un altro aspetto, che è l’innalzamento delle temperature. Antonello Bonfante del Consiglio nazionale delle ricerche è uno degli scienziati che studia queste cose. Usa modelli sofisticati per capire come il clima sta cambiando, e come stanno reagendo i suoli, le piante, i paesaggi. «La falanghina del Sannio sino a oggi per maturare ha avuto bisogno di 1.800 gradi Winkler, che è l’indice della quantità cumulata di calore necessaria per portare l’uva a maturazione. I modelli climatici ci dicono che in Valle Telesina questo indice toccherà valori intorno a 3.000 nel giro di pochi decenni. Come reagiranno le piante noi non lo sappiamo. Di certo, ci sarà bisogno di irrigazioni di soccorso, non per produrre di più, ma per mantenere la qualità. È una pratica che in California è già d’obbligo, per l’Italia è una novità, e comunque bisognerà anche capire, in uno scenario di scarsità idrica, quest’acqua dove e come andremo a prenderla».
Giulioli annuisce. «È proprio così, la nostra falanghina è già cambiata. Rispetto a quindici anni fa la vendemmia è anticipata di due settimane, un’eternità. E i grappoli arrivano a raccolta con un grado zuccherino più alto, e un profilo acidico più basso. Più alcool e aromi, meno acidi, questo significa un gusto più moderno e vicino alle preferenze del consumatore».
Il cambiamento climatico è portatore quindi di rischi, ma anche di opportunità inattese. Resta il fatto che garantire la qualità delle uve e del vino, in questa roulette che è diventata il clima, è un obiettivo che richiede un’attenzione quotidiana. «La viticoltura di precisione è una necessità», mi dice ancora Giulioli. Mentre camminiamo ci raggiungono Alessio e Gianfilippo, sono due giovani tecnici della cooperativa. Monitorano il vigneto, tablet alla mano, contano e misurano i grappoli pianta per pianta, i dati sono memorizzati sulla cartografia satellitare che appare sul display. Se il clima è imprevedibile, l’unica è sopperire con la conoscenza e l’adattamento continuo. Lo sviluppo di ogni vite, nei millecinquecento ettari della cooperativa, è quindi seguito giorno per giorno – stato vegetativo, stress, avversità, grado di maturazione – in modo da poter intervenire con tempestività, con le cure agronomiche necessarie. L’idea è ora quella di dotare ognuno dei mille soci di questi strumenti.
«Una cosa nella quale l’Italia e l’Europa rischiano di restare indietro – prosegue ancora Giulioli – rispetto agli altri grandi produttori a scala mondiale, è la ricerca genetica. Per produrre grandi vini in questo clima che cambia abbiamo bisogno di viti più resistenti agli stress e alle malattie. Negli Stati Uniti sta nascendo, con un importante investimento pubblico, un grande centro federale di ricerca sulla genetica della vite, con il compito di produrre super-varietà resistenti alla siccità, all’oidio, alla peronospora. La tecnica impiegata è il “genome editing”, in pratica si trapianta, con una specie di taglia-incolla, il gene della resistenza da una varietà di vite all’altra, senza snaturare l’identità di ogni vitigno. Qui in Europa non è possibile, perché questi organismi sono considerati OGM, organismi geneticamente modificati, quando non è così, perché si opera in seno alla stessa specie, proprio come faceva Nazareno Strampelli col grano novant’anni fa».
«La genetica è importante, ma da sola non basta – è l’opinione di Bonfante – perché bisogna fare i conti con la variabilità dei terroir. Quindi, abbiamo certo bisogno di vitigni resistenti, ma anche di conoscere come queste varietà si comportano nei diversi tipi di suolo, intervenendo con una gestione del vigneto intelligente, diversa caso per caso».
È proprio quello che stanno facendo Marco Giulioli e i mille viticoltori della cooperativa. «La diversità dei paesaggi e dei terroir del Sannio – osserva Marco – sino a oggi ci ha salvati: nella valle ci sono una quarantina di tipi di suolo diversi, e ogni annata c’è sempre per fortuna una parte dei terroir che reagisce bene a quel particolare andamento climatico, ed è in grado di assicurare una produzione di qualità». Con l’innalzamento delle temperature però questa resilienza, questa capacità di adattamento potrebbe non bastare più.
Con Marco torniamo in cantina, la giornata è stata afosa, due dita di spumante fresco di falanghina aiutano a inquadrare meglio le cose. La prima è che il cambiamento climatico non è un accidente che verrà, ma ci siamo già dentro fino al collo. La gente del vino, con quelle antenne sensibili che sono i vigneti, sta già affrontando le conseguenze, e la parola d’ordine è “adattamento”. Vivere in tempo di global change richiede intelligenza, un’attenzione smisurata alle cose che succedono, la capacità di reagire tempestivamente, compiendo le azioni giuste. Il cambiamento climatico ci mette bruscamente di fronte ai limiti e alla sostenibilità dei nostri stili di vita, dei modi di consumare e produrre, alla nostra vulnerabilità.
Occorre una grande capacità di innovazione, se non ne sei capace sei fuori. Il popolo del vino, con testardaggine e umiltà, queste cose le sta già facendo, ne va della sua sopravvivenza, ed è una lezione anche per noi, povera gente di città, che di antenne per ascoltare la natura e i cicli che cambiano ne abbiamo assai meno, viaggiamo a fari spenti nei nostri gusci tecnologici, pronti solo a lagnarci delle conseguenze, quando il mondo vero alla fine si ribella. (antonio di gennaro)
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