Non sarà un caso che Arrevuoto, quest’anno, porta in scena Gogol e l’inferno burocratico in cui siamo intrappolati. Proviamo a mettere un po’ d’ordine. Arrevuoto nasce nel 2005 e apre per la prima volta i battenti dell’Auditorium di Scampia, spazio fino ad allora chiuso, sconosciuto e poco ambito. Porta sulla scena la Pace! di Aristofane, dopo la devastante guerra di camorra, da poco conclusasi. Vi partecipano oltre cento adolescenti da tutta Napoli, coinvolge registi, teatranti, scrittori, educatori, critici, famiglie del quartiere, italiani e rom, scuole. Centinaia di persone vanno a vedere lo spettacolo nell’auditorium, un teatro di periferia in cui pochissimi avevano messo piede prima di allora, in cui sembravano possibili solo lo spaccio di droga, l’isolamento e la morte.
Sembrava l’inizio di una stagione nuova, in cui una fortunata combinazione d’intenti, tra gruppi del territorio, intellettuali, professionisti e istituzioni, e un po’di soldi, avrebbero potuto rendere l’auditorium un teatro all’avanguardia, popolare, con una programmazione di qualità. Arrevuoto va avanti, cresce, gira l’Italia in teatri prestigiosi che mai nella loro storia si sarebbero sognati di accogliere, non senza qualche disastro, l’orda energetica e vitale dei giovani napoletani e rom in tournee. L’auditorium nel frattempo inizia il suo percorso a ostacoli: una ristrutturazione lentissima con una agibilitàche viene concessa solo molti anni dopo; nel frattempo permessi straordinari e temporanei, e quindi file, richieste, contrattazioni, elemosine; si va avanti nelle attività con un’ostinazione che rasenta l’ossessione, per mantenere in vita quello spazio; si susseguono i laboratori di Arrevuoto, quelli del Carnevale, le attività e gli spettacoli di Punta Corsara dal 2008 al 2009, a cui si sommano tanti altri che iniziano a utilizzarlo nei modi più vari. Tutto questo contribuisce a farlo sembrare un teatro vero. Ma i trucchi sono moltissimi e lo spazio, che passa sotto la gestione dell’ottava municipalità, perde pian piano un’identità culturale, accogliendo qualsiasi tipo di “evento”, dal comizio politico al raduno evangelico. Il comune di Napoli, forse per non confliggere con la municipalità e sicuramente per mancanza di fondi, se ne disinteressa e non interferisce con la inconsistente programmazione. Nessuno, insomma, è in grado e vuole fare un vero investimento.
L’auditorium inizia così a diventare uno spazio anonimo e si presta a qualunque utilizzo senza alcun criterio: ci si prenota con una crocetta fatta a matita su un calendario dai funzionari della municipalità. La crocetta per i laboratori di Arrevuoto, ogni lunedì ormai da undici anni, viene spesso cancellata (la matita dunque è strategica e non casuale) nel caso ci sia qualche altra “manifestazione” che richiede la disponibilità nello stesso giorno. In realtà, per la maggior parte del tempo, l’auditorium è vuoto: uno spazio incompiuto di recente costruzione, bisognoso di costante manutenzione, che si preferisce tenere chiuso, che mal sopporta il tumulto e l’impertinenza di bambini e ragazzi, con le loro incursioni, urla, parole incomprensibili rivolte dal basso verso l’alto. Quando esagerano, il giorno successivo arriva una telefonata dalla municipalità per annunciare solennemente che l’auditorium è impegnato, salvo scoprire che l’accesso ci viene negato per punizione, così impariamo a far comportare meglio i ragazzi. I custodi si sono tanto lamentati e le accuse assumono a quel punto dimensioni eccessive. Le anticamere e le contrattazioni per avere lo spazio iniziano a diventare interminabili e la crocetta salta un po’ troppe volte negli ultimi due anni. A giugno 2015, la replica prevista del nostro Frankenstein, che ha avuto un grande successo al teatro San Ferdinando e con cui avremmo celebrato i dieci anni di Arrevuoto e di auditorium, viene fatta saltare all’ultimo minuto in seguito a una comunicazione della municipalità. Il motivo, non ce lo ricordiamo più…
A novembre 2015 riprendono i laboratori. Ci troviamo di fronte a una novità: il regolamento comunale per gli spazi, prevede un pagamento per il loro utilizzo. L’auditorium rientra nel regolamento. Ma Arrevuoto rientra in una delibera del 2012 con cui la giunta comunale ha approvato il “Patto per Scampia”. In premessa si legge “L’amministrazione, nel quadro dei suoi obiettivi di ordine politico-istituzionale, ha inteso assegnare al suo patrimonio immobiliare un ruolo particolarmente strategico, anche e soprattutto per gli aspetti di carattere sociale. […] In tale ottica la c.d. valorizzazione e piena utilizzazione del patrimonio immobiliare di proprietà pubblica impongono all’amministrazione l’onere l’istituzionale di intraprendere ogni utile, positiva e propositiva iniziativa volta ad assicurare la riqualificazione del tessuto urbano e lo sviluppo economico e sociale della collettività locale. […] A tale scopo è opportuno aprirsi alla città, ai cittadini e alle associazioni che senza scopo di lucro li rappresentano”. Questa delibera, per l’auditorium, non trova applicazione e rimane in un cassetto, fin quando non viene impugnata oggi di fronte a un interlocutore, la municipalità, che non ha orecchie abbastanza grandi e occhi troppo lungimiranti.
Nel frattempo prosegue la sfiancante questua per avere lo spazio, tuttora in corso. L’assessore non si prende la responsabilità di fronte alla Corte dei conti di un così cospicuo mancato pagamento… quindi lo spazio non si può avere. In seguito viene chiuso a tutte le attività: prima manca la tassa di omologazione che la municipalità non può pagare (deve farlo il comune); poi viene riaperto per un concerto interconfessionale (?) con tanto di service; questo lunedì ci viene detto che dobbiamo passare per l’ennesima giunta municipale per avere l’autorizzazione, dopo che l’assessorato alla cultura aveva interceduto per noi. I tempi per convocare la giunta? Chi può dirlo. Oggi, improvvisamente, risulta che manca di nuovo l’agibilità: attività sospese, finché non si provvederà a risolvere con l’apporto di un tecnico.
Giorno dopo giorno, osserviamo l’auditorium di Scampia vuoto, buio, inutilizzato, una struttura pubblica sprecata e negata a chi ne farebbe un utilizzo coerente con la destinazione d’uso di uno spazio che dovrebbe essere culturale e teatrale. Siamo arrivati al paradosso per cui i laboratori di Arrevuoto si fanno in uno spazio gastronomico, Chikù, giusto sopra l’auditorium, in una sala da pranzo o se il tempo lo permette fuori sulle terrazze. Non vorremmo sembrare troppo schizzinosi ribadendo l’assoluta inadeguatezza del luogo nel contenere l’energia di almeno quaranta giovani e meno giovani in movimento. Ma mentre facciamo le prove arrampicati su tavoli e sedie, osserviamo dalla vetrata con tristezza il desolato foyer in basso.
Abbiamo provato in questi anni tutte le strade che la burocrazia ci ha indicato. Abbiamo seguito tutte le procedure che dovevamo seguire, compilato i moduli, assistito a interminabili giunte municipali, ascoltato pazientemente le ramanzine di tutti contro la furia di alcuni piccoli partecipanti di Arrevuoto, fatto numerose anticamere per avviare le procedure, tutto per avere ciò che altrove sarebbe un fatto scontato: un teatro per fare teatro. Vorremmo solo entrare nell’auditorium, prima che diventi uno sfumato ricordo il momento in cui avevamo l’occasione di proseguire quella piccola rivoluzione culturale, ed essere fagocitati dal buio di altrettanto piccoli giochi di potere di periferia. (emma ferulano)
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