Da qualche tempo in città si scommette sul crollo degli edifici. Gli allibratori studiano facciate e fondamenta, la storia delle imprese che hanno costruito e ristrutturato, poi stabiliscono le quote.
Una volta aperte le scommesse l’accesso agli edifici viene limitato ai soli residenti. Intorno ai palazzi vengono posizionate barriere, vedette si alternano agli angoli delle strade, i bar più vicini vengono tenuti aperti notte e giorno per raccogliere le puntate.
Recentemente la caduta di un cornicione ha fatto nascere interesse nel civico 16, il palazzo dove abita zia, proprio dall’altro lato della strada. Mamma mi manda a farle visita. Ufficialmente devo chiederle di venire a stare da noi, ma in realtà vuole che indaghi su scricchiolii e crepe nei pilastri.
Avevo un cugino. Conosco bene il palazzo di zia perché il pomeriggio andavo lì a giocare con lui. Correvamo su e giù per le scale, ci nascondevamo negli appartamenti incompleti dell’ultimo piano oppure giù nelle cantine. Guardie e ladri, nascondino, prime sigarette; anche un’imbarazzante sega in compagnia.
Ad ucciderlo, poco meno di un anno fa, è stata una muffa o qualcosa portato dai piccioni. Zia non apre, da dietro la porta mi dice di andarmene e non tornare.
È ufficiale, le scommesse sono aperte. Verso sera arriva un camion, ragazzi in tuta scaricano le transenne e circondano l’edificio, ingegneri a volto coperto fanno gli ultimi sopralluoghi, un uomo parla in un megafono e annuncia che è ora possibile puntare sul crollo del civico 16. Intorno non ci sono bar né botteghe, per raccogliere le bollette viene montato un gazebo e la corrente viene presa da un lampione. Grossi fari vengono puntati sulla facciata e gli abitanti si chiudono dentro.
Piano piano, dagli altri palazzi, la gente scende per strada. Qualcuno resta fermo davanti al proprio portone, qualcuno si avvicina timidamente al gazebo per leggere le quote.
I primi scommettitori vengono accolti da fischi, ma man mano che la coda si allunga, i fischi diventano un borbottio allegro, festoso e presto tavoli e sedie vengono portati fuori. Si cena all’aperto, si scherza e si tiene d’occhio l’edificio, sperando di cogliere per primi la caduta di un pezzo di intonaco o di una tegola.
Una mattina di inizio aprile il quartiere si risveglia con un botto. Ci affacciamo al balcone e veniamo investiti da una nuvola di polvere. Sono passati nove mesi dall’apertura delle scommesse e gli abitanti del quartiere, compresi mamma e papà, hanno già puntato e perso molto.
Quando la polvere si deposita ci accorgiamo che il crollo è stato solo parziale. Parte della facciata si è staccata cadendo sui box auto. Le scommesse sono ancora aperte. Gli allibratori accettano tre tipi di puntate: puoi scegliere un intervallo di tempo entro cui l’edificio cadrà, una data precisa o scommettere sul numero di vittime.
Zia è rimasta l’ultima abitante del 16 e non sembra intenzionata ad andar via. Mamma e papà discutono animatamente di come fare a rimettersi in pari.
Una sera, dopo cena, papà prende su uno zaino e mi porta a fare un giro. Camminiamo intorno all’isolato. L’ultimo crollo ha schiacciato i box auto e bloccato l’ingresso del cortile di zia, così, adesso, nessuno sorveglia più quel lato dell’edificio.
Ci intrufoliamo, arranchiamo tra le macerie e raggiungiamo una finestrella che dà sulle cantine. Con il piede papà ripulisce il telaio della finestra dagli ultimi pezzi di vetro, tira fuori dallo zaino una corda, lega un estremo all’armatura di un pilastro e mi cala nella cantina.
Non si vede nulla, ma con le mani posso sentire il soffitto insolitamente basso e storto. Acqua e sabbia scorrono sulle pareti. Da su papà mi passa una torcia elettrica, poi, con cautela, lo zaino che contiene la bomba. (davide catania)
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