La vigilia del Primo Maggio è un buon momento per fare bilanci. A fronte di una crisi della rappresentanza ormai trentennale, viene da chiedersi in che misura le organizzazioni sindacali integrate alle istituzioni politiche di questo paese siano corresponsabili del deterioramento delle relazioni d’impiego, degli incidenti sul lavoro, della violenza sistematica, dell’illegalità diffusa, della violazione delle norme contrattuali, della spirale degli appalti e subappalti, della precarizzazione delle condizioni di lavoro.
Dopo gli anni di pace sociale e concertazione, in cui lavoratori e lavoratrici sono stati lasciati in balia del proprio destino di fronte ai soprusi dei datori e alla legge del mercato, ci interessa riflettere sul perché oggi, nel nostro paese, a esprimersi in modo incisivo sulla dignità dei livelli salariali siano prima i giudici dei sindacati; sul perché una sentenza della Cassazione dell’ottobre 2023, e non un percorso di lotta, debba stabilire il diritto a una retribuzione proporzionata, che assicuri ai lavoratori una ricompensa commisurata alla quantità e qualità dell’attività prestata, non inferiore agli standard necessari per assicurare al lavoratore un’esistenza libera e degna.
Siamo alla vigilia del Primo Maggio e i dati ci dicono che in Italia muore un lavoratore ogni sei ore. Al sud muoiono sei lavoratori ogni centomila occupati. La sera del 23 marzo scorso, nel porto di Napoli un marittimo quarantacinquenne originario di Trapani è stato schiacciato da un semirimorchio mentre lavorava sulla nave Antares di Grandi Navi Veloci in partenza per Palermo. Morto sul colpo. I suoi colleghi non si sono neanche fermati, perseguitati come sono dalle pressioni degli armatori. Bisogna fare in fretta, incrementare il ritmo. In banchina, nei magazzini, nei furgoni, sui cantieri. Qualche mese prima nel porto di Salerno è morto un altro lavoratore in circostanze simili.
È sufficiente l’operato delle organizzazioni sindacali a fronte di questa ecatombe? Sono sufficienti le dichiarazioni indignate dei leader sindacali riprese dai principali quotidiani all’indomani di ogni strage sul lavoro? Sono sufficienti due ore di sciopero dopo l’ennesimo morto di lavoro?
Non sono sufficienti. Non bastano più i discorsi autoassolutori e i flash mob, come quelli organizzati di recente dalla Uil, che ha posizionato in piazza Plebiscito a Napoli – dopo aver fatto la stessa cosa a Roma – cinquecento bare di cartone a simboleggiare la strage dei lavoratori. Non bastano le affermazioni di Landini a Brescia, nel giorno dello sciopero generale Cgil e Uil, quando ha detto che tutto il paese deve prendere atto di quello che sta succedendo.
In una situazione di mortificazione e svalutazione del lavoro, alla vigilia del Primo Maggio e dello sciopero nazionale della logistica il 30 aprile, indetto dai sindacati di base per il rinnovo del contratto nazionale Logistica, Trasporto Merce e Spedizioni, vale la pena allora menzionare chi ha avuto la forza di uscire dall’invisibilità superando frammentazioni, paura e isolamento. Sulla posta in gioco delle lotte per il lavoro abbiamo già detto, e occorrerà ritornare sulla vertenza dei driver di Ups ad Arzano. Qui vogliamo parlare dei giovani corrieri della Gls, le nuove tute blu – perché è questo il colore delle divise che indossano – impiegate nella distribuzione della merce tra Napoli e provincia, che da marzo hanno avviato un importante ciclo di lotte. Questi lavoratori sono stati capaci di organizzarsi autonomamente, riempiendo un vuoto strutturale lasciato dalle strategie concertative dei sindacati confederali, in un settore, come quello della logistica e trasporti, che in Italia è stato teatro di forti tensioni e mobilitazioni portate avanti dal sindacalismo di base. Un settore che nel 2023 rappresentava l’8,2% del Pil italiano, e che gode di ottima salute proprio grazie alla possibilità di sfruttare brutalmente il lavoro di uomini e donne quotidianamente impiegate nella catena logistica del trasporto merci.
Andiamo con ordine. La mattina del 12 marzo al magazzino Gls di Poggioreale l’ingresso è bloccato. “Stop Sfruttamento”, si legge su uno striscione. Circa settanta corrieri provenienti anche dalle altre sedi di Mariglianella, Nola e Frattamaggiore, scioperano. Decidono di rivendicare ciò che spetta loro di diritto. Ci sono volute riunioni su riunioni semi-clandestine per costruire la mobilitazione nei dettagli, ma soprattutto c’è voluta tutta la determinazione dei corrieri, che hanno preso una decisione irreversibile dopo anni di vessazioni.
La loro adesione al sindacato di base Sol Cobas ha fatto emergere storie di iper-sfruttamento: lavoro nero con buste paga fittizie, assenza di ferie, malattia, tredicesima e quattordicesima, mancato rispetto dei requisiti minimi di sicurezza, assenza di registri per le presenze, straordinari non pagati, quantità di consegne al giorno al di là di ogni limite stabilito, violazione sistematica delle norme contrattuali. Alla luce di questa situazione i corrieri hanno avanzato una prima rivendicazione: il rispetto delle regole, l’applicazione del contratto collettivo nazionale del trasporto merci, spedizioni e logistica, peraltro scaduto.
Quel giorno del 12 marzo, durante il picchetto davanti ai cancelli del magazzino Gls di Poggioreale, una mediazione è stata cercata da Francesco Tavassi, ex vicepresidente dell’Unione Industriali di Napoli e titolare della Temi Spa, che gestisce in franchising il marchio Gls per Napoli e provincia, e che per il servizio di consegna si avvale di trentadue “padroncini”, proprietari dei furgoni usati per le consegne, che impiegano circa quattrocento corrieri su quattro magazzini.
Di fronte alla rabbia organizzata dei lavoratori, Tavassi è stato costretto a trattare. La sua società, detentrice delle attività di distribuzione merci nella provincia di Napoli per conto della Gls, quella mattina ha assunto il ruolo di garante della piena applicazione del contratto collettivo nazionale. Una prima vittoria è stata raggiunta: quella del riconoscimento. Gli iscritti al sindacato di base sono aumentati e da un giorno all’altro è cambiato tutto. I loro datori di lavoro hanno cominciato a trattarli con maggiore rispetto misto a timore pronto a esplodere in frustrazione. Il giorno dopo un altro sciopero ha bloccato non più solo il magazzino di Poggioreale, ma le quattro sedi provinciali del gruppo. Per qualche settimana, a Napoli e provincia, la distribuzione delle merci dell’ultimo miglio ha subito ritardi e interruzioni.
Nei giorni seguenti i corrieri hanno deciso di sospendere le azioni di sciopero allo scopo di consentire all’azienda di attuare un piano di superamento del regime di illegalità diffusa, ma lo stato di agitazione non è finito, perché il ripristino delle regole in una situazione strutturalmente fuori controllo produce una serie di reazioni a catena. Alla controparte datoriale è stata fornita una data di scadenza per poter risolvere la vertenza. I rapporti di forza si sono ribaltati.
Il processo di sindacalizzazione di questa forza lavoro ha sancito un punto di non ritorno, provocando pressioni individuali in chiave antisindacale e minacce fisiche ai corrieri che iniziavano a prendere coscienza dei propri diritti, interiorizzando princìpi trascurati fino al giorno prima: il problema di uno è un problema di tutti; la riappropriazione dei diritti deve passare per un percorso di lotta.
I corrieri hanno organizzato cinque scioperi in un mese. Il 10 aprile a centinaia sono andati in corteo fino al palazzo della prefettura a Napoli, denunciando in maniera ancora più esplicita un sistema di appalti e subappalti in violazione del contratto collettivo nazionale. Hanno ottenuto un primo incontro in prefettura e la convocazione di un tavolo di trattativa. L’obiettivo è trovare l’intesa e la firma di un accordo che preveda il passaggio di tutti i lavoratori a trentanove ore settimanali con un contratto a tempo indeterminato, il pagamento di ferie, permessi, malattia, il riconoscimento dell’indennità di trasferta, scatti di anzianità, ore di straordinario. Ci sono state assemblee nazionali che hanno visto la partecipazione di molti lavoratori della filiera Gls, in cui sono state elaborate le priorità di una piattaforma sindacale condivisa: sicurezza sul lavoro, giusti trattamenti retributivi e contributivi, applicazione di accordi di secondo livello uguali in tutte le sedi italiane, risoluzione delle pendenze esistenti nei confronti dei lavoratori, premio di risultato. In sintesi: stesso lavoro, stesso salario, stessi diritti da nord a sud. La battaglia dei corrieri napoletani ha avuto un riflesso nazionale.
L’11 aprile è stato il giorno di un altro sciopero e del blocco dei magazzini, che ormai debordavano di merce non consegnata. Sostenuti dagli operai della manutenzione stradale, i corrieri Gls sono andati alla Regione per denunciare il ritardo nei pagamenti degli stipendi, e poi alla prefettura per l’incontro con il prefetto e la società di Tavassi. Il 19 aprile hanno deciso di fermarsi in tutti i magazzini di Napoli e provincia, e per l’ennesima volta hanno dovuto subire minacce di violenza e rappresaglia da parte dei padroncini, come mostrano i video nelle chat dei lavoratori di tutta la filiera nazionale Gls. Il magazzino di Nola è stato occupato, alcuni corrieri sono stati minacciati fin sotto casa, al punto da far esporre la stessa società di Tavassi, che in una comunicazione del 22 aprile ha condannato qualsiasi azione intimidatoria da parte delle aziende fornitrici. Il sindacato ha denunciato con una lettera alla controparte una situazione non più tollerabile di intimidazioni e diffamazioni, il mancato rispetto del contratto collettivo, la mancanza di qualsivoglia tutela di salute e sicurezza sul lavoro. La data di scadenza della vertenza è stata estesa entro e non oltre la prima settimana di maggio.
Sulla scia di queste mobilitazioni, alle tute blu dei corrieri si sono associate le tute arancioni. In Italia il processo di sindacalizzazione nella logistica è spesso partito dai facchini per arrivare ai corrieri. A Napoli è successo l’opposto. Nella breccia aperta dai corrieri si sono infilati i facchini dei magazzini Gls, impiegati tramite il consorzio Genesy e distribuiti per la maggior parte tra la cooperativa NextLog e la Unics Srl, oltre ad alcune agenzie di lavoro interinale. Tra di loro ci sono anche donne con carichi di cura, impiegate soprattutto dalle agenzie interinali per lo smistamento dei pacchi in magazzino.
I facchini sono venuti allo scoperto con uno sciopero autorganizzato il 22 aprile, dopo aver visto da vicino la determinazione dei corrieri, denunciando logiche di sfruttamento simili se non peggiori. Dalle prime testimonianze emerge una situazione di totale precarietà lavorativa e contrattuale, di lavoro on demand, di mancata applicazione degli scatti di anzianità, di mancato riconoscimento delle giornate di malattia, ferie, permessi. Il ricorso indiscriminato dello straordinario è alla base di una pessima organizzazione del lavoro e della mobilità senza preavviso, che obbliga i facchini e le facchine a turni spezzati, a una flessibilità estrema, a ritmi infernali e allo spostamento continuo tra vari magazzini in giro per la provincia di Napoli in base ai picchi di lavoro, senza alcuna considerazione per le norme di legge che stabiliscono la disciplina in materia di salute e sicurezza.
La mattina del 27 aprile corrieri e facchini sono andati in presidio alla sede Rai di Napoli per denunciare il tentativo delle controparti datoriali di sottrarsi alle rivendicazioni sindacali millantando pregiudiziali ideologiche. E proprio nel corso del presidio è arrivata la convocazione di un nuovo incontro del tavolo in prefettura per la mattina del 3 maggio, dove il sindacato porterà rivendicazioni da tradurre in accordi di secondo livello per facchini e corrieri.
Alla vigilia del Primo Maggio lavoratori e lavoratrici lungo la filiera logistica del trasporto merci decidono di sindacalizzarsi e intraprendere lo stesso percorso di lotta. Imparano a costruire uno sciopero, a riconoscersi e ad affrontare uniti la paura delle ritorsioni. Sfileranno insieme al corteo. La loro mobilitazione ha innescato un processo di ricomposizione e sindacalizzazione di una forza lavoro giovane, combattiva e determinata, a partire da un principio semplice ma non scontato in questi tempi difficili: quello di sopravvalutare ciò che unisce e non ciò che divide, in nome del rispetto dei diritti di chi lavora. (andrea bottalico)
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