I potenti spesso fanno valere il proprio potere intercedendo per i più deboli, raddrizzando qualche stortura per mostrarsi magnanimi. Questo gesto naturalmente ribadisce la loro supremazia, senza modificare i rapporti di forza. Un altro modo per ribadire la supremazia, più comune, è invece quello di accanirsi ancora di più contro i deboli; assicurarsi che la violenza e la sofferenza a loro inflitta tocchino il grado massimo, per tranquillizzare chi li finanzia, e spaventare i sottoposti.
A maggio del 2021 Mario Draghi, uno degli uomini più potenti d’Europa, ha scritto al Tribunale di Roma attraverso l’Avvocatura dello stato, per assicurarsi che una signora di ottantasette anni venisse davvero sfrattata da un appartamento di estrema periferia, perché da questa casa sovvenzionata dallo stato possa continuare a estrarre profitti una grande agenzia immobiliare – che a sua volta ha acquistato l’intero palazzo dalla SAI Assicurazioni, del gruppo Ligresti. A questo scopo, la presidenza del consiglio dei ministri ha dovuto scrivere nero su bianco al tribunale di ignorare la richiesta dell’Alto commissariato per i diritti umani di sospendere lo sfratto della signora, sostenendo che i trattati internazionali ratificati dall’Italia sarebbero raccomandazioni senza nessun valore di legge.
Riportiamo la storia della signora Rossana Letizi, nata nel 1935, che il 26 gennaio 2023 affronterà un altro tentativo di sfratto, raccontata da lei e da sua figlia Elisabetta Delfini.
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Rossana Letizi: Sono trentatré anni che abito qui, ho sempre pagato; adesso sto in difficoltà. Il fatto è che m’è successo di tutto. M’è successo il Covid, m’è successo de tutto, che non ho potuto anda’ più a lavora’; c’hanno ragione che io non pago; non voglio essere un’abusiva, come penseno loro; però che me diano una sistemazione, perché ho ottantasette anni. La società c’ha ragione, perché se non paghi te ne vai. Però io, non è che… Io ho lavorato, ho fatto anche la stiratrice nel palazzo del… coso, come se chiama, quel presidente della Repubblica, Andreotti. Poi de un giornalista francese. Però la vita m’è andata storta. Io pe’i figli ho fatto di tutto, né ho rubato, né ho… non ho fatto la ladra, né ho ucciso, perciò ho fatto de tutto. Quindi, dateve ‘na regolata!
Questa era una casa popolare?
Rossana Letizi: Io sono entrata col permesso delle case popolari. E mi hanno dato questa, questa era vergine. Nel 1990, forse ’91, insomma, primi dei Novanta. Le avevano appena costruite. Io dal primo contratto che mi fece la SAI – qui c’era la SAI – hanno aumentato i pagamenti.
Elisabetta Delfini: Siccome il comune gli aveva dato il terreno per costruire, gli ha detto: tu costruisci sul terreno, però mi dai dieci appartamenti, a queste persone, mi ci metti queste persone. Era un “piano di zona”, gestito dalla SAI. Poi dopo la SAI non è mai stata regolare, perché, insomma, gli affitti non erano calmierati, ma erano a prezzo di mercato! Alla fine ha anche venduto a quest’altra società, Immobiliare Castel Giubileo. E quando si è andati per rinnovare il contratto, c’era l’aumento.
Rossana Letizi: Non ci hanno mandato mai una lettera. Dalle quattrocento euro che pagava mi pare che è andata a finire a 650 euro.
Lei da dove veniva?
Rossana Letizi: Io so’ romana, so’ de Roma e so’ romanista, non lo so se tu non sei romanista. Io sono nata al Gianicolo. Battezzata e cresimata a San Pietro. Quando ero un po’ grandicella, avevo dieci anni, mi sono trasferita a Porta Pia, perché mia madre c’aveva il banco al mercato di piazza dei Sardi. Poi da via Nomentana, in viale della Regina, perché mio padre faceva il fornaio da Gentilini, a via Novara, non so se sei pratico, che poi è diventata ‘na pasticceria. C’era la birra Peroni, quella era la mia zona. Ci avevano dato una casa grande; angolo viale Regina con due famiglie; mia madre, e una che faceva le legature dei libri. Con la guerra stavo già a via Nomentana, di fronte poi c’era villa Torlonia, do’ abitava Mussolini. Quando usciva il duce, se dovevamo mette tutti sulla via Nomentana dritti così, a batteje le mano. E mia madre, che era contraria a Mussolini, non lo fece; e mio padre era prigioniero in Russia; je levarono il sussidio, perché non era andato a festeggiare il passaggio del duce. Vagamente me lo ricordo il duce, perché con un cavallo bianco passava. Però c’erano tutte le camicie nere intorno, che non facevano passare la gente. Poi so’ cresciuta, mi so’ sposata a diciott’anni, e dopo semo andati al Tufello a abitare, sempre in case popolari. Però al Tufello ci ho abitato due anni, quando mi sono sposata.
Che lavoro faceva?
Rossana Letizi: Io m’arrangicchiavo pe’ mantene’ ‘na famiglia. M’arrangicchiavo dappertutto, facevo di tutto pe’ mantene’ i figli, perché mio marito… anzi, mantenevo lui anche! Poi nell’88 è morto. E poi nel 2014 è morto mi’ figlio, e… la malattia, la vecchiaia, che non ho potuto affrontare… So stati un insieme de tante cose, che non ce so… e non c’ho avuto aiuto da nessuno. Nessuno. Perché chiedendo tanto aiuto me dicevano che c’avevo una pensione buona, de seicentocinquanta euro. Adesso come faccio? Io voglio, anche se m’affitto due camere, perché casa è grande, non è piccola, perché io la tengo la curo, tutto quanto. Ma qui c’ho tutti i ricordi dei miei figli.
Elisabetta Delfini: Poi ci siamo messi coi libri; da allora noi vendiamo libri, lei c’aveva il banco a piazza Aldo Moro. Sono quattordici anni che è morto mio fratello, però noi abbiamo continuato, lei ha continuato a andare al banco che era di mio fratello. Ancora ce l’ha, però mo’ è chiuso, perché, non ci va più.
E questa casa quando l’ha avuta?
Rossana Letizi: Vendendo i libri a largo Tognoli, dietro al Pantheon, ho conosciuto Spadolini. Era amante molto dei libri, veniva, così, era affezionato a me, io poi sono una persona che collego sempre, perché sono una chiacchierona. Me voleva un grande bene, e mi raccomandai a lui. E lui, sapendo la mia situazione come stavo, mi fece prendere questa casa. Invece di andare nelle borgate. Perché pensando che ero una persona che ce potevo sta’. Perché Spadolini mi disse subito: «Non è di competenza mia, però, posso fare una telefonata». E infatti, dopo questa telefonata… Perciò io questa casa, quando me l’hanno data, io l’ho vista così ariosa. Non c’era niente, eh? Nemmeno l’alberi questi qua. E io ho detto, dentro de me: “Mamma mia, magari a dormì per tera; ma io non me la farò mai levà”. Io pensavo che era una casa popolare, in fin dei conti la SAI l’aveva costruita pe’ i dipendenti loro. Poi invece c’erano dell’imbrogli, e il comune fece un accordo: dice, io m’assorbo queste domande, la metà delle domande… All’inizio la SAI fece la proposta, che dice, pagate pe’ tre mesi, perché un domani sarà vostra; ma questo non l’ha fatto. Non l’ha fatto. Poi io non so niente, perché hanno fatto tutto loro.
Quindi non avete più potuto pagare.
Rossana Letizi: Il 2019 l’avemo pagato, due rate l’avemo pagate, l’ultima non l’avemo… E poi c’è stata anche la morte de mia figlia, che gli ho dovuto fa il funerale, poi siccome mio marito c’ha la tomba al Verano, l’ho dovuta mettere là, ho fatto… nella tomba de mio marito. E poi, che mi trovo in un’età che io non posso fa niente. Sono uno zero, perché me fanno male tutte le ossa, non me posso move, sennò io li arrangiamenti io me li potevo fa’.
Elisabetta Delfini: Ci siamo ritrovato con questi altri nuovi inquilini, che gli hanno aumentato ancora di più l’affitto, perché nel frattempo era scaduto il contratto.
Rossana Letizi: Qui so’ venuta tanta gente nuova, che pagano novecento al mese.
Il comune vi ha proposto qualcosa?
Rossana Letizi: Non c’ho avuto un aiuto, e non me l’hanno dato, nemmeno la cittadinanza, niente. Una sistemazione, un colloquio. Sono proprio… zero, pe loro sono zero. E invece, sono nata a Roma, vivo a Roma, sono italiana… e so’ de la Roma! Mo’ la battuta, va.
Elisabetta Delfini: Perché la SAI non avrebbe nemmeno potuto vendere. So’ tutti imbrogli che hanno fatto loro.
Rossana Letizi: Magari pagando un affitto di trecentocinquanta euro, posso pagàlli, poi n’altri trecentocinquanta ce mangio; ma ce vorrei sta. Oppure, anche se se vònno affittare una stanza a questi ragazzi, per esempio, che c’hanno bisogno, che vengono in Italia a studiare; a me non m’interessa niente. Ma io dove vado? Ma magari se venissero a prende i quadri, i mobili… Perché avendo seicento euro di pensione, io non… e poi che, bollette, luce e gas non le paghi? Fino a che me sistemo, pure che crepo, perché io se… Ammazzàmme, non me vojo ammazzà. Perché c’ho paura, mica perché cosa. Perché… vai a compràtte la pistola, e già costa. Poi t’a metti, la senti gelata, c’hai paura. Ti butti dalla finestra dal secondo piano? Pò darsi che nemmeno mòro, vaffanculo! È mejo che mòro quando è l’ora, ecco. (stefano portelli)
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