Dal 21 ottobre è in libreria il nuovo numero (n.3 / ottobre 2019) de Lo stato delle città. Pubblichiamo a seguire un estratto dell’articolo Extinction Rebellion. L’attivismo ambientalista in nord Europa, di Giusi Palomba.
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Una clessidra racchiusa in un cerchio/mondo: il tempo sta per finire. Una paletta di dieci colori, sempre gli stessi, scelta per un movimento ecologico, ma che richiami idealmente altre lotte. Teschi e scheletri umani e di altri animali, che ricordano l’idea dell’estinzione, ma anche insetti, fiori, alberi, elementi naturali positivi. Quella di Extinction Rebellion (abbreviato XR) è una lotta che conta molto sulla componente artistica e mediatica. Un’estetica surrealista, qualcosa della Parigi del ’68 e dei primi anni Cinquanta. Un font pulito, semplice, per gli slogan: “Volevo qualcosa che non fosse né troppo hippie, né troppo punk, e che ricordasse che si tratta di un movimento urbano”, racconta Clive Russell, il designer londinese che ha coadiuvato la prima commissione artistica di Extinction Rebellion nella creazione di un universo semantico condiviso. L’autore del logo ha invece scelto l’anonimato.
INCONTRI A EDIMBURGO
È agosto, siamo a Edimburgo. Il Fringe, enorme festival delle arti performative con quasi quattromila eventi in programma, è già iniziato. Le facce dei residenti, rassegnate al traffico e alla folla, si riconoscono dal contrasto con i visitatori, entusiasti e rumorosi. Questa macchina mastodontica e controversa si mette in moto per un mese all’anno; si parla di “festivalizzazione” di una città che in effetti, al momento, sembra piuttosto un parco divertimenti. Una cosa è certa: se hai un messaggio da diffondere, questo è di sicuro il momento migliore per farlo.
Il gruppo Extinction Rebellion Scotland è presente al Fringe con una residenza negli spazi di Summerhall, ex fabbrica di birra, ora centro artistico polifunzionale. Entriamo nell’edificio, una riproduzione gigante della clessidra cerchiata ci indica la strada: in un lungo corridoio lo spazio espositivo, in una sala un’installazione video, in un’altra il cineforum, poi un piccolo ufficio/reception. Le icone incorniciate sui muri: un ritratto di Gandhi, uno di Martin Luther King.
La residenza segue due direzioni: una artistica, dedicata a esplorare i sentimenti di paura primitiva, di frustrazione dovuti alla mancanza di risposte adeguate alla crisi climatica. Una politica, votata a fare rete e raccogliere donazioni. Nei volantini si legge: “In tempi di emergenza climatica, nessuno è spettatore”. Incontro alcuni attivisti, mi chiedono dove vivo. Quando sentono “Barcellona” chiedono della repressione del 2017 durante il referendum per l’indipendenza della Catalogna. Il più anziano del gruppo è un indipendentista scozzese, fa domande sulla polizia, dice che dai resoconti dei media non si capiva bene la situazione. Rispondo: «Moltiplica quello che hai visto per cento e avrai un’idea di cosa è successo davvero».
Lucy si è occupata di una mostra fotografica che racconta tutte le azioni più importanti messe in atto da aprile a ora. Alcuni attivisti appaiono incatenati ai cancelli del parlamento inglese. Le chiavi dei lucchetti sono state spedite ai politici. “Il nostro futuro è legato alle vostre azioni”, dice uno striscione. I politici hanno dovuto presentarsi ad aprire i lucchetti con la chiave ricevuta via posta: «Mediaticamente un successo!», dice Lucy.
John ha trentacinque anni, è inglese. Per il momento è responsabile di un gruppo di scrittura. Vive in una sorta di comune sulle colline di Blackford, in periferia. Ha abbandonato il posto di lavoro per dedicarsi a tempo pieno a Extinction Rebellion. Lo dichiara con estremo orgoglio. Si è trasferito in Scozia dall’Inghilterra. Qui ritrova un senso di comunità più forte, le persone non sono così focalizzate sul lavoro come a Londra, dice.
«Ti va di prendere un caffè in settimana – gli propongo –, dopo la manifestazione per l’Amazzonia?». «Certo, ho due coupon gratuiti e possiamo anche bere quello che lasciano a metà sui tavoli», mi dice. Accetto, un po’ confusa, ma ci rivediamo alla manifestazione.
Siamo nella piazza centrale, l’attenzione è alta. Un ragazzino chiede al padre: «Cosa sta succedendo in Amazzonia?». Il padre: «Ah, sì, mi sa che c’è un incendio». Un bambino chiede alla madre: «Cosa è l’Amazzonia?». Lei lo strattona e lo porta via. Nella mia bolla virtuale, in pieno agosto, sembrava che nel mondo non ci si preoccupasse d’altro che degli incendi in Brasile. Era solo un’impressione.
Incontro John. Iniziamo a parlare delle pratiche di XR. Gli domando se tra i tanti corsi che fanno, tra le commissioni organizzate, non ce ne sia una di autodifesa. E aggiungo: «Va bene la non-violenza e gli arresti simbolici, ma in prospettiva, se il movimento crescerà, ci sarà chi inizierà a incazzarsi!». Mi risponde che non ce n’è alcun bisogno. Piuttosto tutti conoscono nel dettaglio numerose tecniche di “de-escalation” da usare nelle situazioni in cui bisogna gestire la rabbia. «Ma sai, la polizia…». «No, fidati, le tecniche funzionano. Se un poliziotto ci parla in maniera aggressiva bisogna comportarsi in questo modo, c’è tutto un linguaggio del corpo, il tono della voce che devi usare… Questo vale anche per la gente in strada, a volte possono reagire in maniera aggressiva e tu non devi fare altro che disinnescare la loro rabbia. In fondo, noi vogliamo promuovere un mondo più verde, non siamo per forza anti qualcosa. Questo la polizia lo capisce, colpire noi sarebbe come colpire un figlio, la madre o la sorella».
A un certo punto lo interrompo. Non c’entra niente con quello che dice, o forse tutto, ma gli chiedo: «Sai del G8 di Genova, nel 2001?».
«No… di cosa si tratta?».
Torno al 2017 in Catalogna, anche lì si trattava di un movimento non-violento. Poi una serie di canti cominciano ad alzarsi dalla piazza. Non riesco più a sentire bene, rimandiamo.
UN GRUPPO A BARCELLONA
In fondo le linee guida su cui si muove XR devono essere una conseguenza delle considerazioni fatte a posteriori anche di una enormità come Genova 2001. Tornata a Barcellona inizio a frequentare il gruppo locale di XR, dove si introduce anche la storia del movimento.
La nascita di Extinction Rebellion risale al 2018, a partire dal collettivo londinese “Rising Up!”. Nel novembre si fanno conoscere attraverso atti di disobbedienza civile e in aprile organizzano un blocco imponente in quattro zone nel centro di Londra. Questo porterà a circa duecento arresti, una strategia voluta per alzare la copertura mediatica della mobilitazione.
La commissione accoglienza organizza continuamente incontri per reclutare nuovi “ribelli”, si tratta di sessioni esplicative alternate a esercizi molto fisici per stimolare la conoscenza del gruppo e la fiducia. Sono tre le richieste principali di XR: “dire la verità”, ovvero spingere i politici a dichiarare l’emergenza climatica; “agire ora” per arrivare a un azzeramento delle emissioni di CO2 nel 2025; infine conquistare una democrazia reale attraverso le “assemblee cittadine” che comprendano esperti e politici.
I risultati per XR, assicurano da sempre i fondatori Roger Hallam, Gail Bradbrook e Simon Bramwell, arriveranno nel momento in cui si riuscirà a mobilitare il 3,5% della popolazione. Fanno riferimento a una ricerca delle studiose statunitensi Erica Chenoweth e Maria J. Stephan dal titolo: Why civil resistence works. The Strategic Logic of Nonviolent Conflict, in cui si analizzano le caratteristiche e il cambio politico ottenuto da cento resistenze non-violente comparandole con duecento resistenze violente. Il 53% delle resistenze non-violente studiate ha avuto successo, contro il 26% di quelle violente. In ogni caso, il raggiungimento dell’obiettivo politico è garantito dalla mobilitazione di almeno il 3,5% della popolazione. Con questo dato sottobraccio, con almeno settecento nodi sparsi in cinquanta paesi del mondo, la filosofia di XR continua a fare proseliti e si espande velocemente.
Mi interessa mettermi in ascolto delle voci critiche. Nella permanenza in Gran Bretagna ho raccolto articoli sul tema. Tra settimanali, mensili e quotidiani, non ce n’era nessuno che non trattasse la crisi climatica in qualche forma. Sulla rivista Red Pepper. Spicing Up Politics numero estivo, si pubblica una lettera aperta a Extinction Rebellion, firmata “The Wretched of the Earth”, i dannati della Terra. Si tratta di collettivi britannici di migranti, seconde generazioni, collettivi LGBTQI+, femministi. Sono una cinquantina, tra questi Black Lives Matter UK, Decolonising Environmentalism, Coal Action Network, Lesbians and Gays support the Migrants, London Feminist Antifa, London Latinxs, Mental Health Resistance Network, Race on the Agenda, Science for the People, Green Anticapitalist Front. Impossibile nominarli tutti.
La lettera parte da una delle questioni chiave di XR: dire la verità. I governi, le multinazionali devono iniziare a dire che siamo in pericolo. Ma i “dannati della Terra” rivendicano un altro tipo di verità, più profonda e complessa, più grave: la società occidentale è costruita su basi coloniali, sullo spoglio sistematico del Sud globale; una critica al sistema deve mettere al centro anche una destrutturazione sincera dei propri privilegi da parte degli abitanti del Nord. Capitalismo, sessismo e classismo devono essere nominati chiaramente, perché hanno dato forma alle condizioni in cui oggi si trova il pianeta. L’esperienza di violenza strutturale sui corpi e sui territori non è un rischio futuro, ma una realtà incarnata già oggi dalle popolazioni indigene, dalla classe lavoratrice, dalle donne, dalle comunità nere, queer, trans o con diversità funzionali, spesso a partire dalla nascita.
I collettivi sottolineano come il momento sia propizio per la ricerca di un comune terreno di lotta, ma fanno presente una prima contraddizione: conoscenza e divulgazione sullo stato del pianeta sembrano essere appannaggio della scienza occidentale, si fa ricorso sempre e comunque a conoscenze e capacità divulgative del Nord globale, ignorando le storie di dignità, vittoria e resilienza, il patrimonio delle comunità che da decenni sono impegnate nelle lotte e che da secoli salvaguardano i territori dalla devastazione. (continua…)
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