Vince con la formazione più scarsa messa in campo negli ultimi quindici anni il Portogallo, giocando senza il calciatore più forte della storia del paese e grazie alla rasoiata nei supplementari del numero nove che non ha mai avuto (e che di fatto continua a non avere). Vince mandando al tappetto una Francia più forte ma spocchiosa e sterile, messa in campo male fin dalla prima partita da un Deschamps inadeguato. Vince da ripescata al girone, facendo bottino pieno una sola volta nell’arco dei novanta minuti, giocando un calcio poco attraente e schierandosi tutta in difesa nella finalissima. Degni campioni di un brutto Europeo. A seguire, il pagellone della fase finale.
10 / Marko Pjaca. Non che combini chissà che, anche perché l’allenatore gli concede appena centouno minuti in tre partite. Ma al di là dei meriti, il suo voto è un tributo alla fantasia. Dribbling, tunnel, finte, tiri a giro, il trequartista della Dinamo Zagabria (ancora per poco) è l’unico “dieci” degno di essere chiamato tale – con Hazard – ad aver fatto vedere qualche giocata capace di rendere onore al suo numero. Non è un caso, forse, che abbia passato così tanto tempo in panchina. Sprecato.
9 / Sam Cooke. Fidanzata del difensore inglese Smalling. Modella, ex dj, volto (e non solo) noto del vecchio inserto del Sun, Page3, su cui venivano pubblicate fotografie in topless di attrici e modelle. È lei, a questo giro, la top player della competizione.
8 / Antonio Conte. Tanto antipatico quanto bravo, l’allenatore della Juventus (pardon, dell’Italia) risulta senza dubbio, alla fine, il migliore del torneo. Prende una nazionale che nel campionato del suo paese arriverebbe a metà classifica, vince il girone (abbordabile) dopo sole due partite, elimina i campioni d’Europa e perde solo ai rigori, uscendo imbattuto con quelli del mondo. Costruisce, al di là del modulo, una squadra sul modello della sua Juve, partendo dallo scheletro difensivo. Certo i meccanismi non possono essere perfetti come quelli preparati giorno per giorno, per anni, a Vinovo, e la stoffa con cui prova a cucire il vestito non è la stessa (gli mancano Pirlo, Marchisio, Vidal, Tevez, e compagnia). Ma il ritmo è buono, la copertura della propria metà campo efficace (complice l’assenza di squadre avversarie veramente forti) e i risultati positivi. Resterà il dubbio su come sarebbe andata con la Germania se l’Italia avesse provato a giocarsela, piuttosto che a piazzarsi tutto il tempo dietro la linea della palla. Ma chiunque capisce un po’ di questo sport sa che probabilmente sarebbe finita male. Pratico.
7 / Cristiano Ronaldo. Con il baffuto William Carvalho (un incrocio tra Beppe Bergomi, ex capitano dell’Inter, e Cleveland Brown, vicino di casa di Peter Griffin), il frizzante Joao Mario e lo spaccone Quaresma, sono le uniche cose da salvare della squadra che vince il torneo. Un torneo a cui CR7 arriva stremato, in pessime condizioni fisiche, dopo aver toppato, per la stessa ragione, la finale di Champions. Ma un torneo nel quale il portoghese mette comunque a segno tre gol (di cui uno d’autore, di tacco) e quattro assist. La finalissima sarà per lui indimenticabile. Dopo dieci minuti prende un calcione da Payet sul ginocchio sinistro già dolorante. Dopo ventitre esce definitivamente dal campo, in lacrime, tra gli applausi bipartisan, dopo aver provato in ogni modo a resistere. Passa gli ultimi settantacinque minuti a fare da vice allenatore, e sembra quasi che i compagni stiano a sentire più lui che il tecnico in carica. La conferma si ha quando nei supplementari entra nell’area tecnica di Deschamps a prendere quasi per le orecchie Raphael Guerriero, alle prese con i crampi, per rimandarlo in campo a difendere l’uno a zero. Vince finalmente una competizione con la sua nazionale, coronando una carriera incredibile. Si conferma un bravo ragazzo, dopo le campagne pro-Palestina e la cessione in beneficenza del premio Champions (seicentomila euro), quando a fine gara va ad abbracciare sugli spalti la vedova di Stefano Borgonovo, personalmente invitata allo stadio per assistere alla finale. Le sue lacrime, lacrime da giovane multimiliardario a cui qualcuno impone di non poter più correre dietro a un pallone in una partita importante, ci ricordano che il calcio è un gioco. E seppur pieno di uomini fondamentalmente tristi, le eccezioni non mancano. Campeao.
6 / Walter Zenga. Allenatore inconcludente, emerge districandosi con onore nel grigiore delle telecronache targate Rai. Non ha la competenza di Adani e Bergomi, la verve saccente di Di Canio, l’euforia di Altafini o la bestemmia di Trapattoni, ma si fa notare per una insofferenza alle regole che non può che far bene al p(i)attume della televisione pubblica nazionale. Tra le cose più interessanti: la perenne e sacrosanta riluttanza ad assegnare l’uomo partita a venti minuti dalla fine, che gli costa vari attriti con Alberto Rimedio (alla fine la spunta, e per la finale riesce a conservarsi un nome fino alla fine, riuscendo a premiare Eder, autore del gol vittoria nell’extra time); la sincerità con cui fa notare allo stesso Rimedio di star commentando partite quasi sempre mediocri, e per le quali è abbastanza fuori posto il suo (di Rimedio) entusiasmo; la frase, accolta probabilmente con uno sberleffo da milioni di spettatori, con cui profetizza che l’uscita di Ronaldo potrebbe trasformarsi addirittura in un vantaggio per il Portogallo. Passa un quarto d’ora e i lusitani, che fino a quel momento avevano sbagliato tutto, cominciano a entrare in partita. Rivelazione.
5 / I tifosi. Una media tra i voti alti a gente come gli irlandesi (spettacolare la gag con cui convincono una suora francese a bordo di un treno a saltellare con loro, mentre le cantano un alleluja al luppolo alla loro maniera), gli islandesi (con la loro ingenuità e il loro Geyser Sound) e i portoghesi (che per esorcizzare la paura di una rimonta francese danno il via a festeggiamenti per la vittoria, con tanto di bombe carta e fumogeni, già dieci minuti prima della fine della partita) e quelli bassi dei fascisti vestiti da hoolies (su tutti i nazionalisti croati, russi e ungheresi, poi gli inglesi del National Front e i parigini del Kop) che approfittano della competizione per regolare le proprie pendenze politiche con gruppi e tifosi di altri paesi. A sprazzi, qua e là per le strade dell’Hexagon, si segnala anche qualche iniziativa ultras interessante, alla vecchia maniera, per i puristi del genere. Nel complesso, deludenti.
4 / I fratelli Lukaku. Il simbolo del disastro di un Belgio che partiva tra le favorite e che invece delude clamorosamente. Romelu, il più noto dei due, attacante dell’Everton, mette a segno due gol in cinque partite (che non sarebbero nemmeno male, anche se in una squadra che passa tutto il tempo nella metà campo avversaria). Ma più che i numeri è la sua maniera di giocare che irrita, i suoi movimenti a casaccio, la sua imprecisione nel servire i compagni che accompagnano l’azione, il numero di falli commessi. Ben peggio di lui fa il più giovane Jordan, di professione terzino, che in una sola partita (quella con il Galles) fa in tempo a combinare più disastri di tutti i compagni della difesa (una difesa allo sbando, è giusto sottolinearlo). Sulla sua fascia si passa che è un piacere. Sbaglia sempre il fuorigioco, si perde la marcatura sul calcio d’angolo che porta alla rete di Williams, è fuori posizione nell’azione del secondo gol, salta fuori tempo e a vuoto sul terzo. Una coppia che risulta comica, a chiunque non faccia il tifo per la loro squadra. Fratelli Marx.
3 / Jerome Boateng. Deve ringraziare Guardiola (che negli ultimi anni di danni al calcio mondiale ne ha fatti parecchi) se si trova a dirigere, senza sapere come, da centrale, una delle difese potenzialmente più forti del mondo, come quella della sua nazionale. Si mostra inadeguato in tutto, fino al rigore regalato all’Italia, un intervento “mani in alto” per il quale qualsiasi stopper di qualsiasi scuola calcio di provincia non verrebbe convocato dal mister per sei mesi. Uno dei calciatori più sopravvalutati della storia. Improponibile.
2 / L’Italia. Voto complessivo, perché se in una partita contro la Germania si arriva a schierare un centrocampo formato da Parolo, Giacherini e Sturaro (rimpiangendo Thiago Motta e la salma di De Rossi), e una coppia d’attacco formata da due trentenni (un oriundo all’esordio assoluto in una grande competizione e un altro che in Italia ha trovato spazio solo a Lecce e a Cesena) le colpe sono da dividere tra federazione, società, settori giovanili, convocazioni del tecnico e tanto altro. La squadra si impegna ma è veramente scarsa, e a parte la discreta prestazione agevolata dallo scanzonato Belgio, mostra gara per gara tutti i suoi limiti, nonostante la vittoria illustre contro una Spagna al capolinea. Il “due” è la media tra il quattro generale e lo zero a Pellè, che con quel millantato cucchiaio al portiere più forte del mondo (seguito dal rigore più brutto possibile) si rende ridicolo agli occhi del pianeta. C’è un detto napoletano che dice che chi ti vuole far male non ti minaccia, lo fa e basta. Evidentemente a Neuer deve averlo spiegato una vecchia zia della Loggetta, mentre Pellè era occupato a impomatarsi il ciuffo. Parolaio.
1 / La finale. Ci sono state partite più brutte, ma Portogallo-Francia è stata l’emblema del livello di questo torneo. Eppure nei primi minuti le premesse erano buone. La Francia attaccava con vigore e il gol che avrebbe aperto la partita sembrava nell’aria. Poi i blues sono calati, mantenendo il pallino del gioco ma non riuscendo a creare quasi nulla, se si fa eccezione per un paio di buoni interventi del portiere Rui Patricio e lo sfortunato palo a tempo scaduto di Gignac. Troppo poco, ma comunque qualcosa in più del Portogallo, che così come tutto il resto dell’Europeo vince senza far nulla, difendendosi anche peggio di altre squadre votate al catenaccio (l’Italia, per esempio), aspettando che il panaro cada dal cielo sottoforma di una giocata di Ronaldo o Quaresma, o un errore degli avversari. Quello decisivo questa volta arriva da Koscielny, uno dei migliori difensori fino a quel momento, che paga caro uno scellerato tentativo di anticipo (che ricorda quello ancora più assurdo di Meunier in Belgio-Galles, che ha regalato un eurogol al centravanti avversario e la vittoria ai britannici) sul lungagnone Eder. Un epilogo che rimanda alla vittoria della Grecia nel 2004, e che fa sorridere solo per Ronaldo, Quaresma e qualche altro. Morte del calcio.
0 / La Rai. I servizi senza né capo né coda, le partite non trasmesse, quelle trasmesse con telecronache soporifere, i commenti fuori tempo di Roberto Rambaudi, le pronunce dei calciatori sbagliate, i toni da terza guerra mondiale nel racconto degli scontri; e soprattutto Il grande match, i filmati del backstage con gli ospiti del programma durante le partite dell’Italia, la faccia contrita e le parole solenni di Flavio Insinna quando apre la puntata dopo gli attentati di Dacca; e infine le analisi tattiche confuse e balbettanti di Mazzocchi e Balzaretti, il modo di vestire di Balzaretti, i duetti spigolosi tra Tardelli e Zazzaroni, la retorica di Gianni Cerqueti, i lifting di Paola Ferrari, la polemica di Katia Serra che in un clima di festa generale, all’ultima puntata, fa notare a Insinna di essere stata tenuta sempre un po’ da parte (tutto vero, tra l’altro). Il circo si chiude con l’ultima immagine in diretta dopo la finale, quando il portoghese Pepe, forse per un malore o più probabilmente per la tensione, si piega in avanti e comincia a vomitare. Prima che parta la pubblicità, il solito Rimedio fa in tempo a commentare: «E lì c’è Pepe che vomita, una brutta pagina». Stonati.
Menzioni speciali a: la piuma di capelli dorata di Quaresma, dietro la nuca; la rovesciata di Shaquiri, uno dei pochi gesti tecnici degni di nota assieme alla parata di De Gea su Giaccherini e al dribbling di “Carroarmato-Gignac”, in un fazzoletto, all’ultimo minuto della finale; le analisi di Arrigo Sacchi; la pagina Facebook di Payet, bloccata per i troppi insulti dopo che Ronaldo esce dal campo per colpa di un suo brutto intervento; lo studio dell’università di Chichester (UK) che stabilisce che la forza esplosiva delle gambe dello stesso Ronaldo è cinque volte superiore a quella di un ghepardo nella sua massima estensione; la sobrietà di Antinelli, uno dei pochi non ancora appassiti nella redazione di RaiSport; l’invasione del terreno di gioco, un quarto d’ora prima della finale, di un’orda di fastidiosissime falene.
La formazione tipo (4-3-3): Rui Patricio; Srna, Barzagli, Umtiti, Pinter; Khedira, Modric, Kross; Griezmann, Ronaldo, Hazard. All.: Iordanescu. (riccardo rosa)
PUNTATE PRECEDENTI:
Europei, il pagellone di metà torneo. Dal Geyser Sound al flemmatico Roy
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