Piazza Francesco Zambeccari si trova nella zona est di Roma, a Torpignattara. Su un lato della piazza rettangolare si trova un basso muro di cemento che protegge una scuola privata, altri due sono occupati da palazzine e da due strade. Il quarto lato è chiuso da un edificio rossiccio molto più grande degli altri: è il liceo classico e linguistico Immanuel Kant. Sabato 23 gennaio il liceo è stato occupato da studenti e studentesse per protestare contro le modalità di gestione della scuola, per le condizioni dei trasporti pubblici e per la mancanza di mezzi per portare avanti la didattica a distanza.
Una parte dell’ingresso della scuola è stato subito bloccato con sedie e banchi per ostacolare un eventuale sgombero da parte delle forze dell’ordine, soprattutto dopo un tentativo di bloccare l’occupazione avvenuto sabato stesso. L’accesso è possibile solo attraverso una passerella al termine della quale dei ragazzi controllano la temperatura a chi entra. Un rapido giro dell’edificio permette di vedere che almeno un’altra apertura è stata bloccata con delle sedie ammassate. Nei primi giorni di occupazione il via vai è abbastanza sostenuto, qui non si è scelto di creare una “bolla” come in alcune scuole di Milano e quindi anche gli esterni, dopo essere stati identificati e aver trovato un “garante” tra gli occupanti, possono entrare.
Passando davanti alla scuola si vedono dei ragazzi parlare con chi transita per la piazza. È in uno di questo frangenti che parlo con D., studente del liceo classico. «Sui media sta passando il messaggio che noi vogliamo solo tornare in presenza. In realtà la situazione è più complessa. Finora la didattica con metà della classe in presenza non ha funzionato bene. Per esempio, è capitato che solo una parte della classe sia riuscita a seguire la lezione per problemi di connessione, anche per mancanze strutturali della scuola. A volte docenti e studenti hanno dovuto attivarsi per risolvere il problema con la speranza di essere rimborsati in un secondo momento». Con l’occupazione si vuole dimostrare che si possono garantire delle attività in presenza. «Molti – continua D. – ci criticano perché vedono l’occupazione come una situazione di potenziale pericolo a causa della pandemia, ma noi abbiamo organizzato un servizio d’ordine interno per far rispettare le regole. Abbiamo in programma alcuni corsi gestiti da noi e anche degli interventi di persone esterne». Chiedo quale sia stata la reazione dei docenti e della dirigenza di fronte alla decisione di occupare l’istituto: «Alcuni docenti sono contrari, altri invece sono dalla nostra parte». La dirigenza avrebbe concesso agli occupanti di rimanere per una settimana all’interno della scuola.
Il giorno seguente la scena è simile anche se da uno dei cortili risuona la voce di Militant A, voce dello storico gruppo rap romano Assalti Frontali, ospite del pomeriggio per un incontro e un po’ di musica. Con questo sottofondo scambio due parole con L., anche lui del liceo classico. Per prima cosa gli chiedo se ha notato una differenza tra il primo periodo di didattica a distanza (marzo-giugno 2020) e gli ultimi mesi: «Nel primo periodo c’era il confinamento totale e quindi non avevo problemi a seguire le lezioni e a fare i compiti. Ora invece si può uscire e ci sono delle attività che si possono fare, quindi è diventato più difficile riuscire a conciliare tutti gli impegni. Mi sembra però che la reazione alla didattica a distanza sia stata molto diversa da persona a persona». Chiedo allora se c’è stato un confronto con i docenti su come gestire questa dimensione dell’insegnamento: «Non sappiamo ancora bene come affrontare la didattica a distanza, non abbiamo fatto delle richieste precise agli insegnanti». La risposta stupisce un po’, visto che ormai la didattica a distanza non può più essere considerata una novità come nella primavera del 2020 e questo tempo sembrava sufficiente per elaborare delle proposte alternative o, almeno, migliorative. Le richieste di chi ha promosso la protesta vanno in altre direzioni: una via preferenziale per sottoporsi ai tamponi evitando così delle lunghe quarantene, un miglioramento delle modalità di trasporto per venire incontro alle tante persone che devono prendere i mezzi pubblici per raggiungere la scuola.
Un paio di giorni dopo torno davanti al Kant e subito mi raggiunge la voce che la Prefettura avrebbe dato l’ordine di sgomberare la scuola. C’è una certa agitazione e si cerca di capire meglio come stanno le cose. Chi occupa ha già fatto sapere di voler lasciare la scuola giovedì mattina e si spera che questo basti per scongiurare l’intervento delle forze di polizia. Si vocifera anche di una rapida ripresa della didattica (a distanza). Oltre ai ragazzi in piazza si affaccia qualche genitore, alcuni hanno un’aria preoccupata. Verso l’imbrunire la piazza si riempie: il gruppo di appoggio mutuo della Libera assemblea di Centocelle arriva in forze a preparare dei banchetti per una distribuzione alimentare e per dare solidarietà all’occupazione, mentre all’interno inizia un’assemblea. Chi occupa continua a entrare e a uscire dalla scuola, la paura per l’imminente sgombero sembra essersi allentata.
Lascio la piazza forse con più domande che risposte e con una strana sensazione di essere di fronte a un’occasione perduta. Lo stravolgimento dovuto alla pandemia e alla chiusura delle scuole poteva preludere a un ripensamento del modo di fare lezione e di stare in classe. Con il passare dei mesi sembra però che questo aspetto sia rimasto in secondo piano. Ci si preoccupa di quale mezzo si può usare per arrivare a scuola, di come sono i banchi, di quanti metri ci sono tra un alunno e l’altra, della qualità della connessione, ma gli interrogativi su come adattare l’insegnamento ai tempi nuovi rimangono sullo sfondo. (alessandro stoppoloni)
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