È in libreria dalla scorsa primavera il numero 6 de Lo stato delle città (qui indice e distribuzione nelle principali città italiane). Proponiamo a seguire l’articolo di Stefano Portelli: Draghi, mostri e cavalieri. I fondi speculativi all’assalto delle città
Il 27 marzo, nonostante le restrizioni, in oltre sessanta città d’Europa ci sono state mobilitazioni per la casa e per gli affitti. Le più grandi sono state a Lisbona, Berlino e Marsiglia, con duemila persone ognuna, ma grossi cortei hanno sfilato anche a Bruxelles, Lione e Nantes, dove la polizia ha usato i lacrimogeni contro i manifestanti. A Roma abbiamo organizzato un presidio contro lo sfratto di una donna con due figli a Torpignattara, poi una manifestazione di quasi mille persone davanti al ministero delle infrastrutture. Ad Atene c’è stata una protesta contro le aste giudiziarie, a Colonia un’occupazione, a Parigi una manifestazione di trecento senzatetto terminata con l’apertura di palazzi vuoti. Flash mob e proteste di altro tipo sono state organizzate a Venezia, Budapest, Milano, Parma, Amburgo, Potsdam, Belgrado, Amsterdam, Tolosa, Stoccarda, Nicosia, Palma di Maiorca, Lussemburgo; e in Scozia, Romania, Svezia, ci sono stati eventi online per la casa.
Di questa mobilitazione grande e trasversale, però, è al corrente solo chi vi ha partecipato. Giornali e televisioni non hanno coperto questi eventi in nessuno di questi paesi, neanche in Germania, dove si sono mobilitati in decine di città. I video in internet girano solo su canali poco frequentati e hanno pochissime visualizzazioni. Ci sorprende? The revolution will not be televised, ovviamente, e il potenziale di un coordinamento efficace tra i tanti collettivi che si ribellano allo strapotere immobiliare in tutta Europa è enorme. C’è bisogno ancora di tanto lavoro per connettere le lotte di paesi e gruppi sociali differenti: chi occupa, chi ha un mutuo, chi vive in affitto, chi è assegnatario, chi è senza casa. Eppure, proprio il contesto pandemico ci aiuta a costruire un quadro comune di analisi, quindi di azione. La frammentazione tra i movimenti per la casa non è mai stata così grande: sindacati, reti e collettivi si sono specializzati, chi sulle occupazioni, chi sulle case popolari, chi sugli affitti, chi sui senzatetto; e di questa divisione approfitta la finanza internazionale, che un po’ alla volta si prende tutto. Ma proprio perché la minaccia è ovunque, diventa più chiaro che le varie battaglie sono tutti fronti della stessa lotta.
La concentrazione di capitali non è mai stata così forte. I grandi fondi speculativi, con risorse incomparabilmente più grandi delle banche o dei piccoli speculatori locali, hanno piazzato i loro uomini al centro delle istituzioni di tutti i continenti. L’avvento alla presidenza del consiglio di Mario Draghi, ex vicedirettore del fondo speculativo Goldman Sachs, deve farci capire quanto sia grande la loro influenza. La crisi sanitaria e i nuovi finanziamenti europei sono l’occasione per decretare l’ennesimo stato di emergenza (prima erano l’inflazione, il debito pubblico…) che autorizzi nuove speculazioni. Rassicurati dalla presenza del presidente, che è uno di loro, questo stormo di avvoltoi sorvola le città, in cerca di prede.
LA NUOVA ACCUMULAZIONE
Le ultime difese sono cadute con le Nuove Grandi Recinzioni degli anni Ottanta e Novanta. Come per le enclosure all’inizio dell’età moderna, è lo stato che le ha rese possibili. In Italia era stato proprio Draghi a completare la privatizzazione del sistema bancario pubblico, regalando i risparmi della popolazione a “fondazioni” poi magicamente diventate private. Tremonti aveva dato il via alle cartolarizzazioni dei beni degli enti previdenziali. Il governo D’Alema aveva smantellato le ultime protezioni pubbliche sulla casa: oltre ad abolire l’equo canone, cioè il controllo pubblico sugli affitti, la legge 431 del 1998 decretava la fine dei finanziamenti per costruire case popolari e per gli enti che gestivano quelle esistenti. Gli affitti calmierati e gli alloggi pubblici garantivano che una parte del patrimonio immobiliare rimanesse fuori dal mercato, contribuendo a tenere bassi i prezzi; la nuova grande recinzione trasformò tutto in privato.
Una ricerca della Rete Diritti in Casa di Parma ne descrive le conseguenze, dieci anni dopo. Gli affitti crescono del settanta per cento, nelle città anche del doppio. Perché dovrei buttare soldi se con poco più mi posso comprare casa? Milioni di famiglie si legano al sistema dei crediti bancari, il mercato dei mutui si gonfia a dismisura, la costruzione aumenta, ma i prezzi delle case salgono. A quel punto, le banche smettono definitivamente di finanziare l’industria produttiva: il capitale non ha più bisogno di cittadini occupati che lavorino, ma di cittadini indebitati che paghino il mutuo, o l’affitto a chi paga il mutuo. Il capitale si butta sul mercato dei crediti, e diventa capitale finanziario. Quello che fino ad allora in Italia si chiamava “blocco edilizio” (la definizione è di Valentino Parlato del 1970) diventa il nuovo Real Estate Financial Complex, “complesso finanziario immobiliare”. Ne fanno parte anche le compagnie assicurative e i fondi pensione, a loro volta privatizzati; ogni capitale accumulato viene trascinato sull’investimento immobiliare. Una volta creato il nuovo mercato, il processo è quello classico: prima c’è la competizione tra i piccoli investitori, che credono sia aumentata la libertà; poi arriva il capitale finanziario, nelle mani di pochi, infine l’acquisizione massiccia da parte di un pugno di grandi monopoli globali. E all’improvviso sparisce anche la libertà.
Perché nello stesso momento, dall’altra parte dell’oceano, avveniva una trasformazione ancora più grande. Di hedge fund si parla dal 2008, ma se non ne sappiamo ancora abbastanza è perché questi investitori per definizione agiscono di nascosto. Uno hedge è un muro, una trincea costruita intorno a un gruppo di scommettitori perché non si veda il loro gioco. Negli anni delle Nuove Grandi Recinzioni, alcuni speculatori statunitensi iniziano ad adottare modelli matematici sviluppati sul gioco d’azzardo, che prevedono di scommettere anche sulle perdite, in modo da garantire profitti in ogni caso. Grazie al superlavoro dei loro dipendenti, i grandi fondi sviluppano prodotti finanziari sempre più raffinati, fino a creare una concentrazione di capitali mai vista prima. Il salvataggio delle banche dopo la crisi del 2008 inietta un flusso inaudito di miliardi in questo sistema fuori controllo, le cui metastasi si estendono su scala mondiale, fagocitando tutti i competitori locali e spendendo milioni per corrompere amministrazioni e governi. Per nascondere la loro natura di truffatori da gioco delle tre carte planetario, questi fondi si danno nomi che rimandano a un immaginario di eroi, castelli e cavalieri: Fortress Investment, Tower Brook, Sentinel Capital; o di mostri, come lo Hydra Private Equity, e il più grande di tutti, Cerberus Capital Management.
Un lavoro recente coordinato da Simone Tulumello descrive le sei forme con cui la finanza globale è entrata nel sud Europa. I mutui, naturalmente, ma anche le assicurazioni sui mutui, la finanziarizzazione del social housing e del mercato degli affitti privati, la cartolarizzazione delle case popolari, gli investimenti sugli affitti brevi turistici, e altre forme spurie di intreccio tra queste modalità. Per l’Italia, però, sono cruciali anche i profitti sui fallimenti, sulla bancarotta delle imprese, sulle svendite del patrimonio pubblico per tappare buchi di bilancio. In Italia i fondi puntano sul mercato dei crediti deteriorati, gli NPL o non performing loans. Il mercato italiano degli NPL era il più grande d’Europa già prima del Covid, figuriamoci ora. Con una pubblica amministrazione che non paga debiti né stipendi, le possibilità di fallimento si moltiplicano.
Insomma, i “fondi avvoltoio”, come li chiamano in Spagna, sono riusciti a mettere in piedi sistemi diversificati per conquistare le città, nascosti dietro il loro muro, e sempre con l’aiuto dei loro partner istituzionali. Solo connettendo le informazioni, si intravede il disegno generale. L’acquisto di palazzi signorili a Firenze, la “messa a valore” delle cubature ottenute a Milano, le pressioni per costruire in aree improbabili (come a Santa Palomba, nel Lazio, tra Ariccia e Pomezia), così come gli investimenti nei crediti deteriorati, hanno dietro sempre gli stessi attori, anche se celati dietro partecipazioni, sotto-società, cartelli con altri nomi. Con una disponibilità finanziaria quasi illimitata, ed estremamente concentrata, i fondi non hanno bisogno di profitti immediati: puntano ad accumulare pezzi di città, senza curarsi troppo di cosa ne faranno.
A ROMA
«Siamo una famiglia!», dice Yoidanis al microfono, nervosa, durante la manifestazione per le residenze, il 9 aprile davanti all’Anagrafe. Nata a Cuba, in Italia da vent’anni, a Roma da quattro, da un anno sotto sgombero perché un truffatore di Torpignattara le ha affittato una casa promettendole un contratto che non è mai arrivato. Dopo gli aumenti arbitrari del canone (in nero), le minacce e veri e propri episodi di violenza, la donna ha smesso di pagare; solo di recente ha scoperto che la casa è parte di un “piano di zona”, un progetto di edilizia convenzionata dove in teoria non si poteva né affittare né vendere a prezzo di mercato. Ma il giudice ha dato ragione al truffatore e ha decretato lo sgombero di Yoidanis. Gli attivisti per la casa e le occupanti che la applaudono quando finisce il suo discorso sono parte della famiglia che l’ha difesa al primo accesso dell’ufficiale giudiziario, il 27 marzo; e sono le stesse persone che la difenderanno anche al secondo accesso, il 27 aprile. Fermare gli sfratti insieme aiuta a sentire che la lotta è una sola.
Niente e nessuno, infatti, si salva dalla finanziarizzazione: né i piani di zona, né gli affitti privati, né le case popolari, né le occupazioni, e neanche chi ha un mutuo. Già prima del Covid si prevedeva che entro il 2024 sarebbero stati pignorati almeno quattrocentomila nuovi immobili, come effetto della crisi economica. A Roma settemilacinquecento assegnatari di case popolari dell’Ater hanno ricevuto lettere in cui li si invitava a comprare gli immobili o ad andarsene. La scusa paradossale per la vendita di questi beni pubblici è la necessità dell’Ater di pagare l’Imu al Comune. Alla lettera hanno risposto solo poche centinaia di nuclei, anche per le pressioni dei sindacati di base, e il piano per il momento sembra fermo. Ma ripartirà, e possiamo immaginare chi proverà a prendersi questi complessi residenziali quando non saranno più pubblici – soprattutto nei quartieri centrali, come Testaccio.
Ma i fondi immobiliari si stanno prendendo anche i palazzi occupati, cioè quei residui del sistema produttivo o dello stato sociale faticosamente e collettivamente recuperati proprio da chi è rimasto fuori dalla produzione e dal welfare – migranti, precari, studenti, sottoproletari. Le amministrazioni locali hanno spesso dovuto convivere con questi spazi, imparando a usarli come depositi delle “eccedenze” sociali, o come pittoresche “buone pratiche” da mettere in vetrina all’occorrenza, ma di cui liberarsi appena possibile. A Roma almeno tre spazi del genere sono finiti nelle mani di Cerberus e di Blackstone, due dei più importanti fondi statunitensi. Uno è Communia, l’occupazione nelle ex-officine Piaggio di San Lorenzo. Il locale era stato riaperto nel 2013 da un gruppo di precarie e studenti, e prese il nome proprio dal grido di battaglia dei contadini di Müntzer contro le grandi recinzioni del Cinquecento: “Omnia sunt communia”. Si trova nello stesso isolato dove nel 2018 fu stuprata e uccisa Desirée Mariottini (una zona di cui abbiamo parlato anche nel numero 2 di questa rivista).
Il triangolo di case basse ed ex laboratori artigiani tra via dei Lucani, via dello Scalo e via di Porta Labicana è l’ultimo angolo di San Lorenzo dove si potrebbe ancora costruire; gli abitanti del quartiere ne reclamano un uso diverso, con più verde, ma la zona è strategica – a due passi da Stazione Termini, davanti all’ex Dogana, accanto alle mura aureliane. I vari proprietari (uno è il fratello dell’ex-sindaco Veltroni) hanno lasciato deteriorare i loro lotti per troppo tempo, e alcuni di loro sono falliti: ora il Comune fa bandi e progetti, ma non ha i soldi per espropriare né per costruire. Mentre va avanti la tarantella tra proprietari, municipio e abitanti, i fondi lavorano. La sede di Communia, infatti, era di un importante costruttore marchigiano, il cavalier Santarelli, che ha accumulato centinaia di milioni di debiti con le banche, soprattutto Banca Marche. Pur essendo riuscito a costruire un’ultima palazzina, proprio dietro Communia, ad agosto del 2020 la sua impresa è fallita. Le proprietà sequestrate dalla guardia di finanza sono state affidate ai creditori: le ex-officine Piaggio, insieme agli altri non performing loans di Banca Marche, sono state impacchettate con quelle di altre tre banche, in un portafoglio di dieci miliardi di euro affidato a una società di gestione crediti.
Questa società è una “bad bank”, una strana creatura che può permettersi sia l’opacità del diritto privato che la libertà di movimento del pubblico. Si chiama Rev Gestione Crediti, ed è il primo vero esempio di bad bank italiana: ha l’obiettivo di comprare tutti i crediti deteriorati delle banche, quindi gestire gli immobili che garantivano questi crediti. Tutti questi immobili vengono poi svenduti, e la differenza viene coperta con fondi pubblici. Proprio come la Sareb, la bad bank spagnola finanziata dall’Ue, la cui bancarotta ha fatto perdere milioni allo stato spagnolo (tutti scaricati sui contribuenti), l’italiana Rev è garantita dal ministero delle finanze attraverso Cassa depositi e prestiti. Insomma, lo stato garantisce sia i profitti delle banche fallite che gli affari dei grandi fondi, usando i soldi pubblici per il bene di entrambi. Indovinate chi ha comprato tutto il pacchetto? Cerberus Capital Management, il grande fondo statunitense diretto da alti papaveri del partito repubblicano; ora ha un piede a San Lorenzo, il quartiere più importante della resistenza politica a Roma. Difficile pensare che il suo progetto sia lasciarci un centro sociale, ristrutturare la zona o farci un parco.
Un altro gigante della finanza immobiliare, Blackstone, ha messo le mani su almeno due grandi occupazioni abitative della città. Fondata da un ex dirigente di Lehman Brothers e inizialmente legata alla banca d’investimento Blackrock (che possiede quote importanti sia di Facebook che di Pfizer), dopo la crisi del 2008 Blackstone comprò milioni di case pignorate in tutti gli Stati Uniti. L’obiettivo era ristrutturarle e affittarle, spesso agli stessi vecchi proprietari pignorati, imponendo canoni esorbitanti e cacciandoli senza riguardo alla prima morosità. Nel frattempo, il fondo spendeva milioni in corruzione degli amministratori locali per impedire che entrasse in vigore qualunque regolamentazione pubblica degli affitti. Per queste pratiche, Blackstone è stata ammonita addirittura dall’Onu, che ha dichiarato che le sue operazioni contribuiscono alla crisi abitativa globale.
Blackstone e Cerberus si stanno accaparrando un’ultima tranche di beni dell’Inps e di altri enti previdenziali scampati alle svendite di inizio anni Duemila, e messi in vendita pochi anni fa: un nuovo fondo da ottocento milioni detto Fip, cioè Fondo immobili pubblici, gestito da una società immobiliare. Nel pezzo di portafoglio preso da Blackstone ci sono due importanti palazzi occupati di Roma: Spin Time Labs, la grande occupazione abitativa di via Santa Croce in Gerusalemme, dove per riattaccare la luce era intervenuto l’elemosiniere del papa; e Viale delle Province, occupata dodici anni fa da centocinquanta famiglie, in gran parte migranti. Sono spazi fondamentali della città, dove sono confluite persone già sgomberate altre volte, escluse sia dagli alloggi privati che da quelli pubblici, a cui non viene permesso neanche di avere la residenza, e a cui le istituzioni sembrano chiedere semplicemente di sparire. Cosa ne farà Blackstone? Cosa faranno i fondi se riusciranno a prendersi altri luoghi della città di cui lo stato non vuole più occuparsi? Magari il Forte Prenestino, o l’ex Cinodromo Acrobax o il centro culturale curdo Ararat? Non sono affari di Blackstone, sono affari nostri. Tutti questi acquisti sono garantiti dallo stato: omnia sunt communia.
SCIOPERO!
La scorsa primavera sembrava che il Covid avrebbe fermato il mondo. Le città silenziose, gli animali che si riappropriano degli spazi, a ricordarle oggi, erano un’illusione. La crisi sanitaria ha prodotto soprattutto una terribile crisi economica, con migliaia di persone, milioni a livello globale, che non possono più pagare la casa, e che aspettano con terrore la fine del blocco degli sfratti, se non sono già finite per strada. Ma la posizione del nuovo governo è disarmante: in un’intervista recente su Micromega, il ministro alle infrastrutture Enrico Giovannini (ora anche alla “mobilità sostenibile”) elenca i mezzi per uscire dall’emergenza: partnership pubblico-private, deregulation, incentivi alla finanziarizzazione. La via d’uscita si cerca nelle stesse politiche che hanno creato la crisi – esattamente come l’industria estrattiva vuole essere leader nella transizione energetica.
Quando l’accumulazione di profitti avviene grazie al lavoro, i padroni spingono per aumentare la produzione, allungare la giornata lavorativa, cercare di controllare ogni porzione del tempo di chi lavora. I limiti a queste pressioni sono venuti sempre dall’organizzazione collettiva, mai dalla benevolenza dei datori di lavoro o dello stato. Quando l’accumulazione di profitti avviene sulla casa, sulla città, sui mutui e sugli affitti, i grandi speculatori cercano di controllare ogni porzione dello spazio urbano. Ma è sempre lo sciopero il modo di porvi un freno. Ci sarà bisogno di riorganizzare un fronte di movimenti per la casa e contro la speculazione, che conosca il nemico e sappia affrontarlo, ma i mezzi sono a portata di mano. Il sistema di profitti della fabbrica si basava sul lavoro, si smetteva di lavorare perché non potevano licenziare tutti. Il sistema di profitti del complesso finanziario-immobiliare si basa sugli affitti e sui mutui, i grandi fondi guadagnano solo se si paga l’affitto, il canone, il mutuo. E se non si pagassero più?
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