Per avere un’idea della trasformazione economica che l’incremento del flusso turistico – per il momento – sta provocando a Napoli, basta passeggiare in un qualsiasi giorno festivo (estivo o invernale) in alcune zone della città: senza pausa (e senza fretta), dalle 9 alle 21, uno sciame di visitatori affolla i decumani superiore e inferiore del centro storico con l’asse ortogonale di via Toledo. Lo spazio in cui lo sciame si muove, in maniera sorprendentemente ordinata, è un quadrante della città diventato improvvisamente un “distretto turistico”. Le assi del centro cittadino sono puntellate da svariate attività commerciali di matrice turistica spuntate seguendo quel magnetismo urbanistico istintivo esercitato dall’altissima concentrazione di luoghi storici, artistici e “caratteristici” presenti nella zona. Attività che rispondono ai bisogni primari dell’Homo Turisticus contemporaneo (dalla definizione offerta dall’antropologo Duccio Canestrini, divulgatore della teoria dell’antropop, cfr: Duccio Canestrini, Antropop La tribù globale, Bollati Boringhieri, 2014) che si sommano a una miriade di spettacoli di strada improvvisati (dai risultati artistici altalenanti), concertini che spaziano dall’onnipresente e folklorica tamorra&fisarmonica a un’inaspettata e ben eseguita musica psichedelica dalle sfumature hard rock, fino ai mercatini che ricalcano per offerta ed estetica i mercati domenicali dei paesoni di un’Italia famelica di consumi (post)moderni, e soprattutto, a buon mercato.
Tra questi punti cartesiani si muove uno sciame umano di provenienza diversa: nordeuropei (molti francesi, forse più sensibili all’orientalismo mediterraneo di marca partenopea), settentrionali, romani, pugliesi, crocieristi assortiti. Compongono un insieme di visitatori che è la vera novità cittadina, un fatto complesso – economico, culturale – all’interno di uno spazio definito, dalle dimensioni assai contenute e ai cui margini continua a permanere il vuoto. Il centro, infatti, deve essere fruibile e attraente per gli istinti dell’Homo Turisticus tralasciando tutto il resto. Gli altri – gli Homines – se non coinvolti nella giostra imparano a evitare la folla. Altre zone storiche della città (pensiamo al Mercato-Pendino) restano quasi immuni dal tocco taumaturgico dell’Homo Turisticus, di cui non si accorgerebbero se non fosse per fugaci attraversamenti di avventurosi che seguono percorsi a là Routard. I bisogni dell’Homo Turisticus sono particolari, in cima c’è quello dell’intrattenimento, tuttavia per il momento ci concentriamo su quelli primari che lo accomunano al resto del genere umano, rinviando l’analisi dei bisogni specifici a un articolo successivo.
Bisogno primario per eccellenza è il nutrirsi e la città ha sviluppato, nel distretto auto-perimetrato, una tendenza precisa nel soddisfarlo. Lo sciame viene nutrito da un’offerta crescente di punti ristoro di cibo cotto a buon mercato: fritture di ogni tipo (finalmente il pesce è tornato a essere fritto per strada!), la pizza (nelle sue declinazioni più fantasiose), focacce e frittatine la fanno da padrone, ma hamburger, salsicce e bistecche hanno iniziato a competere in modo significativo trasformando i macellai, ormai fuori tempo, nei più moderni meat-shop, così come le salumerie diventano Gastronomie (più o meno slow). Anche punti di ristoro a sfondo vegetariano, biologico nonché vegan e crudista hanno iniziato ad alzare la voce, così come le toasterie (sic!) e i cocktail bar con gli aperitivi e gli happyhour. Le “antiche trattorie” sono diventate insegne permanenti comparse in spazi precedentemente utilizzati da mercerie, antiquari, ferramenta, fruttivendoli… Alcuni pescivendoli hanno iniziato a offrire porzioni di crudo e sushi mediterraneo. Nulla da eccepire. Sono attività che creano occupazione e stimolo economico: si crea una filiera di fornitori, un circuito logistico, cuochi, camerieri ecc. Andrebbero indagate nel dettaglio le condizioni di lavoro, la tipologia contrattuale, le relazioni di potere informale che selezionano i grossisti di generi alimentari, l’origine dei capitali con cui le attività vengono aperte o trasformate. Certo che una delle conseguenze immediate di quanto accade è la difficile sopravvivenza di quelle attività commerciali dedicate al quotidiano dell’approvvigionamento alimentare dei residenti, così come dei luoghi di socialità informale di quartiere e – perché no ? – dei bar non rinnovati in fretta e furia in stile shabby o in rinominati wine-bar. Governare una trasformazione significa appunto ponderarne gli aspetti, regolamentarne e indirizzarne l’impeto, avere una prospettiva, immaginare un disegno di lungo termine. Compiti di chi amministra una grande e complessa area metropolitana.
Uno sguardo prospettico si manifesta, a quanto pare, nel settore dell’ospitalità per l’Homo Turisticus. Questi, secondo il manuale, cerca un’accoglienza asettica (pensiamo agli Ibis hotel o ai b&b tradizionali), tuttavia, a Napoli come altrove, negli ultimi tre anni, la comparsa del portale Airbnb ha agito su questo suo bisogno, trasformandolo e adattandolo. In città e provincia le offerte del sito (nato con l’intento di offrire un’ospitalità condivisa e rapidamente diventato uno strumento di creazione di profitti e reddito aggiuntivo) sono all’incirca un migliaio e spaziano dalle stanze in coabitazione fino a esclusive sistemazioni di lusso. Un’offerta che ha stimolato il sorgere di diverse forme di auto-imprenditorialità. Si tratta di imprese costituite da professionisti del settore e da lavoratori precari della conoscenza, con l’obiettivo di organizzare e mettere a sistema la ragnatela disordinata dell’offerta di accoglienza per quegli appartamenti sfitti o allocati in maniera tradizionale (fitti di lungo periodo destinati a nuclei familiari o studenti, studi di co-working claudicanti). Un esempio è l’attività di Boundless Housing, tra le prime imprese di allocazione turistica di nuovo tipo. Gestita in modo dinamico, efficace quanto economicamente aggressivo, ha iniziato da due appartamenti nei Quartieri Spagnoli arrivando a gestire più di cinquanta soluzioni abitative in città. Lavora on-line appoggiandosi ai principali portali di settore, ma anche off-line gestendo direttamente, attraverso il proprio sito, gli appartamenti messi a disposizione da una rete di piccoli proprietari di immobili.
Ecco, questa è la novità: proporre a questi ultimi una modalità di capitalizzare immediatamente la proprietà immobiliare attraverso il fitto di breve durata a turisti, soddisfacendo al tempo stesso la domanda di ospitalità flessibile, personalizzata, modulata dalle richieste del flusso turistico. BL offre due alternative: ai proprietari di case l’opportunità di non immobilizzare la rendita con contratti a lungo termine fiscalmente significativi o precarizzarla immettendola nel circuito dei fitti a nero con il rischio vederla svalutare o danneggiare; ai turisti di accedere a sistemazioni accoglienti, di rapida e certa accessibilità (logistica ed economica), collocate nel ventre cittadino e dotate dei servizi essenziali all’Homo Turisticus moderno.
Per entrare in rete, ogni appartamento deve essere ristrutturato e organizzato, quindi, con servizi igienici in numero adeguato alla potenzialità di ospitalità, un arredamento accogliente, servizi di intrattenimento. In più viene offerta una manutenzione e sorveglianza continua dello stato della proprietà. La maggior parte degli appartamenti insistono sulla zona del centro storico, dei Quartieri Spagnoli e di Chiaia.
Secondo gli operatori la ricaduta economica del fenomeno si manifesta sul territorio agendo sul rilancio dell’eterna “economia del vicolo”, in quanto gli affittuari temporanei vanno ad alimentare la ristorazione e la rete dei servizi. Si tratta sicuramente di uno sguardo attento alla prospettiva di lungo periodo e differente da un modello di gentrificazione “scolastica”. Il primo aspetto è relativo alla formazione di forza lavoro adeguatamente formata, lavoratori in grado offrire un servizio puntuale così come una gestione quotidiana degli immobili. Finora – dopo due anni di attività – la società ha stipulato sette contratti a tempo indeterminato per addetti al customer care, pulizie e manutenzione. Il secondo aspetto riguarda invece un modello di rigenerazione urbana in cui non si assiste all’acquisto e alla ristrutturazione di immobili da parte di società immobiliari elefantiache ma all’investimento di piccoli proprietari interessati non solo al profitto ma anche alla valorizzazione del territorio e all’incremento del flusso turistico; aspetto che risponde anche alla natura della proprietà immobiliare locale, caratterizzata da un esteso frazionamento. Tuttavia, sebbene in minor misura, una concentrazione della proprietà esiste e il fenomeno dell’affitto temporaneo alla lunga conviene a coloro che possiedono più appartamenti sottratti al mercato degli affitti permanenti, contribuendo anche all’innalzamento dei canoni relativi. In termini economici, inoltre, a ben vedere gli aspetti formali del business riescono a ostacolare il fenomeno del mercato degli affitti in nero migliorando lo stato delle abitazioni grazie alle ristrutturazioni, sebbene ci si possa chiedere come la nuova funzionalità degli immobili (divenuti in generale contenitori monofamiliari di ristrette dimensioni) possa rivolgersi in futuro a un mercato della casa segnato da una possibile diminuzione degli arrivi e dall’esaurirsi della bolla turistica attuale. Il ricorso al fitto di breve durata, infine, immette un ulteriore rischio, quello dello svuotamento di abitanti quotidiani in alcune zone della città generando uno spazio urbano a uso e consumo esclusivo dei turisti e degli operatori del settore, una sorta di “firenzizzazione” o altrimenti abbandono della vita quotidiana del centro cittadino.
La maggior parte dei clienti di Boundless è stata finora composta da cittadini esteri. L’aumento della presenza di stranieri certificata dall’abitare apre alla soddisfazione di un altro bisogno primario dell’Homo Turisticus, il parlare/comunicare. Il successo, anche se relativo, di Boundless è dovuto alla capacità di offrire servizi adeguati in più lingue, una dinamica che sembra invece carente nella struttura dell’industria turistica locale. Certo i menù plastificati delle trattorie sono provvisti di traduzioni (per lo più fornite dal google translator) ma, al di là della certificazione delle capacità linguistiche delle guide autorizzate, non esiste al momento nessun progetto di formazione che insista adeguatamente sulla professionalizzazione della forza lavoro (in tutte le mansioni). Anche la promozione territoriale verso l’estero preferisce affidarsi a neologismi di natura dialettale o storpiature folkloristiche, così da dar ragione a coloro che sostengono la tesi che Napoli basti a se stessa, che sia capace di avviare uno sviluppo strutturale soltanto raccogliendo i frutti di un’inclinazione e di un talento spontaneo ancorché diffuso.
La presenza dello sciame turistico sembra ancora non aver stimolato un’adeguata internazionalizzazione della comunicazione istituzionale. Le indicazioni stradali e soprattutto quelle relative ai mezzi di trasporto sono caratterizzate da un uso approssimativo e insufficiente dell’inglese (per non parlare di altre lingue). Sebbene in città esista uno degli atenei più prestigiosi e qualificati nello studio di lingue straniere (anche relative a mercati extraeuropei) come l’Orientale, la ricaduta territoriale è decisamente deficitaria in termini di competenze espresse nel settore specifico del turismo.
D’altra parte, così come la comunicazione linguistica anche lo spostamento all’interno della città – per turisti e cittadini – sembra affidato a un’improvvisazione permanente. Il metrò dell’arte – oltre a essere privo di un’adeguata infrastruttura linguistica – è afflitto da una sostanziale non funzionalità. A fronte della bellezza di alcune stazioni non corrisponde una decisa utilità funzionale, soprattutto a causa dei lunghi tempi di attesa (anche in ora di punta) nonché a un orario di apertura decisamente lontano dagli standard europei. Metrò che, tuttavia, resta, l’unico mezzo pubblico affidabile per percorrere determinate distanze all’interno del perimetro cittadino. Autobus e tram sono legati alla rarità delle corse e all’incertezza dei tempi di percorrenza, tanto da escludere le periferie così come altri potenziali luoghi turistici dal tocco taumaturgico del flusso turistico. Altri progetti, come le biciclette pubbliche, le auto condivise, ecc. sono scomparsi dopo essere stati rumorosamente annunziati e in parte sperimentati.
Insomma, ombre e luci si alternano in un panorama segnato, però, da un’improvvisazione strutturale e dall’assenza di una visione complessiva di città. Siamo in assenza, per esempio, di un progetto di trasformazione urbanistica che prenda in considerazione ampie porzioni di città a disposizione (il lungomare portuale, per esempio) e la costruzione di un’industria dei servizi in grado di generare un’economia funzionale allo sviluppo complessivo della città. Prospettive e proposte che seguiranno nei prossimi episodi.
(-ma/continua…)
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