“La cosa più assurda resta il problema del nome, che se io non mi opero e cambio sesso resta quello di battesimo, che non mi corrisponde assolutamente. Tutti mi scambiano per una donna, giro tranquillamente, poi capita che vado in un ufficio a fare un documento e lì casca l’asino. […] All’inizio l’impiegato ti dice: ‘Signora deve far venire il diretto interessato’. Io rispondo che l’interessato sono io, che sono io quello dei documenti e che sono un transessuale. Allora vedi che quello resta sconcertato prima, poi comincia a chiamare il collega e quello chiama l’altro ancora e alla fine c’è tutto l’ufficio lì che ti scruta. Questo può succedere in tutti quei posti dove devi esibire i documenti e dichiarare le tue generalità: anagrafe, dogana, ospedali e altro. Conosco delle trans che hanno deciso di operarsi solo per risolvere questo tipo di problema”. (da un’intervista tratta da Tra le rose e le viole, a cura di Porpora Marcasciano, 2002)
Alessia Cinquegrana è di Aversa, ha i capelli folti e un bel paio di occhi scuri. Nel 2014 è stata Miss Trans Italia. Da undici anni sta con un uomo. Domani Alessia si sposa. È la prima trans in Italia a farlo dopo aver ottenuto il cambio del nome senza operazione. Senza questa piccola clausola, si sarebbe trattato di un’unione civile, invece è un matrimonio a tutti gli effetti.
Per comprendere l’importanza di questa giornata – e del carico emotivo liberatorio, ma anche profondamente doloroso che porta in tutto il mondo transessuale – occorre fare un passo indietro. Mi faccio spiegare bene da Ileana Capurro, avvocatessa e attuale presidentessa di Atn, Associazione Trans Napoli che ha seguito anche la storia di Alessia: «La legge che riconosce a una persona trans il cambio di sesso è la 164 del 1982. Prima di allora era illegale, e manifestare tendenze o atteggiamenti non consoni al proprio genere era punito col carcere se non addirittura col manicomio. Con questa legge, mai cambiata, il giudice ha la possibilità di autorizzare il cambio nome, riconoscendo la transizione con operazione. Due recenti sentenze del 2015, della Corte Costituzionale e della Cassazione, hanno finalmente precisato la ratio della legge, ovvero la necessità d’individuare la volontà della persona. Ogni percorso è diverso. Prima di queste due sentenze, vigeva la “pratica del bisturi”».
Ovvero: o ti operi o non esisti. Nessuna possibilità di vie di mezzo, che invece è la condizione che caratterizza la maggior parte delle trans, soprattutto italiane. Questa divergenza tra identità percepita e agita e quella stabilita dall’anagrafe crea un limbo di totale sospensione della legalità e dei diritti fondamentali della persona. «Molte mi dicono – continua la Capurro – “da quando sono donna a tutti gli effetti, non vado più a votare”. C’è questo continuo disagio di doversi presentare in un modo ed essere trattate diversamente, di essere perennemente esposti al giudizio degli altri, nella maggior parte dei casi in un contesto trans-fobico».
Da qui l’importanza del cambio nome senza operazione. Nel caso di Alessia – preziosa la sua deliberata esposizione mediatica – la relazione medico-legale e psicologica precedente è stata fondamentale per comprendere la maturità e la consapevolezza del suo percorso e ottenere l’ok del magistrato. Per lei i tempi sono stati relativamente brevi perché vive in un piccolo comune. La Capurro fa notare come anche la pratica che porta all’operazione abbia dei tempi per niente snelli: «Sei-otto mesi per la transizione, secondo un protocollo della Federico II, al termine del quale ti viene diagnosticata una “disforia di genere”. Dopo, occorre passare ancora per il tribunale. Consideriamo che già una scelta del genere arriva dopo un lungo tempo di riflessione, tutta questa attesa, anche in termini emotivi, ha un costo. Senza parlare del fatto che per legge il percorso di transizione prevede un iter di assistenza psicologica che finisce con l’operazione e che quindi s’interrompe probabilmente proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno».
Ora i tribunali si stanno adeguando, anche se con tempi diversi. Conseguenza da non sottovalutare, questa sentenza permette anche alle persone che sono vicine a chi ha effettuato un percorso di transizione di vivere più serenamente i loro legami: relazioni che finalmente vengono riconosciute, anche da un punto di vista sociale e pubblico. Atn, che ha seguito e supportato Alessia e tante altre trans, agisce da oltre dieci anni sul territorio regionale, con l’aiuto di operatori legali e psicologi che a titolo volontario accompagnano le persone nel percorso di transizione, di assistenza legale anche per quanto riguarda lo sfruttamento della prostituzione, di accompagnamento fisico presso strutture sanitarie, oltre a uno sportello di socializzazione. Tutto questo l’Atn lo fa appoggiandosi presso una cooperativa privata che li ospita. Da quasi undici anni Loredana Rossi, fondatrice ed ex presidentessa di Atn, chiede al Comune – per ora senza risultati – una casa per l’accoglienza, un luogo stabile e non precario per le attività dell’associazione. Sperando che le “politiche per la parità dei soggetti Lgbt” non siano solo una promessa elettorale, oggi facciamo gli auguri ad Alessia e al suo compagno. Il pensiero va a tutte le trans che ancora vivono nel limbo. (francesca saturnino)
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