Incontro Marco, telefonicamente. Una chiacchierata per fare un po’ chiarezza sulla scena del by night napoletano e non, che dopo anni di intensa sperimentazione rischia di ritrarsi verso un appiattimento standardizzante. E sulle dinamiche che ne regolano la musica, anche, dal momento che l’ignoranza crea ristagno e non esiste nuovo se non si fa una ricerca nel “vecchio”. Basta fare un giro in rete per rendersi conto quanto l’attività di Marco Corvino (alias dj Corvino Traxx) nell’arco di trent’anni sia stata ricca e variegata. «Ho cominciato come fonico in alcune radio napoletane, poi ho avuto la fortuna di incrociare delle persone che erano nell’ambiente di Angels of Love, un progetto che nel 1991 era appena iniziato. Un gruppo di ragazzi con cui ho iniziato a fare serate fuori luogo per il mondo di quel periodo, rave, party illegali, per farmi conoscere e apprezzare musicalmente».
Dell’ambiente radiofonico, Marco parla come di una palestra professionale. Qualcosa sperimentato anche nei villaggi turistici, per “capire come farli muovere”. Dal ’91 al 2001 c’è il lungo percorso con gli Angels of Love. Per capire la portata del fenomeno, è utile partire da oggi, da ciò che ha messo in piedi il gruppo in quindici anni, diventando un marchio-icona per il mondo della vita notturna internazionale. Angels of love oggi è un’agenzia per grandi eventi, un gruppo di dj management, ma anche una linea di abbigliamento, un enorme showroom, un negozio-vetrina nel cuore dello shopping napoletano, un locale food&drink in apertura a Pozzuoli. Un vero impero, nato dal nulla. In mezzo ci sono stati quindici anni di serate, entrate con il passare degli anni nella mitologia del mondo delle discoteche. Migliaia di ingressi, code all’esterno dei locali, nomi sempre più grandi sui manifesti in giro per le capitali d’Europa. E quindi i rapporti con le star straniere, le presenze costanti nei templi della vita notturna – da Ibizia all’Australia, passando per Londra –, un percorso di produzione con l’etichetta SITE-L Records. Negli anni a cavallo del Duemlia, a Napoli, la musica da discoteca “a largo consumo” si identificava con il nome degli Angeli dell’amore. Attorno a loro, nel frattempo, un numero enorme di addetti ai lavori si faceva le ossa, e in molti casi, una carriera.
Lo stesso Corvino, in quegli anni, comincia a fare produzioni. Nel ’96 esce Primo su M.A.W. records, in cui compare con lo pseudonimo Corvino Traxx, utilizzato anche per le collaborazioni con i Masters At Work; nel ’97 Neapolis su etichetta Vinyl Peace, label canadese di proprietà di Dino e Terry. «Un giro di collaborazioni molto varie che mi hanno portato in giro per il mondo: Australia, Cina, America Latina…». Marco riflette sull’appiattimento della qualità musicale, sul fatto che si trovino in giro persone sempre meno preparate, «giovani che già si sentono grandi, e poi sul campo non sanno fare nulla. Oggi si va su un qualsiasi portale, si scarica la playlist, si va nel locale di appartenenza e si pensa di fare una cosa buona. Ma quel che manca è la forza e l’intelligenza per costruirsi un proprio stile…».
Rispetto agli studi musicali, le origini sono da ritrovare nel disco, inteso come elemento capace di dare identità al ruolo di dj. «Vengo dalla scuola del vinile: porto avanti il mio discorso di vinile a vita, grazie a una tecnica affinata nel tempo. Il disk jockey deve lavorare con i vinili: c’è tutta la differenza che intercorre tra il mettersi alla guida di una macchina con cambio automatico e il non aver mai controllato il cambio manuale». Niente contro i software commerciali come Tractor, vale a dire il mondo intero musicale in un computer, «purché si abbia la capacità di fare una propria ricerca: se si usano le tecnologie, bisogna fare un lavoro che abbia un’identità, in modo da poter dire: sto su un sound che ho fatto mio, non passo banalmente musica». Fondamentale, a quel punto, diventa la ricerca. «Quando andavo a comprare i vinili, c’era come un’educazione, una scuola di vita. Oggi la ricerca avviene su internet, ed è un casino. Alle spalle ho anche dodici anni di negozi di dischi. Quando è nato Napster è successo il finimondo, ha segnato un cambio di rotta per tutto. Negli anni Novanta studiavo le più varie influenze musicali per capire su cosa edificare le radici del mio sound, con tutto il background che c’è dietro. Se non lo studi, non ci arrivi».
Quanto al discorso organizzativo, con un po’ di amaro in bocca, Corvino rivela un cambiamento abbastanza significativo che porta all’appiattimento di cui sopra. «Molti organizzatori si sono inventati questo modo di chiamarsi, “pr”, senza sapere bene quale sia il proprio ruolo: mi chiami e non sai nemmeno cosa metto. Questo fa da contraltare al credo di un mio collega italiano secondo cui il dj è il miglior pr di se stesso. Non sei tu a dover portare tu le persone nel locale: sono loro a dover venire perché ci sei tu». Le serate rappresentano così l’evento in cui misurarsi con se stesso e mostrare agli altri le proprie scoperte. Eppure, nel tempo l’ascolto è diventato sempre meno attento. «Vado nei locali: negli anni passati, quanto mettevo attecchiva, lo cantavano all’uscita. Adesso è un po’ diverso. Succede di meno, soprattutto nell’universo della tecno». La chiusa è un bilancio sull’universo professionale davvero liquido di cui si compone il panorama del djing: il novantacinque per cento lo fa nel tempo libero. «Come dire, quasi tutti per vivere fanno qualcosa di diverso e per hobby fanno i dj. Solo il cinque per cento restante fa il dj di mestiere. Io vivo di questo. Sono uno fortunato. Lo faccio veramente». (antonio mastrogiacomo)
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