Undici anni fa a Napoli nasceva Nameless Sound System: un progetto contro-culturale di musica tekno. Sì, proprio con la k, quel sound estremo che va oltre la techno mainstream, quel livello psico-acustico che va dai centosessanta ai centottanta Bpm (battiti per minuto). La musica tekno non si suona nei club come la sua sorella commerciale, la techno, che arriva solo ai centotrenta BPM. Si ascolta in grandi spazi organizzati per l’occasione. È una ricerca sonora che prende le viscere di chi l’ascolta, entra dentro, ti infiamma e ti fa ballare anche per due giorni di fila.
Incontrare i componenti di NSS non è stato facile. Troppe volte il mondo dei free party è stato interpretato con una accozzaglia di luoghi comuni e immagini fisse ben intessute dai media. Ci sediamo e cominciamo a chiacchierare. Si scioglie la tensione. Le tribe sono gruppi autofinanziati che organizzano questi eventi. Come in una tribù, ognuno ha il suo ruolo e la sua specializzazione, però tutti devono essere intercambiabili e saper fare un po’ di tutto, perché gli eventi possono durare dai due ai tre giorni: bisogna suonare, pensare al bar, alla parte scenica e avere sempre tutto sotto controllo. Non vale la legge del singolo elemento ma del gruppo e ogni cosa è decisa e creata insieme. All’inizio del loro percorso, raccontano, anche i familiari li hanno aiutati, anche se non sempre capivano o condividevano il loro modo di fare musica. Ora sono cresciuti e si sentono anche un po’ più soli. «Se tu crei un evento del genere gratuitamente e la gente viene senza la minima cognizione di quello che hai preparato e se ne va lasciandoti solo a smontare le casse e tutte le strutture, ti cadono le braccia», spiega uno dei ragazzi.
In effetti, tutto quel che c’è dietro l’organizzazione di un free party non lo si conosce ma può durare mesi. Innanzitutto si deve trovare un posto. Si individua una struttura abbandonata, fuori dal centro città, con uno spiazzo per parcheggiare e che però non sia ardua da raggiungere. Si va a fare un sopralluogo, ci si accerta delle condizioni dello stabile e lo si mette in sicurezza. «Non facciamo cose arrangiate», raccontano.
I raduni dei Nameless fanno numeri da capogiro e hanno riscontri positivi anche all’estero. Eppure non usano i social per informare la gente ma si affidano al passaparola o ai flyer vecchia maniera. Occupare temporaneamente uno spazio può risultare ancora più difficile: in pochi giorni deve essere ripulito e allestito. Nelle fabbriche o nei capannoni abbandonati si può trovare di tutto: eternit, rifiuti industriali. Raccontano di quella volta in Belgio in cui hanno suonato in un villaggio abbandonato vicino a un ex centrale nucleare. Poi in Polonia, in un festival internazionale, dove hanno montato gli impianti in una base segreta sovietica dismessa, in hangar situati su delle collinettedove ogni gruppo aveva montato le sue casse e il suo impianto luci. Per organizzare feste all’estero ci vuole ancora più collaborazione: un gemellaggio con una tribe locale è d’obbligo. Solo il generatore per questi eventi deve essere di trenta kilowatt, non contando che l’attrezzatura potrebbe danneggiarsi nel trasporto. In quelle ore tutto ciò che è stato programmato per mesi deve essere messo in pratica. Può succedere anche che la polizia arrivi e sgomberi. E allora deve esistere un piano B, per forza.
Quando tutto prende vita, comincia un percorso. Non è solo un momento per ballare ma una lenta trance. I suoni ti accompagnano in una dimensione parallela. Battiti, movimenti, musica, luci. Una traccia tekno può contenere una miscela di vari generi e il dj la interpreta a proprio modo. I Nameless utilizzano strumenti molto diversi per creare la loro musica: sintetizzatori, computer, drum machine e vinili. Ne hanno prodotto uno: Trinacria Vs Nameless by Hesed, Wosh, Paska che è stato per circa due mesi al secondo posto per vendite su Toolboxrecords (un sito dove è possibile acquistare cd e vinili online). Lo hanno creato in collaborazione con un produttore italiano emigrato in Germania. «Il vinile è uno strumento utile per il dj e noi volevamo dare il nostro contributo», spiegano.
La line up ha una sua struttura ben chiara. Una traccia mandata a mezzanotte non ha lo stesso significato di quella delle sette del mattino. La musica racconta una storia: ha il suo prologo e la sua fine. Quest’ultima viene vissuta come una decompressione, un lento ritorno all’origine. Il sound si deve percepire in maniera profonda. Le frequenze devono invaderti il corpo.
Alle feste dei Nameless non sono ammesse eroina, ketamina (per endovena) e crack. «Noi non siamo assolutamente proibizionisti e di certo ci sono alcune sostanze che amplificano le percezioni, ma queste droghe così pesanti non si sposano con la nostra idea di sound», raccontano. «Abbiamo collaborato con associazioni che fanno percorsi di informazione come Nautilus e Consumo Critico, perché le persone dovrebbero essere molto più coscienti di quello che assumono».
Ognuno dei componenti ha una sua occupazione, c’è chi fa il commerciante, chi studia e chi lavora in un ufficio. Tutti hanno una routine da rispettare però la musica è una passione che li spinge a rischiare. Chi organizza un free party non ci guadagna, anzi qualche volta ci perde. Occupa una zona, quindi è soggetto a condanne e sgomberi da parte della polizia. «Abbiamo forti motivazioni. Vogliamo comunicare il nostro sound. La soddisfazione di vedere le espressioni sui volti delle persone mentre si divertono e stanno bene è quello che ci fa andare avanti».
Ogni membro di Nameless ha impresso sulla propria pelle il tatuaggio con il simbolo del gruppo. Un sentimento di appartenenza che li lega l’uno all’altro anche qualora non dovessero più collaborare. Oggi quello che più li preoccupa è dare continuità al loro progetto, la possibilità di un ricambio generazionale. «Non c’è più rispetto per le tribe. Le feste sono diventate un business tra pusher. Per far parte dei Nameless non devi solo saper suonare, devi essere pratico e fare la cosiddetta gavetta», spiegano. I Nameless suonano raramente nei locali. «La tekno è una versione underground della techno che sfugge a qualsiasi tipo di struttura o sistema musicale». Nessuna casa discografica, nessuna major. Non creano un prodotto ma un viaggio in BPM, una catarsi tekno. (marzia quitadamo)
PUNTATE PRECEDENTI:
Disco devil. Un’inchiesta a puntate sul mondo delle dancefloor
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Ottimo articolo,senza veganismi di tendenza o saccenza etica da chi si discosta da un fervente e tribale sottosuolo culturale.
Ben scritto e pulsante della sana curiosità giornalistica,non esistono sottoculture ma solo diversità da scoprire