Non si tratta di sindrome nimby. Sia perché non riguarda un nuovo impianto, sia perché il “giardino” è ormai stato distrutto. Si tratta di una discarica alla quale nel 2014 per le denunce, gli esposti e le manifestazioni della popolazione è stata revocata l’autorizzazione “per sopravvenuta valutazione dell’eccessivo sbilanciamento tra l’interesse alla salute e all’ambiente e quello alla libertà imprenditoriale”. La revoca ha provocato il sequestro, la chiusura, l’obbligo di bonifica e messa in sicurezza dell’impianto, e l’avvio di due processi penali, uno dei quali “per disastro ambientale” ancora in corso.
Al momento di procedere per la bonifica e la messa in sicurezza dell’impianto, le istituzioni comunali, provinciali e regionali preposte, le stesse che a suo tempo avrebbero dovuto sorvegliare sul versamento e la congruità delle garanzie finanziarie, si accorgono che queste, pur obbligatorie, non erano mai state depositate dal gestore e pertanto le spese di bonifica e messa in sicurezza sarebbero state a carico di Regione e Comune. Allora, con finanziamenti pubblici regionali, il Comune mette a disposizione 2,4 milioni di euro, e la Regione ne stanzia altri 7.
Ma i milioni non sono necessari perché, durante la riunione del 23 agosto 2018 presso il Dipartimento mobilità, qualità urbana, opere pubbliche, ecologia e paesaggio della Regione, convocata per “la definizione e condivisione di un cronoprogramma di interventi da porre in essere presso la discarica”, una società a responsabilità limitata (srl) si offre per eseguire a proprie spese i lavori di bonifica e messa in sicurezza. Si tratta della stessa società che il 7 agosto precedente ha acquisito l’impianto dal vecchio proprietario.
Invece uno dei due processi penali, il processo per le puzze e relative conseguenze ambientali e sanitarie avviato nel 2014 in seguito alle segnalazioni e agli esposti dei cittadini, si concluderà solo nell’aprile 2022, con sentenza della Cassazione: il gestore e altri imputati precedentemente condannati dal tribunale regionale sono assolti per insufficienza di prove e quindi non devono pagare le spese di bonifica e messa in sicurezza. Intanto il processo penale per disastro ambientale, avviato in seguito al sequestro, non si è ancora concluso.
La storia continua, il nuovo proprietario avanza allarmanti richieste, i cittadini si mobilitano.
Si sta parlando della regione Puglia, della provincia di Taranto, e del sindaco di Taranto che è anche presidente della provincia. La discarica è la cosiddetta “ex Vergine”, ricadente nel territorio del comune di Lizzano, isola amministrativa di Taranto ma con una propria amministrazione comunale e un proprio sindaco. La società a responsabilità limitata è la Lutum Srl di Massafra (Ta), facente parte della Cisa Spa sempre di Massafra, una delle più importanti imprese meridionali da un ventennio impegnata nel campo dei rifiuti.
Il 27 ottobre 2022 il nuovo proprietario ha inviato a comune e provincia di Taranto e alla regione Puglia la richiesta paventata da cittadini e associazioni: “rilascio autorizzazione integrata ambientale per riattivazione di discarica di rifiuti non pericolosi”. Il 15 giugno 2023 la Provincia comunica “per conoscenza” anche ai tre sindaci dei comuni interessati (Lizzano, Fragagnano e Monteparano) la richiesta della Lutum Srl. La data per la conferenza dei servizi definitiva è fissata per il 14 luglio 2023 e le osservazioni devono essere presentate entro le 24 ore successive.
La mobilitazione per respingere la richiesta di riattivazione della discarica è in atto dal 15 giugno 2023, vi aderiscono cittadini e associazioni, e la maggior parte dei sindaci della parte orientale della provincia tarantina, impegnati non solo a conquistare le bandiere blu che la costa da loro amministrata merita tutte, ma anche a salvaguardare nell’entroterra i cittadini dei relativi comuni da antiche e nuove minacce alla salute e all’ambiente. Consigli comunali straordinari sono convocati in questi giorni con apposito ordine del giorno, mentre sindaci e associazioni, con in testa il comitato AttivaLizzano, hanno formato un coordinamento per redigere in punta di diritto il documento e le varie osservazioni da contrapporre alla richiesta della Lutum.
Alle continue e trasversali sollecitazioni di consiglieri e rappresentanti di partito, non hanno mai risposto, e neppure ricevuto i comitati, né il presidente della Regione e neppure il presidente della Provincia che è anche sindaco di Taranto nella cui giurisdizione ricade l’isola amministrativa di Lizzano. Così che a oggi si ignorano del tutto i loro pareri riguardo alla richiesta della Lutum. Come la richiesta del raddoppio in verticale avanzata per la discarica di Grottaglie e respinta nel 2019 dal Consiglio di Stato, anche questa per la riattivazione della discarica di Lizzano si presenta abnorme e pericolosa. Infatti, non solo la richiesta dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) si basa su un documento (la Valutazione integrata ambientale) ormai scaduto, ma non sono nemmeno terminati, per ammissione della stessa Lutum, i lavori di bonifica e messa in sicurezza indispensabili perché possa essere avanzata qualunque richiesta.
Inoltre un ulteriore notevole ampliamento, previsto nella suddetta richiesta, “avvicinerebbe” la discarica alle abitazioni dei tre comuni interessati, comprometterebbe le piccole imprese agricole esistenti, comporterebbe un enorme consumo di acqua in una zona che già di per sé ne è carente, moltiplicherebbe in modo allarmante il passaggio dei camion conferenti i rifiuti, e appesantirebbe ulteriormente a livello sanitario e ambientale un’area come quella jonica già gravata dalla presenza di numerosi impianti di trattamento e smaltimento rifiuti.
Cittadini, comitati e sindaci sono mobilitati per evitare questo ennesimo scempio ambientale con conseguente pericolo sanitario. Essi hanno ben recepito l’importanza sia del principio di precauzione che del “fattore di pressione”, lo strumento legislativo che impedisce l’apertura di nuove discariche e l’ampliamento o sopralzo di quelle esistenti in zone già ambientalmente stressate. E su di essi basano la loro ostinata e tenace resistenza di fronte all’inerzia di Regione e Provincia e in mancanza di una legge nazionale che regoli la movimentazione dei rifiuti speciali. Dell’ultima ora è infine la notizia che la Lutum non sarebbe inserita nel piano regionale rifiuti speciali 2022, ma in quello di rifiuti urbani 2021. (etta ragusa)
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