In vista dell’appuntamento di sabato 25 gennaio a Piano Terra – Contesto Urbano: teorie e pratiche per decostruire il modello Milano – ecco alcuni appunti che anticipano le riflessioni che ci hanno spinto a organizzare questa giornata di incontro tra pratiche e intelligenza collettiva.
In una intervista del giugno 2016 (non a caso intitolata Ridare il suo significato rivoluzionario al diritto alla città), il teorico urbanista anarchico Jean-Pierre Garnier individua come momento caratterizzante nella storia dello sviluppo urbano e del filone di pensiero nato da Henri Lefebvre la salita al potere di Giscard d’Estaing: “Da quel momento in poi – dice – il diritto alla città ha cominciato a comparire nei piani regolatori, nelle ricerche di urbanistica: in breve, si trattava del diritto a partecipare alla elaborazione dei piani regolatori”. Ma, ci ricorda sempre Garnier, Lefebvre era contrario: “Non adopero mai il termine partecipazione, adopero il termine intervento delle classi popolari, perché quando si partecipa a qualcosa è come prendere parte a uno spettacolo teatrale…” [1].
Queste parole potrebbero essere applicate, più di trent’anni dopo, al contesto della Milano presunta Città-Stato e dell’ideologia del place-to-be. Ma ci sono alcuni aspetti in più che, a partire dall’utile promemoria dei due pensatori francesi, hanno mosso la nostra inquietudine circa il senso e la direzione che i movimenti sociali, che in qualche modo vogliono definirsi ancora rivoluzionari o comunque appartenenti a quella storia politica, stanno assumendo oggi nella capitale del tecno-ottimismo e dell’iper-sviluppismo hi-tech che sembra non conoscere ostacoli in termini di consenso ed egemonia culturale. Come si configura, a livello di accesso e disuguaglianza sociale, questa crescita? Ma soprattutto quali sono le sue caratteristiche salienti nel panorama nazionale o i punti di contatto che troviamo con altri sistemi urbani e, speriamo, con le rivolte che li stanno sconquassando?
La Milano del tempo attuale si presenta a metà tra lo spettacolo e la sorveglianza. La struttura dei rapporti sociali riguarda sempre più il consolidamento degli aspetti smart del vivere urbano: l’eliminazione di qualsiasi corpo intermedio, il rapporto diretto tra utente e servizio; appunto, utente – o consumatore o turista: il concetto di abitante, così scontato quanto radicale oggi, è assente o sostituito. Il sindaco-manager individua le aziende che possono offrire il servizio migliore, unicamente secondo criteri di concorrenza e senza tenere conto di questioni ormai cruciali come il diritto alla riservatezza, l’utilizzo dei dati raccolti, la loro commercializzazione e il bisogno sociale che genere una data domanda.
Una logica di mercato che trasforma qualunque livello della vita sociale in una transazione commerciale con implicita cessione di informazioni: così avviene, per esempio, che la casa cessi di essere un diritto ma un servizio offerto da una piattaforma privata online (Airbnb); nella sfera dei rapporti lavorativi che sia nascosto il caporale e il caporeparto dietro un algoritmo (gig economy); che il sistema di mobilità diventi sempre più integrato con servizi di sharing privati (Ofo). E così via.
Soprattutto, la scomparsa di qualsiasi meccanismo e canale di intermediazione elimina dai radar il costo sociale e la forza-lavoro che sostiene la smart city e il tecno-ottimismo meneghino: dagli esclusi “tradizionali” – oggi in gran parte manodopera di origine straniera – al cosiddetto precariato cognitivo, fino ai diversi livelli del fu ceto medio che proprio nella Milano locomotiva economica nazionale esprime appieno la sua funzione storica, individuata da un sociologo anticonformista come Charles Wright Mills, nell’occuparsi “di simboli e di persone, coordinano, registrano, distribuiscono” [2].
C’è poi un altro tipo di esclusione, meno considerato, ma che in una città dove i servizi sono garantiti solo attraverso determinate app – e l’accettazione delle loro normative sull’uso dei dati – deve essere ben presente: quello prodotto dal digital divide, sempre più marcato in un territorio a crescente disuguaglianza e dove la densità di infrastrutturazione tecnologica è inversamente proporzionale al valore immobiliare dell’area, a sua volta connessa al reddito dei suoi abitanti.
Ma, risponde Foucault a Debord, “questa non è la società dello spettacolo ma del controllo” [3]: qui il nuovo paradigma di potere, per come lo intendeva il filosofo francese, è basato sulle macchine che colonizzano direttamente i cervelli (nei sistemi della comunicazione e nelle reti informatiche) e i corpi (nei sistemi di monitoraggio delle attività), verso uno stato sempre più grave di alienazione e, aggiungiamo noi, espropriazione. Di che cosa? Sono tre a nostro avviso le conseguenze centrali del modello Milano:
● l’esproprio del potere decisionale: se tutto è gestito da app commerciali e tramite servizi privati, se la governance politica fonda sempre più il suo linguaggio su quello tecnocratico che oggi si esprime nella produzione e nella narrazione dei dati, allora su questioni centrali – sia per il presunto primato meneghino, sia per il suo smontaggio – come la qualità dell’aria e il livello di tossicità si richiede ai cittadini-utenti di accettare il monitoraggio selettivo dei veleni stabilito da chi governa il territorio. È emblematica da questo punto di vista la recente polemica che ci ha visto protagonisti con il comune di Milano [4]. Collegato a ciò, il più vecchio principio autoritario della sospensione della democrazia locale su progetti urbanistici e infrastrutturali considerati come “prioritari”;
● l’affermazione del “capitalismo della sorveglianza” [5] dove le vecchie architetture e culture del controllo, così ben descritte nelle loro estreme conseguenze dal racconto di Philip K. Dick, Rapporto di minoranza, già sperimentate nel laboratorio della New York di Rudy Giuliani [6], si incontrano con le nuove tecnologie di quella che Jeff Halper ha definito “industria della securitizzazione” [7] e che nella Milano democratica hanno nell’ultimo provvedimento di Daspo urbano il loro più recente strumento normativo. I principi di controllo, profilazione, prevenzione – o meglio: punizione e repressione preventiva – sottesi al modello del Daspo esprimono appieno l’accesso su base reddituale e, soprattutto, etnica che caratterizzano il tecno-ottimismo milanese: questa città non è per tutti;
● infine, connessa dalle precedenti due, la questione incompiuta ma presente come una minaccia incombente, del social score che ha nel modello cinese la sua avanguardia ma che è presente anche in Occidente attraverso la sua applicazione aziendale e in parte finanziaria, come sottinteso nella concessione o meno del mutuo e, in sempre più casi, dell’affitto.
Cosa significa allora oggi battersi per il diritto alla città? Che gli esclusi intervengano direttamente nel decidere la forma dello spazio urbano e dei meccanismi di riproduzione della vita sociale, riappropriandosi di quelle parti imprescindibili di sé che sono le informazioni che produciamo, strappando tutti i livelli della vita urbana dalla logica di mercato e dal controllo securitario, il vero “invisibile ovunque” del nostro tempo. Parte imprescindibile di questo immenso sforzo è un lavoro puntuale di controinformazione, che oggi significa soprattutto rifiutare il ricatto tecnocratico su cui si fonda il monopolio nella produzione di dati, tornando ad affermare noi una narrazione degli abitanti che nelle città vivono, lavorano, studiano, si curano, vanno e portano i figli a scuola, giocano, leggono, passano il tempo libero, in ultima istanza decidono liberamente cosa fare della propria vita assieme agli altri. (laboratorio politico offtopic – milano)
[1] H. Lefebvre, La produzione dello spazio, p. 56, PGreco, 2018 (ed. originale 1974).
[2] A. Bagnasco, La questione del ceto medio. Un racconto del cambiamento sociale, p. 30, il Mulino, 2016.
[3] M. Foucault, Sorvegliare e punire, p. 212, Einaudi, 1976.
[4] Qualità dell’aria: abbiamo letto i dati reali https://www.offtopiclab.org/
[5] S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luis University Press, 2019.
[7] J. Halper, La guerra contro il popolo, Epoké, 2017.
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