Quando ho incontrato alcuni degli ambulanti di Porta Nolana il cielo non aspettava che di esplodere in una forte pioggia. L’aria era umida e appiccicosa. Il grigio del marmo incastonato nelle due torri si confondeva con il colore delle nuvole. Erano le undici e gli ambulanti cominciavano a mettere via i loro banchi raccogliendo le merci predisposte poche ore prima. «Troppo mal tempo», commentavano tra loro. Il mercato era mezzo vuoto a causa del tempo incerto ma di solito è molto popolato. «Vedi là – mi dice Peppe, uno dei portavoce degli ambulanti, indicando davanti a sé –, la sera si riempie di bottiglie e di monnezza, la mattina puliamo a nostre spese e incominciamo a montare i banchi. Noi facevamo il mercato a piazza Leone e prima ancora a piazza Mancini, ma ci hanno sgomberato e ora vogliono spostarci anche da qui».
La situazione di questi ambulanti sembra davvero un pellegrinaggio verso una meta illusoria. Nel 2009 la giunta Iervolino, con un provvedimento provvisorio, aveva creato una zona mercatale a ridosso di Porta Capuana, in piazza Giovanni Leone. A ottobre del 2014 i vigili urbani hanno sgomberato la zona, impedendo ai centocinquanta ambulanti di montare i propri banchi. L’area era stata dichiarata dalla Protezione civile punto di raccolta in caso di emergenza e i proprietari del parcheggio situato al di sotto della piazza avevano denunciato il blocco delle uscite da parte degli ambulanti. «Ci hanno sgomberato all’improvviso. Sapevamo che era una cosa provvisoria, ma una zona dove c’è un parcheggio può essere individuata come punto di raccolta in caso di disgrazia? Se non sbaglio la terra, se arriva un terremoto, si spacca in due… se sotto è vuoto, non è peggio?».
Da piazza Leone gli ambulanti si sono spostati a Porta Nolana. Dopo qualche mese la seconda municipalità ha richiesto un bando sperimentale per regolarizzare la loro situazione. Uscito nel settembre 2015, questo bando prevede la creazione di una “fiera giornaliera di settore non alimentare” nelle aree adiacenti Porta Nolana, per la durata di dodici mesi.
«Una beffa», dicono tutti a gran voce. In effetti, la documentazione prevista dall’amministrazione comunale, le cui carte Peppe va a prendere e mi porta a vedere, sono abbastanza complicate e richiedono non solo la licenza, il codice fiscale e la partita Iva ma anche vari tipi di esperienza mercatale che, come mi spiega, non tutti hanno. «Ho fatto dei calcoli e noi come comunità – perché è questo che siamo – abbiamo circa quattro punti in graduatoria, ma se arriva uno che ne ha sei ci toglie il posto. Noi vogliamo tutti i posti del bando perché siamo una cosa sola, aspettavamo una soluzione da dieci anni, ci abbiamo creduto, volevamo regolarizzarci», continua.
Il bando del comune prevede l’assegnazione di novantotto posteggi e quindi le probabilità di dare un posto a tutti gli ex ambulanti di piazza Leone non sono certe. In una conversazione telefonica con lo staff dell’assessorato alle attività produttive il referente mi spiega che la soluzione temporanea è un modo per dare il tempo al comune di stabilire un piano più ampio e stabile, e intanto di far pagare agli ambulanti l’occupazione del suolo pubblico. «Noi siamo interessati a istituzionalizzare il loro lavoro ma abbiamo bisogno di tempo. A piazza Leone la situazione era sfuggita di mano. Per cento posteggi risultavano centocinquanta ambulanti, perlopiù abusivi. Il comune, su suggerimento di altre municipalità, ha indetto altri bandi, ma nessuno di loro ha partecipato», spiega il referente.
La piazza si sta svuotando. Il ragazzo del banco delle scarpe, dove ci eravamo messi a parlare, sta mettendo via la sua merce. Il signore più anziano del banco dei completi da uomo, che poco prima oscillavano al vento, ha già imballato tutto nelle scatole di cartone. «Non so far altro che vendere, la mia famiglia lo fa da generazioni. Con gli altri avevamo pensato di comprare ombrelloni uguali e di stabilire un servizio d’ordine ma ci vogliono molti soldi e non siamo pronti a farlo senza garanzie a lungo termine», dice ancora Peppe. «Io sono di questa zona, abito qui. Prima era tutto diverso, c’erano i grossisti di scarpe e abiti, ora nei negozi ci sono i cinesi. La gente non compra più le scarpe a cinquanta euro, perché si trovano a dieci».
Ci avviciniamo al suo banco. Oggi è spoglio e poco fornito. «Non mi andava di montare tutto. Il tempo è quello che è, non ne valeva la pena». Le cinture che vende, dalle borchiate fino a quelle in finta pelle, sono sistemate alla rinfusa in due grandi ceste.«Tutto a poco prezzo, qui tutto è a buon mercato. Una volta i prezzi erano buoni ma la roba era diversa, di qualità».
Ora è il momento di andare via, la pioggia si fa sempre più fitta e la merce potrebbe bagnarsi. Peppe mi dà il suo numero di telefono con la promessa di risentirci con calma. «Un mese non basterebbe per spiegarti cosa stiamo passando». (marzia quitadamo)
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