Una controversia tra l’impresa che gestiva quattro McDonald’s e la casa-madre. I locali chiudono, chi ci va di mezzo sono centododici dipendenti, che però non chiedono la mobilità. Vogliono essere riassunti.
Dei centododici dipendenti “McDonald’s” rimasti improvvisamente senza lavoro dal 22 luglio, qualcuno ha fatto colloqui per lavorare al ristorante “Farinella” – ora “Bluestone” – di proprietà della stessa famiglia che aveva in franchising i punti vendita chiusi. Qualcun altro ha provato alla catena “Fratelli La Bufala”, gli altri fanno qualche lavoretto in nero se possono: «C’è chi fa il pittore, chi il muratore, chi la baby-sitter, chi è completamente depresso – racconta Antonio –. In tutti questi mesi però chi non è scesa in campo è la casa-madre, che non si è mossa per tutelare i suoi dipendenti». I lavoratori sono in realtà dipendenti della ditta del franchising, ma la maggior parte di loro aveva sposato in pieno la logica aziendale della McDonald’s, che però finora non è stata così materna.
«Lavoro per loro da tredici anni – spiega Luciana – e sono arrivata a ricoprire la posizione di responsabile di turno. Abbiamo formato non pochi dipendenti e alcuni attuali dirigenti dei loro ristoranti a gestione diretta. Ma l’unico colloquio di lavoro che ho ottenuto finora dalla casa-madre è stato due giorni fa, quando mi hanno proposto una posizione da crew, il livello più basso. La gavettta l’ho già fatta, e non ho alcuna intenzione di tornare indietro. È vero che c’era mobbing e pressioni dal manager incaricato della gestione. E milleduecento euro al mese non sono molti. Ma c’era il contratto regolare, i contributi, e per Napoli non è affatto male. E poi eravamo a un livello in cui potevamo gestirci la situazione da soli. Rivoglio il mio lavoro».
I De Angelis, imprenditori nel settore della ristorazione, aprono il primo Mc Donald’s a Napoli in via Sanfelice nel 1991, proponendosi come “licenziatari di sviluppo” della multinazionale degli hamburger in Campania. Ma dopo qualche anno la casa-madre comincia ad aprire in città dei negozi a gestione diretta, con spese più basse. I De Angelis li accusano di concorrenza sleale, dicono di aver provato a uscire dall’affare, e che la McDonald’s non gliel’ha permesso, portandoli al fallimento per poi ricomprare i ristoranti a prezzi stracciati, come già avvenuto altrove. «I De Angelis – dicono invece i dipendenti – promisero alla McDo-nald’s che avreb-bero aperto dieci locali in dieci anni, ma così non è stato, e allora la ditta ha deciso di aprire i propri ristoranti a gestione diretta. La società per cui lavoravamo non era affatto in fallimento. Il guadagno medio di un ristorante era di quaranta, cinquantamila euro a settimana, senza contare i picchi festivi. È vero che per alcuni locali pagavano un affitto mensile anche di ventimila euro. Ma l’azienda era sana. Ci occupavamo noi dei controlli qualità, funzionava tutto perfettamente. Gli incassi non erano più quelli di una volta, perciò hanno dichiarato fallimento, dirottando i guadagni verso altri locali come il Farinella», di proprietà del cognato del titolare. Così il 22 luglio nei locali del Vomero, San Felice, piazza Dante e Pompei arrivano gli ufficiali giudiziari che comunicano ai dipendenti la chiusura.
«Siamo in attesa da tre mesi di essere contattati dalla McDonald’s – dice Lucio –. È uno stato snervante. Ogni tanto chiama qualche amico o parente e chiede: allora? Non so più che rispondere. Sembra come quando una donna si sposa e dopo un po’ i conoscenti cominciano a chiedergli in continuazione se è uscita incinta. Finora non abbiamo chiesto al tribunale di essere licenziati, cosa che ci avrebbe permesso di prendere almeno la mobilità, perché vogliamo capire se c’è ancora la possibilità di essere riassunti. Ma sono tre mesi che non prendiamo lo stipendio. Io ho moglie e due figli piccoli, con mutuo da pagare. Ho comprato casa e mi sono sposato dopo che mi hanno fatto il contratto a tempo indeterminato». I sindacati? «Tutti comprati. Ci hanno pure rimproverato perché abbiamo preso l’iniziativa di andare in tribunale a vedere la situazione». E i De Angelis? «Dopo dieci anni nemmeno una telefonata».
L’unico che sembrava essere riuscito a mettere in piedi una trattativa con la casa-madre era l’assessore Nugnes. A settembre organizzò un primo incontro in cui intervennero cinque rappresentanti della McDonald’s. Ma dopo poco, fortuna delle fortune, Nugnes è stato arrestato per i fatti di Pianura. Da pochi giorni è stata pubblicata l’asta per la cessione dell’attività dei negozi chiusi. «Finora la McDonald’s non si è mostrata interessata ad acquisirli – continua Lucio –, ma non si sa mai. Intanto hanno aperto un ristorante a gestione diretta a Teverola, in provincia di Caserta, dove ci hanno proposto l’assunzione come crew. E poi c’è un punto vendita di prossima apertura a Corso Umberto, più quelli affidati ad altri gestori, di cui alcuni enormi come il Mc-drive di Villaricca. Di tutti i licenziati, in fondo siamo solo cinquanta a tempo indeterminato. La McDonald’s assume in continuazione, potrebbe assumere noi che siamo già formati e ai più giovani fare contratti di formazione». «Ci hanno chiamati tutti a Teverola per scoraggiarci. O per monitorare chi era davvero disponibile», ipotizza Antonio. «Abbiamo sbagliato, dovevamo fare una rivolta, e subito – sostiene Luciana –. Siamo rimasti buoni con la speranza di essere riassunti, ma se non è così metteremo in piazza tutti i dettagli di una gestione che conosciamo bene». (viola sarnelli)
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