Il 26 dicembre è morto Gilbert Naccache, intellettuale, militante di sinistra ed ex prigioniero politico, che ha sostenuto la rivoluzione tunisina del 2010-2011 e ha partecipato con passione al percorso politico che ne è seguito. Nato a Tunisi ottantuno anni fa da una famiglia di ebrei, Naccache è stato uno dei principali rappresentanti del movimento di estrema sinistra Perspectives Tunisiennes, che negli anni Sessanta e Settanta si è opposto alle politiche di Habib Bourghiba tenendo insieme studenti e classi popolari. Costretto a scontare dieci anni di prigione, in carcere Gilbert scrisse il suo libro forse più famoso, Cristal, dal nome dei pacchetti di sigarette su cui scriveva le ragioni della sua militanza nel partito comunista tunisino. In virtù di questo suo passato, Naccache è stato uno dei primi a testimoniare davanti alla Commissione per la verità e la dignità, che rappresenta uno dei più importanti lasciti materiali e simbolici della “rivoluzione della dignità”, come i tunisini chiamano i sollevamenti che hanno portato alla caduta del regime di Ben Ali il 14 gennaio 2011. Istituita nel 2014 – in seguito alla promulgazione, nel dicembre del 2013, della legge n. 53 che sanciva il dovere dello stato e di tutte le sue istituzioni di garantire il “diritto alla preservazione della memoria nazionale di tutte le generazioni a venire” –, tale istanza si impegnava a far luce sulle violazioni dei diritti umani commesse durante i due regimi autoritari di Bourghiba e Ben Ali. Indagando su un periodo storico che va dal 1955 al 2013, incluso quindi il periodo della rivoluzione del 2010-11 e gli anni immediatamente successivi, la commissione si poneva l’obiettivo di perseguire i responsabili di violenze e abusi di potere, e di compensare le vittime. La sua istituzione fu salutata con grande interesse ed entusiasmo sia a livello nazionale che internazionale. Si stima che oltre 65 mila casi siano stati presentati alla commissione, alcuni dei quali sono stati trasmessi in diretta televisiva nel mese di novembre del 2016, iniziando un processo collettivo di ricostruzione della memoria storica degli ultimi sessant’anni.
La scomparsa di Naccache – avvenuta in contemporanea con le proteste dei feriti e dei familiari delle vittime della rivoluzione che ancora non hanno avuto un riconoscimento ufficiale dallo stato tunisino, malgrado le promesse – ha riportato alla luce la necessità e l’importanza del fare memoria e i limiti del processo di “giustizia transizionale” iniziato nella Tunisia post-2011.
L’avere appurato e mostrato, anche a un grande pubblico, le gravi violazioni dei diritti umani commesse tra il 1955 e il 2013 non riesce tuttavia oggi a tradursi in reali condanne per i fatti commessi né in effettivi cambiamenti dei due principali settori che necessiterebbero di essere riformati, quello degli interni e quello della giustizia. Sin dai primi momenti la commissione si è trovata al centro di un complesso gioco politico che ha indebolito la sua posizione e ostacolato il suo lavoro. A partire dal 2015 un processo inverso, equiparabile al modello del “colpo di spugna”, ha pregiudicato il corretto svolgersi della transizione democratica. È un processo ancora in corso, sebbene sia ancora attivo chi cerca di portare a compimento gli obiettivi della commissione.
All’indomani del decesso, Slim Naccache, figlio di Gilbert, ha ricordato il peso che hanno avuto nella vita del padre gli “anni di deprivazione, tortura e disumanizzazione nelle carceri di un regime che ha saputo esistere solo attraverso la brutalità”, facendo riferimento al governo di Habib Bourghiba, il padre dell’indipendenza tunisina. La storia di Gilbert Naccache, deceduto prima di ottenere giustizia per i terribili abusi subiti, spinge a una riflessione sull’importanza di continuare a sostenere la lotta dei tunisini e delle tunisine per la verità e la giustizia. Ricordare la repressione degli oppositori di sinistra, ma anche quella dei membri dei movimenti islamisti e dei loro familiari dal post-indipendenza a oggi rappresenta un antidoto contro derive autoritarie e restaurazione di regimi dittatoriali. Allo stesso modo ricordare gli eroi e le eroine della rivoluzione del 2010-2011, i nomi, i volti, di chi ha messo il proprio corpo, la propria intelligenza in gioco, fino ad arrivare al riconoscimento di una lista ufficiale dei martiri della rivoluzione è un esercizio storico e democratico fondamentale. Può dire molto alla Tunisia ma non solo. Può dire molto anche a noi, su quest’altra riva. Fare memoria di una rivoluzione e dei rivoluzionari/e che l’hanno realizzata, può aiutarci a capire cosa è una rivoluzione (nei suoi successi e nei suoi fallimenti) e quanto lunghe, tortuose e poi improvvisamente rapide possano essere le strade per realizzarla.
È nell’ottica di comprendere il senso di una rivoluzione, la sua eredità, i complessi percorsi che a essa seguono che all’università di Pisa è stato organizzato un convegno dal titolo “Ṯawrat al-karāma: memorie, percorsi e analisi a dieci anni dalla rivoluzione tunisina” che si terrà online nelle giornate del 13 e 14 gennaio in occasione del decimo anniversario della rivoluzione. Organizzato in quattro sessioni pomeridiane e in due momenti serali di approfondimento su cinema e musica post-rivoluzione, con la partecipazione di studiose e studiosi tunisini e italiani, il convegno è dedicato alla memoria dell’attivista e blogger Lina Ben Mhenni e a tutte le donne che hanno fatto la rivoluzione, liberando un paese dalla dittatura e dalla paura, fungendo da scintilla per il propagarsi di proteste e rivolte in tutta la regione araba. Una grande onda, che malgrado i fallimenti raccolti in questi dieci anni, non smette di propagarsi nelle manifestazioni di chi continua a scendere in piazza in Tunisia e negli altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente chiedendo dignità, libertà, giustizia, pane. (renata pepicelli / guendalina simoncini)
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