Domani, 17 giugno, presenteremo Lo stato delle città nell’ambito della giornata Sport contro il cemento nei giardini Artiglieri da Montagna. La manifestazione denuncia il progetto urbanistico che mira alla costruzione di un albergo, un centro congressi e un ipermercato nello spazio che un tempo accoglieva la produzione delle fabbriche Nebiolo e Westinghouse: quarantamila metri quadri che appartenevano alla città e che sono stati venduti a investitori privati. Le nuove costruzioni comporteranno la distruzione del prato e degli alberi del giardino.
Pubblichiamo a seguire la ricerca scritta da Francesca Ru, Bianca Scolamiero e Michela Voglino pubblicata nell’ultimo numero della rivista. L’inchiesta racconta la storia della svendita di suolo pubblico, gli investitori interessati, le variazioni del piano urbanistico, le scorrettezze formali nella gestione del bilancio comunale.
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Anni Novanta, Torino. La città è stata abbandonata dalle fabbriche ed è costellata da vuoti industriali. Buchi ovunque. Proprio quei buchi sono il punto di partenza per il Piano Regolatore Generale del 1995, che intende riempire i vuoti con nuovi centri direzionali e culturali per fare della “Detroit italiana” una Nuova Torino. L’impegno dei dirigenti locali s’intensifica con l’arrivo delle Olimpiadi del 2006: la città è un grande cantiere su cui piovono capitali d’investimento. In quel periodo molti vuoti industriali assumono una nuova funzione, ma non tutti. Quelli che restano, una volta spenta la fiamma olimpica, s’accompagnano ad altri buchi: quelli del bilancio cittadino, indebitato dall’evento sportivo e incastrato nella crisi economica del 2008. Oggi, a ventisette anni dall’approvazione del PRG, ci sono ancora vuoti urbani a testimoniare il difficile processo di trasformazione della città. Tra questi, l’ex Westinghouse e l’ex Nebiolo nel quartiere San Paolo.
Nei primi anni del Novecento il quartiere ospitava diverse fabbriche. Di quel passato rimane ben poco: dove c’era la Westinghouse, nata nel 1929 e specializzata nella produzione di freni, ora c’è il vuoto. Lo scheletro liberty della Nebiolo, che un tempo produceva macchine utensili, è ancora in piedi, benché nascosto dalle impalcature di sostegno. Qui, all’inizio del nuovo secolo, la Città sognava di costruire una biblioteca-teatro dalle forme sinuose, secondo il progetto di Mario Bellini, per omaggiare il barocco della Torino juvarriana. L’unica biblioteca che videro i cittadini, però, fu quella immaginaria del rendering appeso alle impalcature di sostegno della vecchia Nebiolo. Un giorno anche il rendering è sparito e con esso tutto il progetto: troppo oneroso l’impegno dei 229 milioni di euro per realizzarlo. A niente è servita la proposta dell’architetto di rivedere il progetto per abbassare i costi: i soldi, dal 2006, proprio non c’erano. Per anni non se n’è più parlato, ma di recente si è cominciato a discutere di un nuovo progetto di riutilizzo dell’area: da una biblioteca con teatro si è passati a un supermercato, un imponente centro congressi e un albergo. La trasformazione post-industriale è così rientrata nel dibattito cittadino grazie agli appelli di chi frequenta la zona, riunitisi nel comitato EsseNon. Il nome è un programma: Esselunga è il principale promotore della nuova operazione urbanistico-speculativa e i cittadini che vivono intorno hanno cominciato a chiedersi: EsseNon cementificassimo?
Secondo le tavole del progetto, l’albergo sorgerà nella vecchia fabbrica Nebiolo restaurata, mentre il centro congressi svetterà sul vuoto lasciato dall’ex Westinghouse e l’ipermercato verrà edificato sull’attuale giardino Artiglieri da Montagna, una delle poche aree verdi vergini della zona. Qui, gli alberi alti e antichi verranno abbattuti, l’area cani e l’area gioco spariranno, così come le famiglie rom che hanno fatto di questi spazi una casa, ora a rischio sgombero. Non solo: il progetto prevede anche l’asfaltatura del cortile che costeggia l’ex caserma Lamarmora, oggi sede dell’associazione Comala, che qui gestisce la più grande aula studio di Torino e organizza eventi culturali, concerti e proiezioni di film. La caserma, tutelata dai Beni Culturali, era un tempo mercato del bestiame, poi caserma per l’artiglieria a cavallo, aula bunker per il processo alle Brigate Rosse e oggi è uno spazio sociale di riferimento nel quartiere. Con il nuovo progetto la struttura verrà inevitabilmente danneggiata dalla futura strada di servizio del supermercato. Le nostre domande allora sorgono spontanee: come si è passati dal progetto di uno spazio culturale dedicato alla lettura e al teatro a un centro fieristico con supermercato, che anzi comprometterebbe gli spazi di Comala? Cos’è cambiato nella visione della Nuova Torino che cerca di rinascere dalle ceneri industriali? La spiegazione prettamente finanziaria non ci sembra esaustiva. Per questo abbiamo deciso di raccontare la vicenda dell’area e dei personaggi che vi gravitano intorno dal 2011.
2011-2016: LA GIUNTA PD
Nel 2011, sul finire della giunta Chiamparino, il faraonico progetto dell’architetto Bellini viene accantonato. A Torino, però, le fondazioni bancarie si preoccupano del destino della loro città e sono pronte ad aiutarla per evitare che sprofondi in un mare di debiti: proprio all’inizio di quell’anno, la fondazione Crt presenta una manifestazione di interesse per l’utilizzo dell’area ex Westinghouse, con l’idea di costruirvi un centro congressi con un budget di dieci milioni di euro. Una volta aperti gli occhi sul debito olimpico e messo da parte il sogno della biblioteca, la Città accoglie la proposta della fondazione e si riunisce con la Regione per la modifica dell’accordo di programma: la prima di una serie che stravolgerà ben presto le sorti dell’area.
Alla fine di quell’anno la Città, passata sotto la guida di Piero Fassino, che ha come assessore all’urbanistica Stefano Lo Russo, trasferisce i diritti edificatori per una superficie di 25 mila metri quadri a fondazione Crt. Sembra quindi che l’ultimo grande vuoto industriale della Spina 2 possa essere colmato. La fondazione designa Ream Sgr, società di investimento immobiliare con principale azionario la stessa Crt, nella manifestazione di interesse; con Ream in gioco, le carte in tavola cambiano velocemente. La partecipata di Crt versa una caparra di cinque milioni di euro al Comune e richiede l’ampliamento dell’area di altri 16 mila metri quadri. Per la Città, che sta per chiudere il bilancio in deficit, tale caparra appare provvidenziale. Il Comune segue le richieste del privato modificando di volta in volta l’accordo del programma che, alla fine, prevede un’area di 40 mila metri quadri grazie all’aggiunta dei giardini, l’incremento della consistenza edilizia e, colpo di scena, la creazione di una nuova destinazione d’uso ricettiva. A fianco al centro congressi dovrebbe ora sorgere anche un hotel.
La Città pubblica allora un avviso per la presentazione delle proposte progettuali per l’area, ma, inaspettatamente, Ream non si presenta. Si presentano però due nuovi attori, finora sconosciuti: Nova Coop e Amteco&Maiora Spa. La prima è l’ala piemontese del sistema Coop. La seconda, invece, è una newco creata ad hoc per l’occasione, formata dalla vercellese Amteco, fornitore di Esselunga, e da Maiora Group, della famiglia barese Fusillo, gruppo di costruttori immobiliari. Le uniche due proposte pervenute prevedono entrambe la realizzazione di un centro congressi e di un supermercato. Nell’avviso d’asta pubblica per la compravendita dell’area la Regione stabilisce che potranno esserci anche esercizi commerciali di vicinato con superficie di vendita non superiori a 250 metri quadrati. Questa specifica impedirebbe la costruzione di un’unica piattaforma di vendita, come quella di un ipermercato: per arrivare a un cambiamento così importante della destinazione d’uso sarebbe necessaria una variante al PRG. Nova Coop, preoccupata di non poter realizzare il suo progetto, presenta delle osservazioni e chiede se tale modifica sia possibile. Non ottenendo risposta, abbandona la gara. L’unica offerta di compravendita che perviene al Comune, di tre milioni di euro in più rispetto alla base d’asta (diciassette milioni), è quindi di Amteco&Maiora che si aggiudica la gara senza difficoltà. Nova Coop, non ritenendola valida, ne chiede l’annullamento e ricorre al Tar. Il ricorso sarà poi bocciato nel 2017, ma aleggia ancora l’appello al Consiglio di Stato.
Questo contenzioso tra Coop ed Esselunga, che per ora rimane discretamente nascosta dietro Amteco&Maiora, non dovrebbe stupire: anche se in modo indiretto, i due colossi della grande distribuzione organizzata si trovano, come da tradizione, una contro l’altra. La loro rivalità ha radici profonde: già nel 2007 il patron di Esselunga, Bernardo Caprotti, aveva pubblicato un libro dall’eloquente titolo Falce e carrello, in cui denunciava supposti appoggi politici da parte di amministrazioni locali di centrosinistra alle cooperative Coop. Eppure, in questa storia torinese, gli appoggi politici locali sembrano favorire Esselunga e il suo interesse sull’area. Così, poco dopo aver vinto l’asta, Amteco&Maiora sottoscrive un contratto con Esselunga che presenta un’istanza alla Regione per la realizzazione di un supermercato. Tra il 2014 e il dicembre 2016 vengono così elaborate le procedure per modificare l’accordo di programma e la destinazione d’uso del piano regolatore. Tali variazioni consentiranno, infine, la realizzazione della grande struttura di vendita.
Questo processo, tuttavia, non pare trasparente. Secondo la procura di Torino l’asta pubblica è stata turbata da collusioni e mezzi fraudolenti per favorire l’acquisizione dell’area ex Westinghouse da parte di Esselunga. L’asta sarebbe stata vinta da Amteco&Maiora, non tanto perché unico soggetto a partecipare alla gara, ma perché una parte dell’élite torinese avrebbe favorito gli interessi di Esselunga. Dalle indagini e da alcune inchieste giornalistiche, emerge che l’ex sindaco di Torino, Piero Fassino, ha intrattenuto rapporti confidenziali, tra il 2012 e il 2013, con Bernardo Caprotti e il suo collaboratore di fiducia Mario Sillani, riguardo il futuro dell’area ex Westinghouse. Fassino, inoltre, aveva informalmente affidato all’architetto Rolla l’incarico di studiare un progetto per l’area già nel 2012. Tale progetto prevedeva un centro congressi e un centro commerciale in un’area di 40 mila metri quadri, con ben quattro anni d’anticipo rispetto alla variante al PRG. Il progetto delineato dallo Studio Rolla, però, per poter essere portato a compimento aveva bisogno di alcune manovre urbanistiche per modificare la destinazione d’uso e ampliare i diritti di superficie, includendo anche i giardini Artiglieri da Montagna. Ciò è stato possibile grazie alle procedure di valutazione ambientale e alla bonifica dell’area, interamente a carico del Comune. «È questo il paradosso – commenta Emilio Soave, presidente di Pro Natura –, perché il Comune ha venduto il terreno con la clausola della bonifica a carico della stessa amministrazione pubblica». Le due valutazioni ambientali furono redatte e approvate nel 2016, rendendo il progetto dello Studio Rolla, di Amteco&Maiora ed Esselunga, ammissibile da ogni punto di vista. Adesso, mentre scriviamo, per essere attuato deve solo esserne approvato il Piano Esecutivo in giunta.
2016-2021: LA GIUNTA 5 STELLE
Nel 2016 la nuova giunta pentastellata eredita da quella precedente la caparra di cinque milioni versata da Ream per acquistare l’area ex Westinghouse. L’acquirente, nel tempo, è cambiato, ma i soldi rimangono nelle casse comunali e vengono fatti sparire dal documento contabile della Città, facendo apparentemente volatilizzare il debito nei confronti della partecipata di Crt. L’opposizione alla giunta e, in particolare, l’attuale sindaco Stefano Lo Russo, chiede un controllo del bilancio cittadino, con un esposto che porta alle indagini. Queste svelano che il debito di cinque milioni da restituire a Ream è stato inserito nel bilancio, falsandolo, per coprire i buchi del Comune, in questo caso economici e non immobiliari. La sindaca Appendino si giustifica sostenendo che Ream non avrebbe richiesto indietro i soldi versati, in quanto altre trattative erano in corso; trattative smentite però da Ream e Crt, a cui la caparra viene riconsegnata nel 2018.
Nel frattempo il processo è andato avanti, portando nel 2020 alla condanna della sindaca a sei mesi per falso ideologico in atto pubblico. A questo punto la procura si insospettisce e decide di aprire un fascicolo bis del “caso Ream” per fare luce fin dall’inizio. Ora a essere indagati sono gli attori da cui tutto cominciò nel 2012: l’ex sindaco Fassino, Quaglia e Miglio di Crt e la dirigente comunale Virano. Le indagini concluse a fine 2021 mostrano che il contratto preliminare tra il Comune e Ream celava un mutuo illegittimo per equilibrare il bilancio cittadino. Il processo, però, deve ancora avere luogo. I soldi di Ream intanto s’incrociano anche con le quote mai pagate da Amteco&Maiora. Infatti, dopo il primo anticipo di otto milioni, la nuova quasi-proprietaria dell’area interrompe i pagamenti, lasciando per anni la Città in attesa dei restanti 11,7 milioni. Secondo Amteco&Maiora, in questa fase, non ha senso pagare quote nell’incertezza. Un’incertezza che abbraccia le manovre amministrative e urbanistiche e che coinvolge anche il ricorso di Nova Coop. Tuttavia, dopo la bocciatura delle osservazioni di Nova Coop nel 2017 da parte del Tar e l’approvazione della variante al PRG, Amteco&Maiora continua a non pagare, tanto da costringere il Comune, nel 2018, a stracciare il contratto.
Sembrerebbe, dopo questo giro dell’oca, di essere tornati all’inizio della storia, ma è proprio seguendo la traccia dei soldi che ci si districa tra nodi amministrativi, indagini e progettualità urbanistiche nascoste. Si arriva infatti al punto in cui, da un lato, ci sono i cinque milioni che il Comune deve restituire a Ream; dall’altro gli 11,7 milioni che Amteco&Maiora deve, dal 2017, al Comune. Quest’ultimo rassicura Ream che il debito verrà estinto non appena il Tar si pronuncerà sul ricorso di Nova Coop. Lo stesso ripete Amteco&Maiora, senza però versare tutte le sue quote, nemmeno dopo la sentenza. Nel frattempo Maiora Group fallisce e viene liquidata tra debiti e vicende giudiziarie nel barese. Tuttavia il progetto per l’area ex Westinghouse non va in fumo, anzi è proprio nel 2018 che finalmente il quadro diviene chiaro. Nel mezzo delle indagini il Comune estingue il suo debito con Ream e dissolve il contratto di Amteco&Maiora. Perché, a quel punto, non si è preferito riesumare il contratto con Ream, che non prevedeva alcun supermercato?
Il motivo risulta evidente quando si svela la vera protagonista della vicenda: Esselunga. Finalmente Esselunga viene allo scoperto, compra le quote insolute di Amteco&Maiora, subentra nel contratto e promette la costruzione del grande punto vendita e del centro congressi, diventando proprietaria dell’intera area di 40 mila metri quadri. Il piano partito nel 2012 con l’interessamento di Crt e con il primo progetto dello studio Rolla giunge a compimento. E fin dall’inizio era presente l’interesse di Esselunga, sotto mentite spoglie e forte degli appoggi in Comune. Dopo dieci anni il grande progetto che ha sostituito la biblioteca mai nata sembra aver trovato un attore capace di portarlo a termine. I buchi della Spina 2 verranno riempiti da un centro congressi e un albergo, mentre il verde dei giardini Artiglieri da Montagna, con i suoi alberi centenari, sarà occupato dalle casse e dalle corsie di un supermercato. Ma non c’è di che preoccuparsi, perché, come dissero i dirigenti della città Piero Fassino e Paola Virano a Emilio Soave, in un incontro in Comune di molti anni fa: «Di verde ce n’è tanto e non abbiamo neanche le risorse per mantenerlo».
2021-2022: IL COMITATO EsseNon
Per anni ciò che succedeva nell’area ex Westinghouse è passato sotto silenzio, nonostante le inchieste giornalistiche e giudiziarie. Da qualche mese, però, il tema della futura trasformazione dell’area è entrato nel dibattito pubblico e anche la nuova amministrazione, guidata dall’ex assessore all’urbanistica sotto la giunta Fassino, Stefano Lo Russo, è stata chiamata in causa. Tutto è cominciato lo scorso novembre con un video diffuso sulla pagina Facebook dell’associazione Comala: il video si apre nei giardini Artiglieri da Montagna con Andrea Pino, il fondatore di Comala, che chiede a una persona immaginaria: «Scusi, mi può prendere la scatoletta di tonno, che non ci arrivo?», mentre allunga una mano verso il ramo di un albero. «Qua, sarà proprio esattamente qua», continua indicando il verde tutto intorno a lui. Nei venti minuti che seguono, viene illustrato il progetto del supermercato e del centro congressi. Il video è diventato virale in poco tempo, e con lui la petizione lanciata contro la costruzione della strada di servizio di Esselunga sul cortile esterno di Comala: in tre settimane vengono raccolte più di tremila firme, depositate a fine novembre in Comune.
Data la grande eco del video e della petizione, il 10 novembre viene organizzata la prima assemblea pubblica. Nel tardo pomeriggio, centinaia di persone – studenti che frequentano quotidianamente l’aula studio di Comala, abitanti del quartiere, membri di organizzazioni politiche di vario genere e alcuni, pochi, politici – iniziano ad accalcarsi sotto i tendoni sul prato di fronte alla caserma Lamarmora, al riparo da una pioggia battente e un vento forte che sembra non voler smettere. Qualcuno al microfono sostiene che da anni a Torino non si vedeva un’assemblea pubblica così partecipata. Se i primi interventi si soffermano sugli effetti che la costruzione della strada di servizio avrà su Comala, nelle quasi due ore di assemblea la riflessione si allarga: si discute di privatizzazione di parti di città, cementificazione di aree verdi, diminuzione di spazi di socialità, proliferazione di studentati privati. Alla fine è chiaro che dalla richiesta iniziale di non costruire la strada, espressa nella petizione, si è passati a rivendicazioni più vaste che mettono in discussione il progetto nel suo insieme. Dalle due assemblee pubbliche che seguono, nasce il Comitato EsseNon. Ne fanno parte studenti, militanti di diverse realtà cittadine, membri dell’associazione Comala e del vecchio comitato ex Westinghouse.
EsseNon è, infatti, il secondo comitato nato per opporsi alla trasformazione dell’area: il primo era stato creato nel 2013 quando, come ci racconta il suo fondatore Emilio Soave, quella dell’area ex Nebiolo-Westinghouse «era considerata la più grossa vicenda urbanistica che si apriva in città». Questo comitato – formato da cittadini, ambientalisti torinesi, militanti del centro sociale Gabrio e consiglieri 5 Stelle (all’epoca all’opposizione) – aveva già presentato una petizione per rivedere totalmente il progetto. Inoltre, aveva elaborato una serie di osservazioni alla proposta di variante al programma integrato, tutte però rigettate. Nel 2016, una volta approvata la variante urbanistica, questo comitato si spegne, forse anche a causa dell’insediamento della giunta pentastellata. Alcuni dei suoi membri sono confluiti ora nel nuovo comitato EsseNon.
L’obiettivo principale di quest’ultimo è accendere i riflettori sul progetto di Esselunga e del centro congressi e la cementificazione di una delle ultime aree verdi della zona. Le iniziative puntano innanzitutto a sensibilizzare gli abitanti e creare un dialogo con le persone che frequentano quotidianamente l’area. Nel gennaio 2022 la prima passeggiata informativa per le vie del quartiere è stata pesantemente repressa dalla polizia che, per far rispettare il blocco delle manifestazioni in zona gialla, ha ripetutamente caricato un corteo dalle chiare intenzioni pacifiche. Proprio questo comportamento da parte delle forze dell’ordine ha dato una grande visibilità mediatica al comitato. Nonostante la solita narrazione giornalistica dei “centri sociali”, nei giorni successivi in città erano in tanti a parlare delle cariche ai “No Esselunga”. L’assemblea che segue la passeggiata vede di nuovo una partecipazione altissima: in centinaia tornano a Comala, come in quel piovoso 10 novembre, per parlare di speculazioni in città e capire come portare avanti la battaglia appena iniziata. L’atmosfera, però, non è più così rilassata: il ricordo delle manganellate è ancora vivido, l’isolato è circondato da una decina di camionette e diversi agenti della Digos si aggirano tra i presenti. L’intento sembra quello di scoraggiare la nascita di un movimento che, denunciando un progetto datato e poco sensato, sta mettendo in difficoltà la nuova giunta di centrosinistra, composta da persone già in Comune all’epoca delle prime trattative, a partire dal nuovo sindaco.
Nelle settimane seguenti una biciclettata per le vie del quartiere e una colorata sfilata di carnevale sono una rivincita per il comitato: dopo le cariche e le teste aperte, centinaia di persone scendono di nuovo in strada in sella alle loro biciclette lanciando coriandoli e stelle filanti. Famiglie con bambini, residenti di lunga data, studenti e militanti di realtà torinesi di varia natura: il comitato è riuscito a intercettare un pubblico vasto ed eterogeneo. Ciò è stato possibile grazie a una serie di volantinaggi, nei mercati e davanti alle scuole della zona, durante i quali è emerso il malcontento di molti rispetto all’arrivo di Esselunga e lo stupore di chi ancora non ne sapeva niente. I mercatari di piazza Benefica e di corso Racconigi sono preoccupati e arrabbiati: hanno ben presente gli effetti che la grande distribuzione ha sulle loro attività. Al momento, quindi, il comitato è riuscito a raggiungere il suo primo obiettivo: rendere noto il progetto ed evitare che la giunta lo approvi definitivamente senza che nessuno se ne accorga. Ora vorrebbe prendersi cura dei giardini Artiglieri da Montagna trascurati dall’amministrazione, per mostrare che un’alternativa al supermercato è possibile e facilmente praticabile.
La vicenda ricostruita fin qui, è paradigmatica della gestione dei vuoti industriali di Torino e degli interessi privati che si insinuano nel governo della città. Come in tutte le migliori storie di riqualificazione urbana, l’attore pubblico e il privato si ibridano in un felice sposalizio per generare profitti, soprattutto per i privati. La vicenda mostra quanto sia difficile prevedere l’evoluzione della situazione. Sospira Emilio Soave: «Bisogna capire chi sono gli ipotetici investitori [per il centro congressi]. Sì, sembra Fiera Milano, però sono annunzi; qui viviamo in un mare di annunzi». Sarebbe bello inserirsi tra le dichiarazioni di Comune, investitori ed Esselunga per opporsi alla distruzione di una delle poche aree verdi della circoscrizione, in una città che sappiamo quanto sia inquinata; per scongiurare lo sgombero delle famiglie che in quell’area hanno trovato una casa, seppur traballante; per evitare che un centro culturale frequentato da tantissimi sia costretto a chiudere; per ribadire che ciò che manca in quartiere non sono né il turismo congressuale e né un supermercato, così come non c’è la voglia di assistere di nuovo, passivamente, alla svendita di un vuoto urbano a un privato. Questo è quello che oggi sta provando a fare il comitato EsseNon. Bisogna vedere se queste voci critiche riusciranno a insinuarsi e smuovere qualcosa nei palazzi delle istituzioni.
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