La mattina del 5 febbraio scorso a Napoli, in piazzetta Sedil Capuano, si presenta un ingente schieramento di forze dell’ordine: polizia, guardia di finanza, municipale. Una volante chiude l’accesso a via Tribunali da via Duomo, due agenti della municipale si piazzano in via Donnaregina per bloccare vico Sedil Capuano. Sembra si stiano preparando per un grande blitz. L’obiettivo invece è cancellare il murale che ritrae il volto di Luigi Caiafa e rimuovere l’altarino a lui dedicato che si trova vicino alla sua abitazione. Dopo aver passato la vernice bianca sul volto di Luigi, i tecnici del Comune hanno un gran da fare per riuscire a staccare il faro che lo illuminava. Intanto a smontare l’altarino ci pensano i familiari del ragazzo. Tutto procede in una calma quasi surreale. In un solo momento la tensione si alza un po’, quando alcune persone iniziano a inveire contro i pochi giornalisti presenti. Non passano due minuti e arriva anche il reparto celere, unico grande assente fino a quel momento.
Questa storia inizia la notte tra il 3 e il 4 ottobre 2020, quando Luigi Caiafa, diciassette anni, viene ucciso da un agente dei falchi durante un tentativo di rapina. Il succo della vicenda, per i giornalisti, è racchiuso nei titoli strillati nelle ore successive, che possiamo sintetizzare così: “Ucciso baby rapinatore. Arrestato il complice, è il figlio di Genny ‘a carogna’”. Dal loro punto di vista c’è decisamente poco da aggiungere.
In quei giorni di inizio ottobre si alzano moltissime voci a condannare questo episodio. E come è facile immaginare, il dito viene puntato sulla vittima, su Luigi. La sera del 9 ottobre poche decine di persone scendono in corteo per ricordare il diciassettenne ucciso e per chiedere che vengano mostrati tutti i video delle telecamere di sorveglianza per poter ricostruire la dinamica che ha portato alla sua morte.
Da quel momento tutto inizia a tacere. Nel giro di poche settimane questa storia sparisce dalla bocca di troppi, per non dire quasi tutti, fino a quando viene dipinto il murale. Possono ricominciare le polemiche, si può di nuovo puntare il dito su Luigi. Comincia tutto con la denuncia del solito consigliere regionale, si passa per numerosi giornalisti e opinionisti. Un fronte compatto che chiede la rimozione dei volti di Luigi Caiafa e di Ugo Russo, quindicenne ucciso nel marzo scorso da un carabiniere in una situazione analoga. L’amministrazione comunale tace. Dalla notte tra il 3 e il 4 ottobre nessuno dei suoi esponenti ha detto una parola, nessuna dichiarazione ufficiale, nessun comunicato. La giunta de Magistris continua a tacere fino a quando non intervengono nel dibattito Luciana Lamorgese, ormai ex ministra dell’interno, e il prefetto Marco Valentini, che chiedono esplicitamente al sindaco la rimozione dei due murales.
A questo punto, con una nota congiunta firmata dal vicesindaco Carmine Piscopo e dagli assessori Alessandra Clemente e Luigi Felaco, il Comune si allinea a quanto richiesto dall’ex ministra e dal prefetto, comunicando che il murale di Luigi va cancellato e quello di Ugo va rifatto modificandone l’esplicita rivendicazione di “verità e giustizia”. Lo fa senza entrare nel merito, ma appigliandosi a dei cavilli formali secondo i quali i due dipinti sarebbero abusivi e quindi da eliminare per “ristabilire lo stato dei luoghi”.
Sempre il 5 febbraio sul Mattino esce un’intervista a Catello Maresca, magistrato “anticamorra”, possibile candidato per il centro-destra alle prossime elezioni amministrative in città, che riconduce invece la cancellazione dei murales a una questione di ordine pubblico. Il pm afferma che questi sono i simboli di cui si nutrono le mafie. Non è chiaro, però, in quale momento i due ragazzini ammazzati siano diventati esponenti in vista della criminalità organizzata cittadina.
Maresca mette in chiaro la sua posizione, e lo fa senza mezzi termini: “Serve fermezza perché o si sta con lo stato o contro. Non ci sono spazi per ambiguità in questa battaglia”. Ha perfettamente ragione. Serve fermezza e bisogna schierarsi. Bisogna schierarsi apertamente contro chi rende invisibili le vite di questi ragazzi, contro chi alimenta la brutalità che subiscono, contro chi ne mortifica le intelligenze ogni giorno, contro chi gli impone violentemente di adattarsi a un contesto sociale che li respinge, contro chi, per raggiungere questo obiettivo, arriva ad ucciderli.
Se questo è il momento in cui bisogna prendere una posizione, l’unica possibile è quella di stare dalla parte dei ragazzi. Sempre. Una posizione scomoda, difficile da tenere, che sfugge ai “ma” e ai “però” di politicanti e benpensanti, che tiene dentro tutte le contraddizioni che una grande fetta di città tenta di nascondere. Diceva perfettamente Fernand Deligny: “Per noi, prendere in carico un ragazzino, non significa cavare d’impaccio la società, cancellarlo, riassorbirlo, addomesticarlo. Significa innanzitutto rivelarlo. […] E tanto peggio per chi vorrebbe che fanciullezza facesse rima con purezza”. (pietro di meglio)
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